Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 608 del 12/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 12/01/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 12/01/2011), n.608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17655-2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

SIPIM SRL in persona del legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAZZINI 9/11, presso lo studio

dell’avvocato MEJIA ALICIA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARIS GIANLUCA, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2006 della Commissione Tributaria Regionale

di MILANO del 6.4.06, depositata il 04/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI GIACALONE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO

VELARDI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella causa indicata in premessa, nella quale il contribuente resiste con controricorso, è stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“La CTR confermava la decisione di annullamento degli atti impositivi, affermando che l’Ufficio aveva violato il divieto di doppia presunzione e che le circostanze poste a base della prova presuntiva erano inidonee, perchè basate su una catena di fatti ignoti e dedotti presuntivamente da circostanze prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

L’Agenzia deduce omessa motivazione sul fatto decisivo se gli indizi da cui l’ufficio deduceva l’esistenza di un accordo fraudolento tra la “cartiera” e la società controricorrente, riportati nel p.v.c. e riportati in appello fossero ignoti e dedotti presuntivamente da altri indizi, a loro volta nè gravi, nè precisi e nè concordanti.

Il ricorso è manifestamente fondato, perchè la conclusione cui è giunta la CTR non è sorretta, sul piano logico, da alcuna motivazione, poichè la sentenza impugnata non espone le ragioni per cui opina che la ditta beneficiaria di un congegno asseritamente studiato ed attuato allo scopo di frodare il fisco (e di ottenere guadagni attraverso l’alterazione del mercato) possa andare esente da responsabilità nel momento in cui realizza tale scopo, compiendo operazioni che solo formalmente appaiono regolari. Si deve invece intendere, che l’acquisto – apparentemente effettivo, contabilmente e fiscalmente regolare – compiuto da un’impresa, ultima beneficiaria di una filiera di società appositamente costituita per “regolarizzare” (i.e. rendere apparentemente regolari) una serie di operazioni in evasione o elusione dell’IVA, realizzi esso stesso la comune intenzione fraudolenta dell’intero meccanismo, creato proprio in vista di questo risultato finale; e che pertanto l’IVA, in tal caso, non è detraibile dal beneficiario finale dell’intero apparato fraudolento, anche se le fatture e l’intera documentazione contabile relative alle operazioni commerciali da lui effettivamente compiute sembrino perfettamente regolari (Cass. n. 867/2010). E’ vero, infatti, che in una catena di cessioni soggette ad IVA, poste in essere successivamente da diversi operatori, quelle che soddisfano i criteri obiettivi sui quali è fondata la detraibilità dell’imposta, non sono pregiudicate dal fatto che una delle operazioni, precedente o successiva, compresa nella catena, sia viziata da frode all’IVA, senza che il soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere (CGE, Sent.

C-354/03 del 12.1.2006). Ma il meccanismo fraudolento, cui si riferiscono i rilievi oggetto della presente causa meccanismo peraltro ben noto, appartenente al genere delle cc.dd. frodi carosello, essenzialmente fondate sul mancato versamento dell’IVA incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti (per i rottami ferrosi, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 8), e successive rivendite anche attraverso l’interposizione, come nel caso, di una o più società “filtro” – suppone, per sua natura e per gli scopi che si propone, la piena conoscenza della frode e la piena partecipazione del beneficiario finale all’accordo simulatorio. In simile ipotesi, è imperativo il richiamo all’art. 17 della Direttiva CEE n. 388/77, del 17 maggio 1977, ove si afferma il principio dell’indetraibilità dell’IVA assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale e autonoma ragione economica giustificatrice della catena di cessioni successive”.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite.

Non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere accolto, la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale Lombardia.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011

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