Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6071 del 24/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2022, (ud. 29/09/2021, dep. 24/02/2022), n.6071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25806/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

S2I Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli avv. Augusto Fantozzi, Francesco

Giuliani, Roberto Altieri e Leonardo Laviola, con domicilio eletto

presso il loro studio, sito in Roma, via Sicilia, 66;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 3835/1/15, depositata il 6 luglio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 settembre

2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 6 luglio 2015, che, in accoglimento dell’appello dalla S2I Italia s.r.l., ha annullato gli avvisi di accertamento con cui erano state rettificate le dichiarazioni rese, rispettivamente, per gli anni 2008, 2009 e 2010 e recuperare le maggiori imposte non versate;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tali atti l’Ufficio aveva contestato l’indebita deduzione di costi e detrazione della relativa i.v.a. in quanto relative, in alcuni casi, ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, in altri casi, per violazione del principio di competenza, e, in altri casi ancora, per insufficiente documentazione;

– il giudice di appello, dopo aver riferito che la Commissione provinciale aveva respinto il ricorso introduttivo, ha accolto il gravame della società in ragione della violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, atteso che la notifica degli atti impositivi era avvenuta a seguito di una verifica fiscale alla cui conclusione non aveva fatto seguito la notifica del relativo processo verbale di constatazione;

– ha, inoltre, aggiunto che, in ogni caso, i rilievi operati erano, nel merito, infondati, avuto riguardo alle risultanze della documentazione prodotta in giudizio;

– il ricorso è affidato a cinque motivi;

– resiste con controricorso la S2I Italia s.r.l.;

– il pubblico ministero conclude chiedendo il rigetto del ricorso;

– sia la ricorrente, sia la controricorrente depositano memorie ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– occorre preliminarmente rilevare che la ricorrente ha espressamente dichiarato di voler intraprendere il giudizio di legittimità con riferimento esclusivo ai rilievi sub I), II), e III) degli atti impositivi in contestazione, relativi al disconoscimento dei costi dedotti e del diritto alla detrazione della relativa i.v.a. in ragione della ritenuta inesistenza oggettiva delle operazioni e al conseguente recupero delle imposte, per cui limitatamente a tale oggetto sono esaminati i motivi di doglianza prospettati;

– ciò posto, con il primo motivo la ricorrente deduce, con riferimento alle riprese concernenti le operazioni poste in essere dalla contribuente con la VIS s.r.l. e la SPS s.r.l., la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e dei principi generali in tema di contraddittorio, per aver la sentenza impugnata ritenuto che trovassero applicazione al caso in esame le garanzie difensive procedimentali di cui alla richiamata disposizione di legge, benché l’indagine effettuata dall’Ufficio – per l’esattezza, il supplemento di indagine posto in essere – non avesse dato luogo ad accessi, ispezioni e verifiche presso i locali della società indagata;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha affermato che “l’Agenzia delle Entrate competente, effettuava un supplemento di indagine a mezzo di una verifica fiscale iniziata in data 8 marzo 2012 presso la sede sociale, in occasione della quale i verificatori informavano la parte contribuente dei suoi diritti, ai sensi della L. n. 212 del 2000, tra i quali quello di comunicare osservazioni o richieste agli uffici finanziari competenti entro 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione redatto a conclusione dell’intervento”, evidenziando che, tuttavia, all’esito della verifica nessun processo verbale di constatazione era stato notificato alla contribuente;

– ha, in tal modo accertato, oltre alla non controversa omessa notifica di tale processo verbale, che la verifica è avvenuta presso la sede della società controricorrente;

– una siffatta affermazione è contestata dalla ricorrente con il motivo di ricorso in esame, ma tale contestazione, risolvendosi in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di appello, non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– orbene, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nella formulazione vigente ratione temporis, stabilisce che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”;

– tale disposizione normativa va interpretata nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – detemina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva (cfr. Cass., Sez. Un., 29 luglio 2013, n. 18184);

– ad identica conclusione deve pervenirsi qualora, come nel caso in esame, il processo verbale di constatazione non sia notificato, pur ricorrendone i relativi presupposti, atteso che tale omissione osta alla decorrenza del predetto termine dilatorio;

– tale garanzia si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, ed e’, pertanto, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6, applicabile non solo in materia di i.v.a., ma anche di imposte dirette, in virtù del richiamo operato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, comma 1, (cfr. Cass. 12 aprile 2019, n. Cass. 4 aprile 2018, n. 8246; Cass. 17 aprile 2015, n. 7483);

– benché non sussista un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste nel caso in esame in quanto un siffatto obbligo risulta specificamente sancito (così, Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823);

– nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dunque, il legislatore opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso ante tempus, fatta senza che ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di resistenza, necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), uniche ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione ex post sul rispetto del contraddittorio (così, Cass. 15 gennaio 2019, n. 701);

– la resistenza della ratio decidendi rappresentata dalla violazione dell’obbligo del contraddittorio preventivo, aggredita con il primo motivo di ricorso, rende del tutto irrilevante l’esame del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso con cui si contesta la validità delle altre rationes decidendi, asseritamente erronee, consistenti nell’insussistenza dei presupposti delle fattispecie impositive invocate, in quanto in nessun caso la fondatezza di tali motivi potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; vedi anche, Cass., ord., 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3633);

– con l’ultimo motivo la ricorrente, con riferimento alle riprese concernenti le operazioni poste in essere dalla contribuente con la AIT s.r.l., censura la sentenza di impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), T.U. n. 917 del 1986, art. 109, e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21 e art. 54, comma 2, nella parte in cui ha riconosciuto la sussistenza del diritto alla deduzione dei costi e alla detrazione dell’I.v.a. senza procedere alla valutazione analitica e unitaria degli elementi indiziari posti a fondamento delle riprese e ponendo illogicamente alla base della decisione elementi inidonei a dimostrare l’effettività delle operazioni nell’ammontare fatturato;

– il motivo è inammissibile;

– la Commissione regionale ha desunto l’esistenza, sotto il profilo oggettivo, delle operazioni in contestazione dai “pagamenti eseguiti tramite il sistema bancario, dell’ordine di commissione e dal relativo verbale di consegna per l’anno 2008”;

– un siffatto accertamento fattuale non risulta essere utilmente aggredito in questa sede, atteso che la doglianza della ricorrente si risolve in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di appello, che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 13.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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