Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6067 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 04/03/2021), n.6067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23701-2019 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 18,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GENOVESE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO C.N. DITTA INDIVIDUALE, M.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 464/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE

LOREDANA.

 

Fatto

RILEVATO

– che il ricorrente propone, sulla base di due motivi, ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina del 13 giugno 2019, la quale ha respinto il reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Messina in data 21 gennaio 2019, dichiarativa del fallimento dell’imprenditore individuale;

– che la corte territoriale ha ritenuto, per quanto ora rileva, come:

a) non era decorso il termine di fallibilità di un anno, decorrente dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese, ai sensi della L.F., art. 10, posto che esso era stato cancellato il 23 novembre 2018;

b) non vi è prova del mancato superamento dei limiti dimensionali, di cui alla L.F., art. 1, non avendo il soggetto provato il contrario, avendo anzi dichiarato di essere impossibilitato a produrre le scritture contabili; mentre il requisito dei debiti inferiori ad Euro 500.000,00 non è, del pari, dimostrato, anzi essendo provato un debito erariale sulla base dei ruoli pari ad Euro 683.780,87;

– che non svolge difese la curatela.

Diritto

RITENUTO

– che i motivi vanno così riassunti:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2082 e 2495 c.c., e della L.F., artt. 1 e 10, perchè egli ha cessato la sua impresa sin dal 2008, come deve poter provare, posto che l’impresa individuale si manifesta con il reale ed effettivo svolgimento dell’attività;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L.F., art. 1, ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto la legge richiede il riferimento agli ultimi tre eserciti anteriori all’istanza di fallimento, e, dunque, in essi l’impresa era da tempo cessata; inoltre, vi erano minori debiti per almeno Euro 500.000,00, essendo quello erariale assente o prescritto;

3) violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L.F., art. 15, u.c., in quanto la corte del merito non ha esaminato l’eccezione di difetto del presupposto di cui alla L.F., art. 15, essendo l’unico debito (di un lavoratore istante) di Euro 19.132,55, inferiore alla soglia di Euro 30.000,00, nè potendosi considerare i debiti erariali insussistenti, ma sul punto la corte del merito non si è pronunciata;

– che il primo motivo pone la questione del decorso del termine annuale di fallibilità in ragione della natura di impresa individuale del fallendo;

– che, tuttavia, all’imprenditore non è dato di provare la cessazione dell’attività d’impresa prima della cancellazione dal registro, essendo stata detta facoltà attribuita soltanto al p.m. ed ai creditori dalla L.F., art. 10;

– che questa Corte (cfr. Cass. 21 aprile 2016, n. 8092, ed altre) ha chiarito condivisibilmente da tempo come “Il termine di un anno, entro il quale l’imprenditore individuale che abbia cessato la sua attività può essere dichiarato fallito ai sensi della L.F., art. 10 (nel testo modificato dal D.Lgs. 3 del 2006 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007), decorre dalla cancellatone dal registro delle imprese, senza possibilità per l’imprenditore medesimo di dimostrare il momento anteriore dell’effettiva cessazione dell’attività”;

– che, avendo la corte del merito fatto corretta applicazione di tali principi, il motivo va disatteso;

– che il secondo motivo è inammissibile, in quanto involge in pieno il giudizio sul fatto: invero, lo stesso ricorrente ricorda come i giudici del merito abbiano ritenuto superato il requisito dimensionale, pretendendo, al riguardo, un’inammissibile nuova considerazione del medesimo in questa sede;

– che il terzo motivo è inammissibile, in quanto esso viola il disposto dell’art. 366 c.p.c., non riportando il motivo di appello che sarebbe stato trascurato: noto essendo che (e multis, Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664) “(a)nche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali”;

– che non occorre disporre sulle spese, non svolgendo difese la procedura.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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