Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6063 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enri – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 18720 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto Da:

GE.IN. CO s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difeso, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Gaetano Michele Maria De Bonis, elettivamente

domiciliato presso Donatello Piccininni, in Roma, Via del Mattonato

n. 3;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Basilicata n. 79/02/11 depositata in data 27 maggio

2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 dicembre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 79/02/11 depositata in data 27 maggio 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Basilicata rigettava l’appello proposto da GE.IN. C0 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 217/02/07 della Commissione tributaria provinciale di Potenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. 890030200208 con il quale l’Ufficio di Potenza aveva recuperato a tassazione, ai fini Irpeg, Irap e Iva, per l’anno 2003, maggiori ricavi non dichiarati per Euro 71.245,00, derivanti dalla cessione di un immobile ad un prezzo inferiore al corrispettivo indicato nella proposta irrevocabile di acquisto, al finanziamento richiesto dall’acquirent,3 e al valore dell’immobile emerso dalla perizia estimativa prodromica alla concessione del mutuo;

– la CTR, in punto di diritto, ha osservato che: 1) l’atto impositivo era adeguatamente motivato non solo nella parte in cui era stato determinato il prezzo di vendita dell’immobile (ricavo conseguito) ma anche relativamente alle modalità dell’accertamento attraverso la scansione conosciuta dalla parte, essendo, in particolare, la proposta irrevocabile di acquisto, quale atto decisivo ai fini dell’accertamento, al quale aveva partecipato la società, conosciuto dalla stessa e il mutuo registrato e trascritto e, quindi, consultabile dai soggetti interessati; 2) correttamente l’Ufficio aveva determinato, con il metodo analitico-induttivo, l’importo dei ricavi omessi, in base agli atti del mutuo ipotecario contratto dall’acquirente ed, in particolare, alla proposta irrevocabile di acquisto, all’importo del finanziamento pari all’80% del valore e alla perizia estimativa; 3) il D.L. n. 41 del 1995, art. 15, non precludeva all’Ufficio il potere di rettifica per determinare il valore effettivo, purchè desunto da prove documentali e non da valutazioni estimative, il che, nella specie, era stato rispettato essendo stato desunto da documenti, quali la proposta di acquisto, mutuo e ipoteca;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25, per avere la CTR ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento, ancorchè- come eccepito nei gradi di merito- nè il mutuo contratto dalla,arte acquirente presso banca sconosciuta nè la perizia estimativi dell’immobile -inclusa nel fascicolo istruttorio relativo al detto finanziamento- fossero stati allegati all’atto impositivo, nè fossero conosciuti o conoscibili diversamente dalla contribuente;

– in disparte il profilo di inammissibilità, in punto di difetto di autosufficienza, per non avere la contribuente riportato in ricorso l’avviso di accertamento la cui sufficienza motivazionale è contestata, il motivo è infondato;

– l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (Cass. n. 21564 del 2013; nello stesso senso Cass. n. 15348 del 2016; Cass. n. 20211 del 2013; Cass. n. 04516 del 2012);

– secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il requisito motivazionale dell’avviso di accertamento esige, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, l’indicazione delle norme in tesi violate e dei fatti che integrerebbero la relativa inosservanza, mentre non è necessaria la formulazione delle argomentazioni giuridiche a sostegno dell’atto, nè la valutazione c.-itica degli elementi acquisiti, restando la relativa problematica influente nel giudizio d’impugnazione dell’atto, al diverso fine dell’indagine sul fondamento della pretesa impositiva (Cass. 17/12/2001, n. 15914; v. anche, ex multis, Cass. 11/11/2011, n. 23615; Cass. 21/11/2001,n. 14700);

– secondo indirizzo altrettanto consolidato, l’onere dell’Ufficio, in tali limiti inteso, di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale ii constatazione della Guardia di finanza che sia stato notificato o consegnato al contribuente; nè un tale rinvio può considerarsi illegittimo, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. ex plurimis Cass. n. 28061 del 2017; Cass. 13/10/2011, n. 21119; Cass. 10/02/2010, n. 2907);

– inoltre, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, ultima parte, stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che questiJItimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 24038 del 2018; n. 28713 del 2017; n. 18073 del 2008; n. 407 del 2015);

-questa Corte ha altresì precisato che “l’avviso di accertamento, nell’Ipotesi di doppia motivazione “per relationem”, è legittimo ove il processo verbale di constatazione richiamato nello stesso faccia, a propria volta, riferimento a documer ti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente” (Cass., sez. 5, Ord. n. 32127 del 12/12/2018; Sez. 5, Sent. n. 28060 del 24/11/2017);

– nella specie, il giudice a quo, si è attenuto ai suddetti principi, avendo affermato che l’avviso fosse, adeguatamente motivato non solo nella parte in cui era stato determinato il prezzo della vendita dell’immobile e quindi il ricavo conseguito ma anche relativamente alle modalità dell’accertamento attraverso una scansione conosciuta dalla parte; la CTR ha precisato, al riguardo, che l’atto con valore decisivo qual era la proposta irrevocabile di acquisto era conosciuto dalla società, avendovi quest’ultima partecipato e che l’atto di mutuo, in quanto registrato e trascritto, era consultabile dai soggetti interessati; pertanto, il giudice di appello, ha correttamente ritenuto assolto l’onere motivazionale per relationem sul presupposto che sia la proposta irrevocabile di acquisto, quale atto con valore decisivo, che l’atto di mutuo rientrassero nella sfera di conoscenza o quantomeno di agevole conoscibilità da parte del contribuente;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 15, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ammesso la rettificabilità della base imponibile ai fini dell’Iva in forza di un accertamento analitico-induttivo, sostenuto da prove documentali, ancorchè il D.L. n. 41 del 1995, art. 15, vigente ratione temporis, statuisca la non rettificabilità dei corrispettivi se non in forza di accertamenti analitici del corrispettivo effettivamente pattuito;

– in materia, questa Corte ha enunciato il condivisibile principio di diritto secondo cui “In tema di IVA, in caso di cessione di beni immobili, ai fini della determinazione della base imponibile, del D.L. n. 41 dei 1995, art. 15, conv. in L. n. 85 del 1995 (applicabile “ratione temporis”) deve essere interpretato nel senso che qualora il corrispettivo indicato nell’atto di compravendita sia inferiore al valore catastale, può essere emesso avviso di rettifica sulla base di elementi di natura documentale ovvero se lo scostamento tra corrispettivo dichiarato e valore di mercato integra una presunzione grave, precisa e concordante” (Cass. sez. 5 -, Ordinanza n. 23379 del 19/09/2019); nella detta sentenza, la Corte richiama la risoluzione del 29 aprile 1996, n. 62/E/III- 7-1081, con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rispor dendo ad un quesito posto dall’Istituto Autonomo delle case popolari, ha precisato che “attraverso la disposizione recata dal citato art. 15, non viene prevista una deroga al criterio di determinazione. della base imponibile riferito ai trasferimenti di fabbricati che è, comunque, costituito, secondo i principi delle Direttive comunitarie rE:cepiti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dall’ammontare complessivo del corrispettivo dovuto al cedente secondo le condizioni contrattuali, ma viene riconosciuta rilevanza, ai fini dell’esecuzione del controllo sulla corretta applicazione dell’I.V.A., al fatto che sia indicato nell’atto di vendita un prezzo inferiore al parametro determinato in base alla rendita catastale. Pertanto, in tali ipotesi, non opera in via automatica la presunzione che sia stata ridotta la base imponibile, in quanto la norma contenuta nel richiamato art. 15 è volta ad individuare situazioni che suggeriscono l’opportunità di eseguire controlli da cui possano emergere elementi concreti che gli uffici I.V.A. possono utilizzare per l’esercizio dei poteri di accertamento”; alla luce di ciò, la Corte precisa che “la previsione di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 15, deve, quindi, essere interpretata nel senso che se il corrispettivo indicato nell’atto di compravendita è superiore al valore catastale, seppure inferiore al valore idi mercato, è consentita una rettifica ai fini I.V.A. solo sulla base di atti e documenti che comprovino l’omessa fatturazione di una parte del prezzo; qualora, invece, il corrispettivo pattuito tra le parti ed indicato nell’atto di compravendita è inferiore al valore catastale, può essere emesso avviso di rettifica ai fini I. V.A. sulla base di elementi di natura documentale oppure, in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, se lo scostamento tra corrispettivo dichiarato e valore di mercato configuri presunzione grave, precisa e concordante che consente di procedere ad accertamento”.

– le argomentazioni della Commissione regionale non si pongono in contrasto con le disposizioni di legge cli cui si assume la violazione, atteso che, nel caso di specie, l’accertamento presuntivo si fonda, nel rispetto della espressa disposizione dell’art. 15 del D.L. n. 41 del 1995 (applicabile ratione temporis risalendo l’atto di compravendita al 2003), sulla difformità tra il prezzo dichiarato – pari o, comunque, non inferiore al valore catastale -ed il maggiore importo della proposta irrevocabile di acquisto e del mutuo richiesto dall’acquirente, ossia su prove di natura documentale che, evidenziando un corrispettivo maggiore, consentivano all’Ufficio di rettificare la dichiarazione I.V.A. Diversamente da quanto dedotto dal contribuente, infatti, a fronte dell’accertato scostamento tra il corrispettivo dichiarato- non inferiore alla valutazione automatica determinata su base catastale- e l’importo della proposta irrevocabile di acquisto e del mutuo contratto, anche la disciplina previgente del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15, rendeva possibile all’Ufficio rettificare la dichiarazione I.V.A.;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla domanda – di cui all’atto di appello- di riconoscimento, a fronte dei maggiori ricavi accertati, dei maggiori costi sostenuti e correlati all’immobile ir questione;

-inammissibile si profila l’eccezione sollevata dall’Agenzia di novità, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, della suddetta domanda per essere stata sollevata per la prima volta in grado d appello, in quanto risulta, in difetto del principio di autosufficienza, meramente formulata, ma non corroborata da alcun elemento nè tantomeno supportata dalla trascrizione, nelle parti rilevanti, del ricorso introduttivo, al fine di permettere a questa Corte di valutare 12 fondatezza della medesima;

– il motivo è, comunque, infondato nel merito; invero, va fatta qui applicazione del principio più volte affermato (da ultimo: Cass. n. 2248 del 2018; n. 16171/17) secondo cui: “alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravarne, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”; ora, nel caso di specie, la questione (pretermessa) concernente il mancato riconoscimento degli assunti maggiori costi sostenuti a fronte dei maggiori ricavi accertati, non poteva trovare comunque accoglimento; e ciò sulla base dell’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui “In tema di determinazione dei redditi di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), comma 1, i ricavi, i costi e gli altri oneri sono imputabili nell’esercizio di competenza in cui si è formato il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purchè l’esistenza o l’ammontare degli stessi sia determinabile in modo oggettivo, circostanze, queste ultime, che rientrano, per i componenti positivi, nell’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria e per quelli negativi in quelle del contribuente”. (ex multis, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28671 del 09/11/2018); “In tema di deducibilità dei costi, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), comma 5, e di detraibilità della relativa IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, il contribuente è tenuto a dimostrare, nell’ipotesi di contestazione da parte dall’Amministrazione finanziaria, anche la coerenza economica degli stessi rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, potendo a tal fine integrare il contenuto generico della fattura con idonei elementi di prova” (Cass. Sez. 6 – 5, Ord. n. 14858 del 07/06/2018);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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