Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6061 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7146/2013 R.G. proposto da:

C.C., rappresentato e difeso, dagli avvocati Marco

Miccinesi e Francesco Pistolesi del Foro di Firenze, nonchè

dall’avv. Paolo Puri del Foro di Roma presso il cui studio sito in

Roma Via XXIV Maggio, n. 43 è elettivamente domiciliato

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p. t.,

rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 98/46/12 pronunciata il 15.5.2012 e depositata il

23.7.2012

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 17.12.2019

dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. C.C. – titolare di omonima ditta individuale di fabbricazione tende e divani – impugnava gli avvisi di accertamento, notificatigli dall’Agenzia delle entrate di Como, sulla scorta di precedenti verifiche fiscali, eccependo l’illegittimità dell’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, per carenza dei motivi di fatto e di diritto.

2. La Commissione Tributaria Provinciale di Como, respingeva le censure di illegittimità dell’accertamento, ritenendo che gli elementi evidenziati nel pvc, legittimavano l’accertamento induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d); riduceva tuttavia del 50% la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio che riteneva eccessiva e confermava le sanzioni applicate.

3. Avverso tale decisione il contribuente proponeva appello, chiedendo l’annullamento dell’accertamento; l’Agenzia delle Entrate presentava appello incidentale, rilevando il difetto di motivazione della sentenza, in merito alla riduzione della percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio.

4. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 98/46/12 pronunciata il 15.5.2012 e depositata il 23.7.2012, respingeva il ricorso del contribuente ed accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio.

5. Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.

6. L’Agenzia delle Entrate non si costituiva in giudizio riservandosi di partecipare all’eventuale discussione orale ai sensi dell’art. 370 c.p.c.

6. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 17.12.2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, nonchè del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 39 cit., comma 1 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 25 e 55, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, ritenendo che un unico acquisto di merce riportata in un documento extracontabile rinvenuto presso un soggetto terzo (Verbano Tende S.r.l.) e la successiva cessione della merce stessa che non era stata rinvenuta nei magazzini della ditta, nè indicata in dichiarazione tra le rimanenze finali, non avrebbero giustificato l’applicazione dell’accertamento induttivo di cui all’art. 39 cit., comma 2, lett. d), utilizzabile solo allorquando le irregolarità riscontrate nelle scritture contabili siano talmente rilevanti e reiterate da rendere “inattendibili nel loro complesso le scritture stesse”.

1.2. Detto motivo è infondato. Va infatti premesso che, per costante orientamento di questa Corte, il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico-extracontabile (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e l’accertamento condotto con metodo induttivo puro (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2 (quest’ultimo in materia di imposte indirette) va ricercato rispettivamente nella “parziale od assoluta” inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili. Nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, sicchè l’Ufficio accertatore è legittimato solamente a “completare” le lacune riscontrate, utilizzando, ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati, anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. Nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli “altri” dati contabili, con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio o delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.

1.3. Da quanto detto consegue che l’eventuale errore commesso dal Giudice di merito nel “qualificare” il tipo di accertamento svolto in concreto dalla Amministrazione finanziaria, non rileva mai “ex se” (sotto il profilo della violazione o falsa applicazione della norma descrittiva degli elementi costitutivi della fattispecie attributiva del potere amministrativo – e dunque in relazione al parametro della violazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ma si risolve sempre o in un errore attinente all’attività processuale, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (nel caso in cui venga prospettata la illegittima acquisizione di elementi di prova in violazione dei limiti alla ammissibilità delle prove stabiliti dalle norme processuali tributarie) o in un errore di fatto concernente la selezione e la valutazione del materiale probatorio utilizzato a fondamento della decisione e si risolve in un vizio della motivazione censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 17952 del 24/7/2013).

1.4. Nel caso in esame, di conseguenza, laddove la Commissione regionale qualifica l’accertamento effettuato dall’Ufficio come “induttivo puro”, anzichè come “analitico-induttivo”, non è ravvisabile violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) (dedotta nel caso in esame), ben potendo il giudice dare una diversa qualificazione giuridica al rapporto dedotto in lite, considerato che la diversa qualificazione giuridica data dal giudice di merito non incide sugli elementi costitutivi della pretesa fiscale e, più in particolare, sugli elementi fattuali rilevanti ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo (cfr. Cass. V sez. 6861/19).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti, controversi e decisivi, degli asseriti acquisti e delle asserite rivendite di merce in evasione d’imposta (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, ritenendo che la C.T.R. nella sentenza avrebbe del tutto omesso l’esame di talune delle argomentazioni prospettate dal contribuente e dedicato ad altre una valutazione palesemente superficiale; con ciò pronunciandosi, con riguardo al necessario giudizio di prevalenza tra le prove addotte dalle parti, a favore di quelle fornite dall’Amministrazione finanziaria.

2.1. Anche tale motivo è infondato.

2.1. Invero la sentenza non è censurabile neppure sotto il profilo motivazionale, considerato che le argomentazioni poste dalla Commissione regionale a fondamento del proprio convincimento risultano esaustive, coerenti ed immuni da vizi logici.

2.2. I giudici di appello hanno infatti evidenziato tutti gli elementi dai quali hanno tratto il proprio convincimento, esaminando puntualmente i dati forniti dalla Guardia di Finanza di Luino nel processo verbale di constatazione notificato al contribuente il 3.12.2007, che conteneva elementi dotati di gravità, precisione e concordanza; gli stessi hanno comunque dato ampia contezza dell’esame della documentazione extracontabile e dei mastrini redatti dalla società venditrice Verbano Tende che consentivano di rilevare la cessione di beni senza fattura. Anche gli elementi forniti dal ricorrente (ivi compresa la perizia allegata) hanno formato oggetto di esame da parte dei giudici di secondo grado le cui conclusioni, squisitamente di merito, non appaiono censurabili in questa sede.

2.3. Alla stregua della documentazione acquisita la Commissione regionale ha ritenuto legittima la pretesa fiscale, così formulando un apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie e ritenendo integrate quelle presunzioni gravi, precise e concordanti che consentivano di ritenere inattendibile la contabilità e di fare ricorso all’accertamento induttivo ai fini della ricostruzione dei maggiori ricavi. Tale apprezzamento non è sindacabile in questa sede, in quanto in tema di ricorso per cassazione per vizi della motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce “insufficiente motivazione circa il fatto, controverso e decisivo, inerente alle percentuali di ricarico presumibilmente applicate dal contribuente nella propria attività d’impresa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, lamentando che la C.T.R. ritenendo ingiustificata la riduzione del 50% del costo della merce, operata dalla C.T.P., aveva altrettanto acriticamente rideterminato nella misura del 100% il ricarico originariamente calcolato dall’Ufficio.

3.1. Anche tale motivo appare infondato.

3.2. La carenza di motivazione afferiva, infatti, alla riduzione del ricarico operata dalla Commissione di primo grado ritenuta arbitraria ed immotivata dalla C.T.R., talchè il ripristino della percentuale già determinato dall’ufficio nella misura del 100% sulla scorta del ricarico originariamente determinato dall’Ufficio sulla base delle percentuali calcolate negli anni in esame (del 147%, del 159% e dell’80%) appare idonea a giustificare la soluzione fornita dalla C.T.R. con apprezzamento di merito non sindacabile da questo giudice.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” lamentando che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto indeducibili gli importi indicati nelle fatture della ditta “CMP di P.L.” nelle quali non sarebbe stato indicato il cliente finale ed il periodo di esecuzione delle prestazioni; dati non richiesti secondo il contribuente dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2.

4.1. Anche tale censura va disattesa.

4.2. Invero appare incontestabile che le fatture, ai sensi della disposizione citata, debbano contenere la specifica “indicazione dell’operazione”, “le generalità delle parti” e la “data di esecuzione della prestazione”, obbligo che si evince dalla necessità che siano emesse nello stesso giorno o nel corso della stessa settimana di esecuzione della prestazione medesima.

5. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese non avendo l’Agenzia intimata svolto alcuna attività difensiva. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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