Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6042 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. III, 12/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 12/03/2010), n.6042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29349-2005 proposto da:

V.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VERONA 9, presso lo studio dell’avvocato GRANOZIO ROMANO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GENNACCARI

GIUSEPPE con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di BAGNOLO DEL SALENTO (OMISSIS), in persona del Sindaco

pro tempore SONIA MARIANO elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ADRIANA 5 SCALA A. INT. 13, presso lo studio dell’avvocato MASIANI

ROBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAZZARI SILVESTRO con

delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 403/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE, Prima

Sezione Civile, emessa il 3/06/2005; depositata il 11/06/2005; R.G.N.

734/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito l’Avvocato ROMANO GRANOZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per rigetta con condanna alle

spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

“Con sentenza 16-17/5/2003 il Tribunale di Lecce – Sez. Distaccata di Maglie-, in funzione monocratica (G.O.A.), accoglieva la domanda proposta da V.I. con atto dell’8/5/1998 e condannava il convenuto Comune di Bagnolo del Salento a corrispondergli la somma di Euro 3.409,70, a titolo di compenso per prestazioni professionali.

Veniva così disattesa l’eccezione opposta dalla P.A., secondo la quale il rapporto dedotto non aveva alcuna giuridica rilevanza, non essendosi tradotto in un regolare contratto scritto.

Con atto notificato il 4.8.2003 il soccombente Comune interponeva, innanzi a questa Corte di Appello, tempestivo gravame avverso la cennata sentenza (che non risulta notificata) e, nel formulare le sue censure, riproponeva l’eccezione dianzi specificata.

Precisate le conclusioni, trascritte in epigrafe, e concessi i termini massimi di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica (ud. coli, del 19 gennaio 2005), la causa passava in decisione alla scadenza di essi”.

Con sentenza 3 – 11.6.05 Corte di Appello di Lecce decideva come segue.

“1- ACCOGLIE l’appello e, per l’effetto, RIGETTA la domanda proposta dal V. con atto di citazione dell’8/5/1998 nei confronti del Comune di Bagnolo del Salento; 2 – DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione V. I..

Ha resistito con controricorso il Comune di Bagnolo del Salento.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi.

Con il primo motivo V.I. denuncia “VIZIO DELLA SENTENZA EX ART. 360 C.P.C., COMMA 1, N. 5 PER OMESSA INSUFFICIENTE E CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA N 403/05 SENT. DELLA CORTE DI APPELLO DI LECCE” esponendo doglianze da riassumere come segue. I Giudici della Corte di Appello di Lecce si limitano a rilevare una “giurisprudenza dei giudici di legittimità” che richiederebbe per la regolarità formale dell’incarico conferito ai tecnici da parte delle amministrazioni pubbliche, e per procedere al successivo pagamento, “il requisito della, forma scritta”. Nulla è detto in ordine alla prova offerta dal ricorrente circa la sussistenza della forma scritta nel caso in esame, limitandosi la Corte a rilevare che detto requisito “non può essere ravvisato in atti amministrativi”. Ma nella fattispecie non si tratta di atti interni, essendo stata esternata la volontà delle parti di concludere un vero e proprio contratto, con previsione di compiti, obblighi, mansioni e compensi, indicazione delle previsioni di spesa e copertura finanziaria; gli atti offerti in deposito (Delibera della Giunta Municipale del Comune di Bagnolo n. 127 del 25/06/92. verbale di consegna dei lavori del 01/10/1992, secondo verbale steso in calce al primo in data 09/10/92), suppliscono in maniera equipollente alle sacralità delle forme indicate dalla Corte di Appello.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia “VIZIO DELLA SENTENZA EX ART 360 C.P.C., COMMA 1, N. 3 PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DI NORME E PRINCIPI DI DIRITTO” esponendo censure che vanno riassunte nel modo seguente. Il principio richiamato dalla Corte è effettivamente stato elaborato dalla Giurisprudenza, laddove si è precisato che la necessità di un atto scritto è quella di garantire il “regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, che della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, (ed è) espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della FA posti dall’art. 97 Cost.” (Cass. Civ. Sez. 2^, Sent. n. 7819 del 19/05/03). Ma tale finalità è stata perfettamente soddisfatta nel caso in esame poichè tutti gli atti sono stati regolarmente registrati agli archivi del comune ed i relativi pagamenti previsti e liquidati (salvo quello in favore dell’esponente) nel rispetto delle norme sulla contabilità e la imparzialità della PA; in particolare la delibera di incarico risulta “essere tradotta in un autonomo documento sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente e dal professionista” (Cass. Sent.

n. 7819/03; Conf. Cass. Sent. n. 7962/03) e il successivo rapporto professionale è stato costituito in ottemperanza e nel rispetto delle previsioni di legge, poichè fa Giurisprudenza della Suprema Corte richiede la presenza di un “atto contrattuale” senza alcuna specificazione in ordine al tipo di atto ed alle modalità di redazione.

I due motivi non possono essere accolti.

Anzitutto va ribadito il seguente principio di diritto: “Il contratto d’opera professionale stipulato con la P.A. (nella specie, un comune), anche se questa agisca iure privatorum, deve essere redatto, a pena di nullità, informa scritta R.D. n. 2440 del 1923, ex artt. 16 e 17; l’osservanza di detto requisito richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti (quali, ad esempio, la delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, ovvero una missiva con la quale l’organo legittimato a rappresentare l’ente ne abbia comunicato al professionista l’adozione) ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell’accennazione da parte del medesimo professionista. Il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poichè gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti” (Cass. Sentenza n. 22501 del 19/10/2006; v. anche Cass. Sentenza n. 22537 del 26/10/2007).

Alla luce di tale principio di diritto e dell’impostazione dei motivi di ricorso, la parte ricorrente, per sostenere validamente la sua tesi, avrebbe dovuto, in base al principio dell’autosufficienza del ricorso riportare il contenuto degli atti su cui basa il suo assunto (v. tra le altre: Cass. Sentenza n. 15952 del 17/07/2007; Cass. Sentenza n, 4849 del 27/02/2009; Sentenza n. 4849 del 27/02/2009).

In difetto di ciò i motivi vanno dichiarati inammissibili; ed il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come segue.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 800,00 (ottocento Euro) per onorario, oltre Euro 200,00 (duecento Euro) per spese vive ed oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

 

 

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