Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6048 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 04/03/2021), n.6048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI U.L.C. Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7336-2018 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO n. 12,

presso lo studio dell’avvocato GRISPO MARCO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il

15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO

MARIA.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino pakistano avverso il provvedimento di diniego della domanda di protezione internazionale, emesso dalla Commissione territoriale di Siracusa, Sezione di Caltanissetta.

Il richiedente ha chiesto in via principale il riconoscimento della protezione sussidiaria ed, in via gradata, della protezione umanitaria. Ha riferito in sede di audizione di aver lasciato il Pakistan nel 2015, a causa di problemi di natura economica e di salute. In particolare, egli ha riferito che sia lui che il padre necessitavano di cure mediche e terapie farmacologiche molto costose e, per tale motivo, ha contratto un consistente debito che non era in grado di onorare. Conseguentemente, temendo a causa della mancata restituzione di essere espropriato della propria casa, ovvero, di dover concedere la sorella in sposa al creditore, decise di lasciare il Paese di origine.

Il Tribunale ha rigettato la domanda del cittadino straniero per le ragioni che seguono.

In primo luogo, ha ritenuto che le dichiarazioni del richiedente non fossero idonee a configurare alcun rischio effettivo di subire atti persecutori ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, o di un danno grave come previsto dal citato D.Lgs., art. 14, lett. a) e b), considerato che il creditore è stato definito dal ricorrente come una “persona normale” e, dunque, non è qualificabile come agente persecutore. Inoltre, nulla è stato dedotto a proposito del rischio attuale e concreto di subire ritorsioni a seguito di inadempimento che, comunque, riguarderebbero esclusivamente la sorella, con la quale il richiedente ha riferito di non essere più in contatto.

In secondo luogo, il giudice del merito evidenzia che nella zona specifica di provenienza del ricorrente, il Punjab, non si riscontra alcuna situazione di violenza indiscriminata e diffusa. Come si evince dal rapporto EASO dell’agosto 2017, in Pakistan sono fortemente diminuiti gli attentati terroristici a seguito dell’incremento delle operazioni di sicurezza ed il distretto di provenienza del ricorrente, il Gujrat, non figura tra quelli nei quali nel 2016 sono stati registrati incidenti mortali in numero superiore ad 11. Circostanza, questa, che porta ivi ad escludere una situazione di conflitto armato tale da legittimare la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), cit..

Da ultimo, non risulta allegata nessuna circostanza o fatto rilevante, tale da integrare una possibile situazione di vulnerabilità al fine dell’eventuale riconoscimento della protezione umanitaria atteso che nessuna documentazione sanitaria è stata allegata dalla parte per comprovare la effettiva sussistenza delle lamentate patologie.

Avverso il provvedimento del Tribunale ha proposto ricorso per Cassazione il cittadino straniero. Il Ministero intimato ha depositato controricorso.

Nel primo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla situazione di violenza generalizzata esistente in Punjab. Il giudice del merito ha svolto un’istruttoria frettolosa e superficiale dal momento che i rapporti internazionali e le recenti pronunce dei Tribunali e delle Corti di Appello allegate in primo grado, e poste alla sua attenzione, sono state del tutto ignorate. Invero, le conclusioni cui il giudice è pervenuto in relazione alla diminuzione degli attentati terroristici nell’area del Punjab, contrastano con i dati statistici ed i fatti di cronaca riportati nelle allegazioni delle fonti sopra menzionate.

La censura non supera il vaglio di ammissibilità per le ragioni che seguono. Il Tribunale ha tenuto conto della problematica degli atti terroristici allegata dalla parte, tuttavia, alla luce delle fonti informative consultate (Report EASO dell’agosto 2017), ha rilevato che questi sono diminuiti vertiginosamente a seguito dell’incremento delle operazioni di sicurezza ed hanno interessato il distretto di provenienza del ricorrente (Punjab) in modo sporadico ed esiguo (nel corso del 2016 sono stati inferiore ad 11), così da escludere la sussistenza nella zona suddetta di un conflitto armato interno come previsto dall’art. 14, lett. c). Per contro, la difesa ha allegato numerose pronunce di merito e di legittimità prevalentemente non aggiornate, nonchè rapporti informativi e fatti di cronaca che, per quanto risalenti al 2017, non smentiscono la ratio del provvedimento impugnato posto che, al pari delle fonti acquisiste dal giudice del merito, testimoniano la presenza di episodi isolati di terrorismo, dai quali non è possibile desumere una situazione di violenza generalizzata e diffusa.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione e falasa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per avere il Tribunale si è limitato ad escludere la protezione umanitaria sulla base della mancata produzione di documenti attestanti i riferiti problemi di salute, senza valutare minimamente il percorso di integrazione avviato concretamente dal ricorrente, il quale parla correttamente l’italiano e svolge attività lavorativa con regolare contratto di tirocinio (come allegato anche in sede di merito).

Il motivo è inammissibile poichè la difesa si è limitata ad affermare genericamente di aver allegato nel corso del procedimento di primo grado i fatti relativi alla effettiva integrazione lavorativa, senza tuttavia specificare dove ed in che modo fosse stata attuata tale allegazione. Ne consegue che a nulla può rilevare la produzione per la prima volta nel giudizio di Cassazione di documentazione comprovante un rapporto di tirocinio e delle relative buste paga in assenza di alcuna indicazione riguardante la pregressa produzione in sede di giudizio di merito.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese legali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorsò e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 2100,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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