Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6066 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso rgn. 11323/2005 proposto da:

Agenzia delle entrate, di seguito “Agenzia”, in persona del Direttore

in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi

12;

– ricorrente –

contro

il signor A.L., di seguito anche “Contribuente”;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Perugia 4 febbraio 2004, n. 6/5/04, depositata il 11 marzo 2004;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio del

21 gennaio 2010 del Cons. Dr. Achille Meloncelli;

vista la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dr. MARTONE Antonio che ha concluso per il

rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Considerato:

a) che il 22 aprile 2005 è notificato al Contribuente un ricorso dell’Agenzia per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha respinto l’appello dell’Ufficio di Terni dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Terni n. 24/03/2003, che aveva accolto il ricorso del Contribuente contro il diniego di rimborso dell’IRAP 1998-2000;

b) che il Contribuente non si costituisce in giudizio;

c) che la sentenza impugnata afferma che “nella fattispecie in esame si riscontra, sulla base della documentazione in atti, che l’elemento organizzativo non può dirsi sussistente. Intanto va premesso che l’attività esercitata dal contribuente non può certo dirsi imprenditoriale, come preteso dall’Ufficio, posto che l’agente di commercio è tipicamente un lavoro autonomo che fornisce servizi alle imprese. Inoltre i mezzi impiegati per l’esercizio di tale attività sono effettivamente minimi e limitati a quelli senza di cui non sarebbe oggettivamente possibile esercitare l’attività stessa (un’autovettura e una scrivania); ciò unito alla mancanza di personale dipendente porta ad escludere la sussistenza dell’autonoma organizzazione”;

d) che il primo motivo d’impugnazione, proposto dall’Agenzia, con il quale si denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1742 ss. e 2195 c.c. e l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza d’appello su un punto decisivo della controversia, è infondato, perchè è corretta la riconduzione, operata dalla CTR, della specie del lavoro dell’agente di commercio nel genere del lavoro autonomo (Corte di cassazione 26 maggio 2009, n. 12108 en. 12111);

e) che il secondo motivo d’impugnazione, con il quale s’ipotizzano la violazione e la falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 144 e del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27 e 36 è inammissibile per irrilevanza, perchè formula una serie di considerazioni in diritto astratte rispetto alla fattispecie concreta, oggetto della controversia e oggetto di un accertamento in fatto da parte del giudice d’appello, che non viene in alcun modo contestato sotto il profilo della logicità della motivazione e che è conforme ai principi fissati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in tema di autonoma organizzazione, secondo i quali:

1) mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorchè svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, cosicchè per il lavoratore autonomo si deve accertare in fatto, caso per caso, ossia, non categorialmente, ma per ciascun caso di specie ultima, se si realizzi il presupposto dell’autonoma organizzazione (Corte costituzionale 10 maggio 2001, n. 156); 2) la Corte di cassazione ha, poi, precisato che “il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui” (Corte di cassazione, Sezioni unite, 26 maggio 2009, n. 12108, e 26 maggio 2009, n. 12111; nello stesso senso già Corte di cassazione, Sezione civile 5, 16 febbraio 2007, n. 3673, n. 3676, n. 3677, n. 3678 e n. 3680); c) “non è … necessario che la struttura organizzata sia in grado di funzionare in assenza del titolare, nè assume alcun rilievo, ai fini dell’esclusione di tale presupposto, la circostanza che l’apporto del titolare sia insostituibile per ragioni giuridiche o perchè la clientela si rivolga alla struttura in considerazione delle sue particolari capacità” (Corte di cassazione 5 marzo 2007, n. 5011), cosicchè è irrilevante per l’IRAP che la prestazione professionale possa esser resa esclusivamente dal professionista, come accade per coloro che esercitano attività di lavoro autonomo in regime di professione protetta; d) l’utilizzazione di personale dipendente, anche nella misura minima di una persona, configura il presupposto dell’autonoma organizzazione (Corte di cassazione 16 febbraio 2007, n. 3673, n. 3674, n. 3675, n. 3676, n. 3677, n. 3678 e n. 3680; 26 maggio 2009, n. 12108 e n. 12111);

f) che, pertanto, il ricorso dev’essere rigettato;

g) che la mancata costituzione in giudizio dell’intimato esime dalla pronuncia sulle spese relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

 

 

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