Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6044 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29859/2014 R.G. proposto da:

Free.Car s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Domenico D’Arrigo, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Paola Ramadori, sito in Roma, via

M. Prestinari, 13;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sez. dist. di Brescia, n. 2268/14, depositata il 5 maggio

2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Free.Car s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, depositata il 5 maggio 2014, che, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio, ha respinto il suo ricorso avverso gli avvisi di accertamento impugnati, relativamente alle riprese concernenti l’indebita detrazione dell’I.v.a., confermando, quanto alle ulteriori riprese, l’annullamento degli atti;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tali atti l’Amministrazione finanziaria aveva contestato alla contribuente, relativamente agli anni 2006 e 2007, l’indebita deduzione di costi e detrazione della relativa i.v.a. per operazioni soggettivamente inesistenti;

– il giudice di appello ha parzialmente accolto il gravame erariale, evidenziando, da un lato, che l’Ufficio non aveva contestato la documentazione contabile prodotta in giudizio dalla contribuente e non aveva dimostrato il conseguimento da parte di quest’ultima di un vantaggio economico derivante dallo schema fraudolento posto in essere dai soggetti fornitori, e, dall’altro, che la società non aveva assolto l’onere di dimostrare la soggettività di tali fornitori, necessario per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’I.v.a. assolta;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il secondo motivo di ricorso, esaminabile prioritariamente per ragioni di ordine logico-giuridico, la contribuente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente e contraddittoria, in relazione alla mancata esplicitazione delle ragioni secondo cui le imprese fornitrici sarebbero prive di soggettività giuridica e alla contestuale affermazione della illegittimità dei recuperi relativi ai costi dedotti derivanti dalle operazioni poste in essere con tali imprese;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha dato atto nella parte narrativa della sentenza che l’Ufficio aveva contestato che le operazioni rilevate, aventi ad oggetto acquisti effettuati dalla contribuente, erano state poste in essere con soggetti “inesistenti”, in quanto non operativi, e si inserivano nell’ambito di uno schema finalizzato all’evasione dell’I.v.a. (cd. frode carosello);

– ha, poi, negato la sussistenza del diritto della contribuente alla detrazione dell’I.v.a. di rivalsa assolta in ordine alle operazioni passive rilevate in considerazione del fatto che la parte non era stata in grado di fornire la prova della “soggettività” delle imprese fornitrici e, quindi, che le prestazioni erano state rese dal fatturante;

– la motivazione del giudice di appello appare, pertanto, idonea ad evidenziare l’iter logico giuridico seguito dal giudice, rendendo in tal modo possibile il controllo sull’esattezza e logicità del ragionamento;

– deve aggiungersi che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la negazione del diritto alla detrazione dell’I.v.a. per difetto della prova della soggettività dei fornitori non si pone in insanabile contrasto – tale da far venir meno la possibilità di individuare il percorso argomentativo del giudice – con l’affermazione della deducibilità dei costi derivanti dall’esecuzione di tali operazioni, avuto riguardo all’eventualità che gli stessi siano stati effettivamente sostenuti e i beni in oggetto siano stati acquistati da altri fornitori;

– con il primo motivo di ricorso la società deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 54, e artt. 2697,2727 e 2729 c.c., per aver la Commissione regionale ritenuto che fosse onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, sotto il soggettivo, anche qualora l’Ufficio non fornisse elementi di prova concernenti l’inesistenza soggettiva delle operazioni e la parte avesse dimostrato l’effettività delle operazioni e la sua buona fede;

– il motivo è inammissibile, in quanto poggia sull’assunto che l’Ufficio non abbia offerto elementi di prova relativi all’inesistenza soggettiva delle operazioni, mentre dalla sentenza emerge l’accertamento del fatto che i beni oggetto di tali operazioni non sono stati ceduti dai fatturanti e che tali soggetti avevano, tutti, la qualità di cartiere;

– in presenza di tali elementi grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (così, Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

– nel caso in esame, non risulta che la parte abbia assolto ad un tale onere probatorio, non essendo sufficiente l’allegazione – peraltro, generica – della sua buona fede, non sufficiente a dimostrare il rispetto dello standard di diligenza esigibile;

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 marzo 2020

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