Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6043 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, (ud. 16/02/2017, dep.09/03/2017),  n. 6043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina L. – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15346/2014 proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA in persona del Dott. S.D. in

qualità di procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA ADRIANA 8, presso lo studio dell’avvocato BIASIOTTI MOGLIAZZA

GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIAVATI PAOLO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., F.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE

COGLITORE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARINO MARINELLI giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2986/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/02/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che, con sentenza resa in data 9/12/2013, la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Unipol Assicurazioni s.p.a. (già UGF Assicurazioni s.p.a. e oggi Unipol-sai Assicurazioni s.p.a.) avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato la stessa società al risarcimento dei danni subiti da B.G. e F.M. per avere questi ultimi confidato nell’apparente validità ed efficacia (determinatasi anche in forza della responsabilità della società assicurativa) di talune polizze stipulate, con essi danneggiati, da tale M.M., attraverso la maliziosa (siccome falsa) spendita, da parte di quest’ultimo, del nome della Unipol;

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la mancata specificazione, da parte della società appellante, delle parti del provvedimento impugnato che la stessa aveva inteso appellare, nonchè delle modifiche richieste rispetto alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, trascurando infine di confrontarsi con le argomentazioni complessivamente dettate dal primo giudice a fondamento della decisione impugnata;

che, avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione la Unipolsai Assicurazioni s.p.a. sulla base di due motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;

che B.G. e F.M. resistono con controricorso, illustrato da successiva memoria;

considerato che, con i due motivi proposti, la società ricorrente si duole della nullità della sentenza o del procedimento (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè della violazione dell’art. 342 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente dichiarato inammissibile l’appello, nonostante la società appellante avesse correttamente rispettato, nella redazione dell’atto di impugnazione proposto dinanzi al giudice di secondo grado, tutte le prescrizioni dettate dall’art. 342 c.p.c., come puntualmente e analiticamente specificato nel ricorso proposto in questa sede;

che entrambi i motivi sono infondati;

che, infatti, nel censurare la decisione del giudice di secondo grado, la società ricorrente assume di poter superare la valutazione di aspecificità dell’appello (fatta propria dalla corte territoriale) attraverso una sostanziale riformulazione, in questa sede, delle censure allora proposte, sulla base di una complessiva disarticolazione strutturale dell’atto d’appello, realizzata mediante la giustapposizione, di brani estratti dall’atto d’appello e dalla motivazione della sentenza di primo grado, nel quadro di moduli logici solo artificialmente costruiti nel ricorso per cassazione, allo scopo di corrispondere, in termini formali, all’esigenza di specificità dei motivi d’appello secondo gli schemi dell’art. 342 c.p.c.;

che una simile formulazione del ricorso per cassazione appare, nella specie, del tutto inidonea a consentire un’adeguata valutazione dell’autonoma intelligibilità dell’atto di appello, segnatamente in relazione alla relativa funzione di strumento di lettura critica della sentenza di primo grado, deputato alla specifica individuazione dei passaggi della decisione sottoposti a impugnazione, delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto, delle circostanze da cui deriva la violazione di legge denunciata e della relativa rilevanza ai fini della decisione impugnata;

che, con riguardo a ciascuno dei requisiti richiamati, si tratta di caratteri che appartengono indefettibilmente alla struttura propria dell’atto d’appello nella sua specifica individualità, necessariamente destinati ad emergere dall’autonoma lettura dell’atto senza che dal giudice d’appello, come dalla stessa corte di cassazione, in sede di legittimità, possa pretendersi la ricerca e l’eventuale ricostruzione, attraverso un’operazione di sostanziale “ortopedia logica” dell’atto, dei contenuti effettivi della volontà critica dell’appellante;

che, nel caso di specie, peraltro, dalla stessa lettura dei motivi d’appello partitamente ripresentati in ricorso, appaiono riproporsi, in forme anche più stilizzate, proprio gli stessi limiti individuati nella sentenza del giudice d’appello, volta a volta legati: ai difetti di decisività delle argomentazioni utilizzate dall’appellante (primo motivo d’appello); alla carente individuazione delle effettive rationes decidendi poste a sostegno della sentenza di primo grado (primo, secondo, terzo e quarto motivo d’appello); alla mancata specifica indicazione delle modifiche richieste, rispetto alla ricostruzione dei fatti compiuta dal primo giudice (secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo d’appello);

che deve pertanto ritenersi che la corte territoriale, nel giudicare non adeguatamente specificate, secondo i termini di cui all’art. 342 c.p.c., le censure proposte avverso la sentenza di primo grado, si sia correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (che il collegio richiama e fa proprio), ai sensi del quale, nel giudizio di appello (che non è un novum iudicium), la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte a incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, con la conseguenza che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame, consuma il diritto potestativo d’impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (cfr. Sez. 1 -, Sentenza n. 18932 del 27/09/2016, Rv. 641832 – 01);

che, sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata l’infondatezza delle censure sollevate dalla società ricorrente nei confronti della sentenza impugnata, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese di giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nel loro complesso in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis,.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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