Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6046 del 13/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 13/03/2018, (ud. 05/12/2017, dep.13/03/2018),  n. 6046

Fatto

1. S.S. aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Ancona il Comune di Falconara Marittima per chiedere che si accertasse la natura subordinata dei rapporti di lavoro intercorsi con il Comune, tra il 1.5.1999 ed il 31.12.2006 in virtù di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, e che si condannasse il Comune al pagamento delle differenze retributive e contributive correlate alla illegittima qualificazione del rapporto.

2. Il ricorrente aveva chiesto, inoltre, che si accertasse il suo diritto alla proroga del rapporto e che fosse pronunciata sentenza costitutiva di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento nella qualifica di “Istruttore amministrativo-contabile categoria C1 CCNL Autonomie Locali.

3. In via subordinata, il ricorrente aveva chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni pari a quanto avrebbe percepito in caso di continuazione del rapporto di lavoro fino al conseguimento del diritto a pensione o, in via subordinata, alla indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

4. Deceduto lo S. nel corso del giudizio di primo grado e riassunto il giudizio dalla madre ed unica erede B.M.T., il Tribunale dichiarò che tra lo S. ed il Comune di Falconara Marittima era intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 1.5.1999 al 31.12.2006 e condannò il Comune a pagare alla B. le differenze retributive ed il trattamento di fine rapporto ed a risarcire il danno, commisurandolo a venti mensilità dell’ultima retribuzione.

5. La Corte di Appello di Ancona, adita in via principale dal Comune ed in via incidentale dalla B., con la sentenza indicata in epigrafe ha accolto l’appello principale e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato il capo della domanda volto al risarcimento del danno.

6. La Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata accertata la natura subordinata e non autonoma dei rapporti di lavoro dedotti in giudizio; ha ritenuto che al rapporto, nullo ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2 si applicasse l’art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore, per il tempo in cui il rapporto aveva avuto esecuzione, ad ottenere il danno “retributivo differenziale” (tale ha ritenuto quello corrispondente alle differenze retributive) ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale.

7. La Corte territoriale ha escluso la fondatezza della domanda volta ad ottenere il danno ulteriore rispetto a quello corrispondente alle differenze retributive sul rilievo della insussistenza dei presupposti per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune, a tanto ostando la disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2 e l’art. 97 Cost.. Ha ritenuto che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 riconosce al lavoratore pubblico dipendente soltanto il danno differenziale, sia retributivo che contributivo, ed ha affermato che l’infondatezza della domanda al risarcimento del danno ulteriore rispetto a quello “differenziale” assorbiva le censure, formulate dalla B. nell’appello incidentale e dal Comune nell’appello principale, correlate alla determinazione della indennità risarcitoria. Tanto sul rilievo che non era stata posta la questione della nullità della clausola di apposizione del termine ovvero della illegittima cessazione del rapporto di lavoro.

8. Infine, la Corte territoriale ha ritenuto che non era emersa alcuna prova in ordine allo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario ulteriori rispetto a quelle ricompensate con la indennità di pronto intervento ambientale.

9. Avverso questa sentenza B.M.T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Comune di Falconara Marittima ha resistito con controricorso. La causa all’Adunanza Camerale del 28.6.2017 è stata rimessa alla pubblica udienza perchè il Collegio ha ritenuto la particolare rilevanza della questione di diritto. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI

Sintesi dei motivi.

10. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., del D.Lgs. n. 368 del 2001 e del D.Lgs.n. 165 del 2001, art. 36, “con particolare riferimento al principio di parità di trattamento ed ai principi di equivalenza ed effettività delle conseguenze sanzionatorie derivanti dall’illegittimo utilizzo dei lavoratori impiegati con tipologie contrattuali flessibili nel settore pubblico rispetto a quelle nel settore privato”. Utilizzo abusivo che, nella prospettazione del ricorrente, determinerebbe il diritto al risarcimento del danno ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36. Assume che tale danno deve essere commisurato alle retribuzioni maturate dalla data della risoluzione del rapporto a quella del conseguimento del diritto a pensione ovvero all’indennità di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

11. Il ricorrente richiama a sostegno delle sue prospettazioni la sentenza della Corte di Giustizia UE del 4.7.2006 Causa C-212/2004, e formula il seguente quesito di diritto “se la disciplina in materia di lavoro alle dipendenze della P.A., risultante dal combinato disposto tra l’art. 97 Cost., il D.Lgs. n. 368 del 2001 e il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 deve essere interpretata nel senso di riconoscere al lavoratore assunto in violazione di disposizioni imperative un risarcimento del danno ulteriore rispetto alle differenze retributive e contributive e, in caso affermativo, se il criterio di determinazione del suddetto danno è da parametrarsi in una misura equivalente alla perdita del posto di lavoro, ovvero, in subordine, in misura equivalente all’applicazione in via analogica delle tutele previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 o in altra misura ancora”.

12. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo relativo alla presunta omessa e/o insufficiente prova del diritto al pagamento del lavoro straordinario. Formulando quesito di diritto, deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare circostanze decisive emerse dalla prova testimoniale.

Esame dei motivi.

13. Il primo motivo di ricorso è infondato sulla scorta delle considerazioni di seguito svolte, in parte correttive, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c. (infra, punti da 16 a 28 di questa sentenza), delle argomentazioni motivazionali della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme al diritto.

14. Va rilevato che la natura subordinata e non autonoma dei rapporti sorti in virtù dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati tra il dante causa della odierna ricorrente e il Comune di Falconara Marittima è ormai incontestata tra le parti. Il ricorrente, infatti, non mette in discussione l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. al rapporto dedotto in giudizio, la cui nullità è stata accertata dalla Corte territoriale sul rilievo della sua costituzione al di fuori della regola del pubblico concorso.

15. Ciò di cui il ricorrente si duole con il motivo in esame è che la Corte territoriale abbia liquidato il danno nella misura corrispondente alle sole differenze retributive e alle omissioni contributivo-previdenziali dovute per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione ed abbia escluso la possibilità di riconoscere danni ulteriori.

16. Il Collegio osserva che l’art. 2126 c.c., che dispone che “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione; salvo il caso di illiceità (pacificamente estranea alla fattispecie dedotta in giudizio), costituisce esplicitazione del principio della effettività della prestazione lavorativa e della corrispettività tra questa e la controprestazione retributiva e previdenziale.

17. Con l’art. 2126 c.c. il Legislatore ha, infatti, voluto affermare che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non può pregiudicare la posizione del lavoratore, il quale vanta una serie di diritti connessi all’attività svolta, primo fra tutti quello a un’adeguata retribuzione e alla copertura previdenziale, in conformità ai principi sanciti dagli artt. 36 e 38 Cost..

18. La disposizione trova applicazione anche nella ipotesi di nullità di rapporto di lavoro costituito in violazione delle disposizioni che regolano le assunzioni alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni (Cass. SSUU 8519/2012, 26829/2009; Cass. 22669/2016, 22485/2016, 24120/2016, 7680/2014, 1639/2012, 12749/2008, 18276/2006,20009/2005, 10376/2001), in quanto gli obblighi retributivi e quelli previdenziali sono connessi con l’attività lavorativa prestata in via di fatto senza che rilevi che il rapporto sia nullo perchè instaurato in violazione delle norme che regolano le assunzioni alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (Cass. SSUU 8519/2012; Cass. 13940/2017).

19. Consegue a quanto osservato che il danno subito dal lavoratore derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative, risarcibile ai sensi dell’art. 36, comma 2 (nel testo applicabile “ratione temporis” antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 244 del 2007, art. 3, comma 79), non coincide affatto con le retribuzioni e i correlati oneri contributivo-previdenziali perchè questi sono dovuti, come innanzi osservato (punti 17 e 18 di questa sentenza), in virtù del principio di corrispettività affermato dall’art. 2126 c.c. con riguardo alle prestazioni di lavoro svolte dovute durante il tempo di svolgimento in via di fatto del rapporto di lavoro (Cass.13940/2017).

20. Il danno al quale si riferisce il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2 è evidentemente altro.

21. E’ innegabile che il lavoratore, che abbia reso una prestazione lavorativa in via di mero fatto a causa della illegittima qualificazione come autonomo di un rapporto che si è svolto, come nella fattispecie dedotta in giudizio, in regime di subordinazione, possa subire gli effetti pregiudizievoli che possono variamente configurarsi.

22. Se l’evenienza ordinaria è la perdita di chance risarcibile come danno patrimoniale nella misura in cui l’illegittimo (soprattutto se prolungato) impiego in attività di lavoro subordinato a fronte di contratti prevedenti prestazioni di lavoro autonomo abbia fatto perdere al lavoratore altre occasioni di lavoro stabile, non può escludersi che una prolungata precarizzazione per anni possa aver inflitto al lavoratore un pregiudizio che va anche al di là della mera perdita di chance di un’occupazione migliore, e può riguardare, ad esempio, le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall’ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative (Cass. 13940/2017, 26282/2007).

23. Deve, invece, escludersi che il danno possa coincidere con la perdita del posto di lavoro perchè l’accesso al pubblico impiego non può essere conseguenza, sia pur in chiave sanzionatoria, di una situazione di illegalità, costituita da una assunzione effettuata al di fuori del pubblico concorso.

24. E ciò perchè il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, prima parte ha vietato alle Pubbliche Amministrazioni di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni ove siano state violate le disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori.

25. Il divieto è conforme ai parametri della nostra Costituzione (Corte Costit. sentenza 89/2003, 190/2005, 205/2004, 34/2004; Ord. 206/2013) che all’art. 97 sancisce, per l’accesso agli impieghi pubblici, la regola del pubblico concorso, regola trasfusa nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, commi 7 e 8 come sostituiti prima dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 17 e poi dal D.Lgs n. 80 del 1998, art. 22 e, quindi, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35.

26. Non è senza rilievo il fatto che lo stesso art. 36, comma 5, cit. definisce il danno risarcibile come derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative e non già come derivante dalla perdita di un posto di lavoro.

27. Tanto precisato in ordine alla risarcibilità dei danni ove siano state violate le disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, deve ritenersi che l’onere probatorio in ordine ai danni subiti dalla illegittima qualificazione del rapporto grava sul lavoratore in applicazione dei principi generali in tema di responsabilità contrattuale di cui all’art. 1218 c.c. Danni che nella fattispecie in esame non risultano allegati, per quanto si evince dalla lettura della sentenza impugnata. Il ricorrente, d’altra parte, anche nel ricorso si limita a sostenere che il danno subito deve essere parametrato in misura equivalente alla perdita del posto di lavoro ovvero in misura equivalente all’applicazione in via analogica “delle tutele previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 o in altra misura ancora” e a richiamare nella memoria difensiva depositata in prossimità della pubblica udienza i principi sulla agevolazione probatoria affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016.

28. Sulla scorta delle considerazioni svolte la motivazione della sentenza impugnata va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c. (come anticipato nel punto 13 di questa sentenza), nel senso che il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, non coincide con le retribuzioni e i correlati oneri contributivo-previdenziali perchè questi sono dovuti in virtù del principio di corrispettività affermato dall’art. 2126 c.c. con riguardo alle prestazioni di lavoro svolte dovute durante il tempo di svolgimento in via di fatto del rapporto di lavoro.

29. Diversamente da quanto opina il ricorrente alla fattispecie dedotta in giudizio non trovano applicazione i principi affermati nella sentenza della Corte di Giustizia del 4.7.2006 Causa C-212/2004 (richiamata nel ricorso) e nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5072 del 2016 (richiamata nella memoria difensiva depositata in prossimità della udienza pubblica) perchè la Corte territoriale, come evidenziato al punto 7 di questa sentenza, ha accertato che le parti non avevano posto questione di nullità della clausola apposizione del termine di durata ovvero di illegittima cessazione del rapporto di lavoro e siffatta statuizione non è stata oggetto di alcuna censura da parte del ricorrente.

30. Il secondo motivo è inammissibile in quanto il ricorrente, lungi dallo specificare il fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione al quale le argomentazioni motivazionali della sentenza impugnata sono in contraddizione tra loro, sollecita una nuova lettura del materiale istruttorio inammissibile in sede di legittimità (Cass. SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007, 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).

31. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.

32. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente in applicazione dell’art. 91 c.p.c.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2018

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