Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6045 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. II, 04/03/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 04/03/2021), n.6045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24454/2019 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LUFRANO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ROMA 2, SEZ. DI ANCONA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 147/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 31/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.A. – cittadino del Pakistan – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Ancona avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essere dovuto fuggire dal suo Paese poichè perseguitato dai creditori del padre, che aveva contratto prestito sia per aiutarlo ad aprire un negozio sia per curarsi dalle ferite riportate per essersi opposto a criminali che chiedevano il pizzo – accadimento in cui rimase ucciso il germano del richiedente asilo -.

Lo S. precisava che, mentre i suoi genitori erano costretti a lavoro coatto per pagare il debito, egli per sfuggire ai creditori era espatriato per trovare lavoro non avendo intenzione di concorre al pagamento del debito poichè ingente.

Il Giudice monocratico ebbe a rigettare il ricorso ed il richiedente asilo propose gravame avanti la Corte d’Appello di Ancona.

Il Collegio territoriale rigettò l’appello ritenendo, bensì, credibile il racconto reso dal richiedente asilo a motivazione del suo espatrio, ma reputò che la vicenda narrata configurava una questione privata, stante la diversità tra i criminali, che chiesero il pizzo, ed i creditori insoddisfatti; reputò insussistenti in concreto le condizioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nella zona del Pakistan in cui il ricorrente abitava; mentre in relazione alla domanda di protezione umanitaria ritenne non esser stato fornito elemento alcuno atto a lumeggiare la concorrenza di condizione di vulnerabilità.

Il richiedente protezione ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte dorica articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, ha solamente depositato nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da S.A. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c., – siccome la norma ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7, ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che la vicenda dal lui narrata evidenziava situazione che rimaneva confinata nei limiti del fatto a carattere privato non rientrante in alcuna delle fattispecie, di cui alla normativa in tema di protezione internazionale.

La censura proposta appare inammissibile posto che si concretizza in richiamo alla struttura astratta dell’istituto di protezione invocato ed a specificatamente contestare la ricostruzione operata dalla Corte marchigiana in punto mancata richiesta di protezione all’Autorità, che invece egli provvide a svolgere come ricordato nel corso della sua audizione.

Evidente appare il mancato effettivo confronto con la motivazione esposta dai Giudici dorici posto che, nella sentenza impugnata vien dato atto che la mancata denunzia all’Autorità, non già, si correla all’azione dei criminali che chiedevano il pizzo – denunzia presentata come sostenuto dal ricorrente -, bensì alla pretesa dei creditori di ottener la restituzione del credito mediante il lavoro forzato ovvero la persecuzione – ragione diretta posta a fondamento della decisione d’espatriare -.

Il ricorrente, inoltre, non si confronta nemmeno con il complessivo argomento, svolto dalla Corte distrettuale, per qualificare, siccome riconducibile a questione privata, la ragione fondante la decisione di espatriare, ossia sottrarsi alle pretese dai creditori del padre di esser rimborsati del prestito fatto.

Con la seconda ragione di doglianza lo S. lamenta violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,13 e 27, poichè il Collegio marchigiano ha violato i canoni di legge a disciplina della valutazione della situazione socio-politica del Pakistan al fine di accertare se è connotata da violenza diffusa, nonchè dell’apprezzamento delle sue dichiarazioni, specie alla luce di passo estratto da rapporto Easo 2018.

La doglianza mossa s’appalesa generica eppertanto inammissibile posto che si limita ad enfatizzare un passo – ritrascritto – di più ampio rapporto Easo del 2018 – afferente alla sostituzione del primo Ministro pakistano ed all’impegno delle Forze di sicurezza per tenere sotto controllo ed il terrorismo e la criminalità – per quindi denunziare apoditticamente la violazione dei criteri legali in punto valutazione della situazione socio-politica del Pakistan da parte del Collegio dorico, senza per altro effettuare un reale confronto con la motivazione esposta nella sentenza impugnata.

Difatti i Giudici dorici hanno puntualmente esaminato le informazioni, desunte da rapporti Easo del 2015 e 2017 con specifico riguardo alla zona del Pakistan in cui il ricorrente viveva, per evidenziare come la locale situazione socio-politica non è connotata da violenza diffusa, secondo l’accezione assegnata a detto concetto della Corte Europea.

Il passo riprodotto in ricorso non solo non riguarda detta zona del Pakistan – come viceversa apprezzato dalla Corte dorica ma nemmeno illustra una situazione generale diversa da quella ricordata nella decisione impugnata.

Con la terza doglianza il ricorrente rileva violazione della norma D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, poichè la Corte dorica ha omesso specifico scrutinio delle sue condizioni di vulnerabilità in caso di rimpatrio coatto.

L’argomentazione critica sviluppata appare apodittica posto che si limita a contestare la fondatezza della statuizione asserendo che non risulta suffragata da apposita ed attuale analisi della condizione personale del richiedente asilo rispetto alle prospettive di vita in Patria.

Viceversa la Corte dorica ha puntualmente illustrato come il ricorrente non aveva versato in causa elementi atti a lumeggiare una sua condizione soggettiva di vulnerabilità e nemmeno oggettiva proprio in relazione ai pericoli di compressione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio.

La censura non appare strutturata in modo da contrastare in modo specifico detta motivazione poichè il ricorrente si limita ad apodittica contestazione del decisum, con conseguente sua genericità.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità stante che l’Amministrazione non ha svolto rituale difesa. Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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