Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6065 del 12/03/2010
Cassazione civile sez. trib., 12/03/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6065
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – Presidente –
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso rgn. 9854/2005 proposto da:
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro in
carica, e dall’Agenzia delle entrate, di seguito “Agenzia”, in
persona del Direttore in carica, rappresentati e difesi
dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono
domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12;
– ricorrenti –
contro
il signor O.L., di seguito anche “Contribuente”;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di
Firenze 12 ottobre 2004, n. 44/01/04, depositata il 23 novembre 2004
e notificata il 11 febbraio 2005;
udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio del
21 gennaio 2010 dal Cons. Dr. Achille Meloncelli;
vista la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dr. MARTONE Antonio che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Considerato:
a) che il 12-15 aprile 2005 è notificato al Contribuente un ricorso delle autorità tributarie per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha accolto l’appello del Contribuente contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Pisa n. 92/04/2003, che aveva respinto il suo ricorso contro il silenzio rifiuto dell’Ufficio formatosi sulla sua istanza di rimborso dell’IRAP 1998-2002;
b) che il Contribuente non si costituisce in giudizio;
c) che la sentenza impugnata ha accolto l’appello del Contribuente, promotore finanziario, perchè, “appurato che l’attività del promotore finanziario è inquadrarle quale attività di lavoro autonomo”, egli “ha dimostrato di svolgere la sua attività con un ausilio minimo di un collaboratore e con capitali limitati, apparendo poi del tutto evidente, dall’esame dei documenti in atti, che l’apporto personale del medesimo è stato preponderante nell’esercizio dell’attività svolta”;
d) che dei due motivi d’impugnazione il primo, con il quale si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2195 e 2222 c.c., del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51 (oggi art. 55) e del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2 è infondato, perchè è corretta la riconduzione, operata dalla CTR, della specie del lavoro del promotore finanziario nel genere del lavoro autonomo (Corte di cassazione 26 maggio 2009, n. 12111), mentre il secondo motivo, con il quale si denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2 e 3 è fondato, perchè, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “il requisito dell’autonoma organizzazione … ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l”‘id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui” (Corte di cassazione 16 febbraio 2007, n. 3673, n. 3674, n. 3675, n. 3676, n. 3677, n. 3678 e n. 3680; 26 maggio 2009, n. 12108 e n. 12111), onde anche aver alle proprie dipendenze un solo lavoratore configura l’esistenza di un’autonoma organizzazione;
e) che la sentenza impugnata s’è discostata dal principio di diritto, appena ricordato, secondo cui per aversi autonoma organizzazione non ci si deve avvalere di lavoro altrui;
f) che, conseguentemente, il ricorso dev’essere accolto per la fondatezza del suo secondo motivo e la sentenza impugnata dev’essere cassata;
g) che, inoltre, non richiedendosi, per la risoluzione della controversia, alcun altro accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c. con il rigetto del ricorso introduttivo del Contribuente;
h) che, infine, le spese processuali dell’intero giudizio meritano di essere compensate tra le parti, perchè la stabilizzazione dell’orientamento giurisprudenziale sulla questione di diritto esaminata è successiva all’incoazione del giudizio di legittimità.
PQM
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del Contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010