Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6078 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 12/03/2010), n.6078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8322-2007 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA, 79

presso lo studio dell’Avvocato PLACIDI GIAMPIERO, che lo rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 27/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di ROMA, depositata il 12/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. SIMONETTA SOTGIU;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIAMPIERO PLACIDI, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, accogliendo, con sentenza 12 giugno 2006, l’appello dell’Agenzia delle Entrate di Velletri, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento IVA per gli anni 1991-1992-1993, emessi nei confronti del podologo C. A. e da lui unitariamente impugnati, per avere il C. emesso, in relazione alla sua attività di operatore sanitario, fatture in esenzione di imposta, in assenza di prescrizione medica,non potendosi tale professione ritenere ricompresa, fino al D.M. 31 gennaio 1994, fra quelle soggette a vigilanza sanitaria di cui al R.D. n. 1265 del 1934, art. 99, T.U..

C.A. chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si denuncia inammissibilità dell’appello dell’Agenzia per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52 comma 2 non avendo l’Agenzia stessa depositato l’autorizzazione ad appellare, di cui aveva indicato in calce al gravame il solo numero di protocollo. Il motivo è infondato e va rigettato.

Premesso che dall’esame degli atti, che il Collegio ha compiuto, essendo stato denunciato un “error in procedendo”, l’appello risulta autorizzato dal Responsabile dell’Ufficio del Contenzioso presso la Direzione Regionale del Lazio dell’Agenzia delle entrate con nota prot. (OMISSIS), e che tale annotazione costituisce valida prova, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21473/2007) del rilascio di regolare autorizzazione ad impugnare la sentenza di primo grado, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2 la cui violazione viene denunciata, non è più suscettibile di applicazione dopo l’entrata in funzione delle Agenzie fiscali (1 gennaio 2001), cui sono stati attribuiti i rapporti giuridici,i poteri e le competenze dei dipartimenti ed Uffici del Ministero delle Finanze, da esercitarsi secondo la disciplina interna di ciascuna agenzia e dunque in regime di autonomia rispetto agli organi ministeriali (Cass. S.U. 604/2005; cfr. 21473/2007 cit.).

Col secondo motivo, si adduce violazione dell’art. 99 cit. T.U. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10 perchè l’esenzione IVA per la professione in oggetto sarebbe stata attuata mediante la trasposizione nell’ordinamento nazionale(D.P.R. n. 24 del 1979 di modifica del D.P.R. n. 633 del 1972) dell’art. 13 parte A, n. 1 lett. C) della Sesta Direttiva CEE 3 88/77, che ha previsto l’esenzione dall’imposta delle “prestazioni rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza” à sensi dell’art. 99, cit.

T.U., fra cui quella di “podologo” definita con D.M. Sanità 26 gennaio 1988, n. 30. Non potrebbe quindi ritenersi che l’esenzione IVA spetti al C. soltanto dopo l’entrata in vigore del D.M. 21 gennaio 1994, che ha esplicitamente indicata come “sanitaria” l’attività del podologo, la quale era tale anche in precedenza, non potendosi ritenere esaustiva l’elencazione di cui al citato art. 99,mentre la qualificazione del 1994 sarebbe soltanto ricognitiva.

Sul punto pertanto, il ricorrente propone il seguente quesito”:Vero che l’esenzione dall’IVA prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 18 relativa a prestazioni mediche e paramediche rese alla persona nell’esercizio delle professioni ed arti sanitarie soggette a vigilanza à sensi dell’art. 99, cit. T.U. delle Leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., si applica anche alla professione di podologo anche antecedentemente alla entrata in vigore del D.M. 21 gennaio 1994, in quanto ulteriore tipizzazione determinata dalla introduzione di nuove tecniche mediche e paramediche,dovendosi intendere l’elencazione del menzionato artt. 99 come indicativa e non esaustiva”. Il quesito merita risposta affermativa, ma ciò non comporta l’accoglimento del secondo motivo di ricorso. Infatti il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, n. 18 nel testo riformato con i Decreti Delegati n. 24 e 94 del 1979, vigente negli anni d’imposta considerati (e modificato soltanto con D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito con modifiche nella L. 29 ottobre 1993 n. 427) prevede l’esenzione dell’IVA per le “prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie, soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del cit. T.U. Leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e successive modificazioni”; l’art. 99 del cit. R.D., cui fa riferimento la normativa IVA, dispone al comma 1 cpv., che sia soggetto a vigilanza “l’esercizio delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie”, enumerando quindi, al secondo cpv., alcune categorie di ausiliari già all’epoca (1934) esistenti( fra cui non è presente quella del podologo) con indicazioni di figure professionali paramediche secondo profili evidentemente aperti a qualifiche più dettagliate (Cass. 5979/2001).

L’elencazione degli ausiliari dell’arte medica proposta dal cit. art. 99 non è dunque esaustiva, in quanto non crea delle figure professionali, ma prende atto di quelle esistenti, non in via tassativa, poichè non esclude, attraverso la menzione di categorie ampie, suscettibili di ulteriori tipizzazioni, che nell’ampia dizione del 1^ cpv. del comma 2 di detta norma siano comprese altre consimili attività e specializzazioni ausiliarie della professione medica, con funzioni di cura e riabilitazione.

Rispetto a tale enumerazione, dunque il D.M. 21 gennaio 1994, che ha esplicitamente incluso l’attività di podologo fra quelle fruenti della esenzione IVA, non ha carattere novativo del cit. Testo Unico del 1934, ma soltanto ricognitivo del profilo professionale dei podologi, separato e individuato, attraverso una norma interpretativa quale il citato D.M., come specializzazione a se stante, rispetto ad alcune delle grandi categorie elencate nel cit. art. 99. Se dunque le prestazioni rese dai podologi anche anteriormente alla entrata in vigore del D.M. 21 gennaio 1994, debbono ritenersi esenti da IVA (Cass. 4424/2003),in quanto attività paramediche, ciò può avvenire tuttavia a condizione che siano soddisfatti i requisiti richiesti dal cit. D.M. – possesso di diploma, e prescrizione medica – poichè in caso contrario l’attività del podologo non può che rimanere confinata in ambito estetico. Va in proposito ricordato che il R.D. n. 1334 del 1928, art. 17 (Regolamento sulla disciplina delle arti ausiliarie alla professione sanitaria), vietava a chi esercitava attività di manicure o di pedicure di compiere prestazioni sanitarie. Dunque il profilo professionale del podologo – per non essere confuso con quello meramente estetico del pedicure – deve riferirsi ad un’arte curativa e riabilitativa, necessariamente ausiliare e complementare dell’arte medica.

Nel caso in esame, mentre nulla è stato contestato in ordine al titolo di studio del C., gli avvisi di accertamento hanno fin dall’inizio escluso che l’attività svolta dallo stesso, cui le fatture in esenzione di IVA di riferivano, contenesse l’indicazione della relativa prescrizione medica, peraltro – mai prodotta – dal contribuente (v. sent. imp. pg. 2).

Quindi pur dovendosi ritenere l’efficacia retroattiva del cit. D.M. del 1994, lo stesso non appare nella specie applicabile, perchè difetta uno dei requisiti necessari per la sua applicazione, e cioè l’essere state le prestazioni di podologia effettuate dietro prescrizione medica.

Il secondo motivo di ricorso va pertanto rigettato.

Col terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 3, 12, 25 e 29 perchè essendo state irrogate pene pecuniarie diverse in relazione a ciascun annualità d’imposta, la Commissione Regionale avrebbe dovuto riformulare d’ufficio l’importo della sanzione derivate da un’unica omissione continuata per varie annualità, in base al principio del cumulo giuridico sancito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 intervenuto nelle more del giudizio,trattandosi di legge più favorevole.

Il ricorrente formula quindi sul punto il seguente quesito di diritto: “Vero che in caso di pluralità di infrazioni alla medesima disposizione in materia di IVA,commesse in periodi di imposta diversi,prima della entrata in vigore della riforma della disciplina generale delle sanzioni extrapenali degli illeciti tributari,introdotta con D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, trova applicazione (retroattiva, in forza del principio del “favor rei” introdotto dal combinato disposto del medesimo D.Lgs. n. 472, art. 3, comma 3, art. 25, comma 2 e art. 29, comma 1, e D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 47), art. 16, comma 1, lett. A) la disciplina del cumulo giuridico obbligatorio delle sanzioni stabilita dal D.Lgs. n. 472, art. 12 – nel testo originario,anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, art. 2, comma 1, lett. e) e dal D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 99, art. 2 – in quanto disciplina più favorevole al contribuente”.

Col quarto motivo, si denuncia infine violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7 e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, artt. 5, 6 e 9 si ribadisce quanto esposto nel motivo precedente in relazioni a sanzioni che dovrebbero ritenersi di minore entità in relazione alle violazioni in materia di IVA, aventi efficacia retroattiva. Anche su tale punto si formula il seguente quesito di diritto:”Vero che in caso di infrazioni in materia di IVA, commesse prima dell’entrata in vigore della riforma della disciplina generale delle sanzioni extrapenali degli illeciti tributar,introdotta con D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, trovano attuazione(retroattiva in forza del principio del “favor rei” introdotto dal combinato disposto del medesimo D.Lgs. n. 471, art. 3, comma 3, art. 25, comma 2 e art. 29, comma 1) le corrispondenti disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ove occorra nel testo originario, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, art. 2, comma 1, lett. e) e dal D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 99, art. 2 in quanto disciplina più favorevole al contribuente, che andranno applicate dal giudice di merito nella misura da determinare à sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7″.

Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, attenendo entrambi al tema del “cumulo” giuridico delle sanzioni introdotto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 sono inammissibili, in quanto le doglianze in essi contenute non sono state riproposte con controdeduzioni in sede d’appello,nè potevano essere valutate d’ufficio – sulla base del contenuto del ricorso introduttivo (che non è stato neppure riprodotto, determinando,sotto tale aspetto la mancanza di autosufficienza del motivo) mentre la legislazione di riferimento intervenuta nel 1997, cioè nel corso del giudizio di primo grado e prima della proposizione dell’appello, imponeva l’esplicita richiesta della sua applicazione da parte del contribuente appellato. Il ricorso va pertanto integralmente rigettato. La parziale novità delle questioni proposte comporta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

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