Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6041 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4071/2012 R.G. proposto da:

Z.M., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Codemo e

Giuseppe Marini, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, sito in Roma, via di Villa Sacchetti, 9;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 102/14/10, depositata il 16 dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

Fatto

RILEVATO

CHE:

– Z.M., esercente l’attività di assemblaggio di apparecchiature per conto terzi, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 16 dicembre 2010, di reiezione dell’appello dal medesimo avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui l’Ufficio ha rettificato la dichiarazione resa per l’anno 2002, recuperato le imposte non versate e irrogate dalla relativa sanzione;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale atto l’Amministrazione finanziaria, rilevata l’inattendibilità delle scritture contabili in quanto prive del requisito della chiarezza, ha proceduto alla rideterminazione dei costi dedotti in misura inferiore rispetto a quella dichiarata;

– il giudice di appello ha disatteso il gravame del contribuente evidenziando, da un lato, l’assenza di chiarezza e trasparenza delle scritture contabili relativamente a quelle relative a lavorazioni affidate a terzi (per l’esattezza, all’impresa gestita dal coniuge), e, dall’altro, la legittimità del ricorso alle presunzioni utilizzate per la rideterminazione del reddito;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, nonchè la falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 41 bis e 54, e T.U. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (oggi, art. 109);

– evidenzia, in proposito, che la Commissione regionale non avrebbe indicato il fondamento normativo della sua decisione di disconoscere il costo dichiarato dall’impresa, basata sulla rilevata mancanza di chiarezza delle scritture contabili, e, inoltre, non avrebbe tenuto in considerazione la circostanza relativa alla mancata contestazione da parte dell’Ufficio della correttezza formale dei dati prodotti in giudizio dalla parte;

– censura sostanzialmente identica è formulata con il secondo motivo con cui la parte deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso decisivo per il giudizio;

– con il terzo motivo il ricorrente si duole della insufficiente motivazione della sentenza nella parte in cui ha disconosciuto costi dichiarati, in relazione all’omessa indicazione dei fatti posti a fondamento della presunzione di inesistenza degli stessi;

– con l’ultimo motivo di ricorso deduce l’insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti per operare l’accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d);

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati;

– la sentenza di appello considera corretto il rilievo dell’Ufficio in ordine alla mancanza di chiarezza e trasparenza delle scritture contabili nella parte relativa alla “rappresentazione dei passaggi delle lavorazioni tra l’uno nell’altra delle ditte che operavano” e al conseguente difetto di “una rappresentazione contabile leggibile”, evidenziando che la legittimità dell’assunto è stata riconosciuta anche dal contribuente;

– ritiene, quindi, che la rilevata incompletezza dei dati contabili della contribuente consentiva la rettifica della dichiarazione da parte dell’Amministrazione finanziaria previo accertamento dell’inesistenza di costi dichiarati, desunto da elementi presuntivi, individuati nella rilevante incongruenza dei costi per collaudo di contaminuti per forni scaldavivande rispetto agli indici di mercato e di quelli per assemblaggio di parti di rubinetti per macchine da caffè rispetto a quelli posti dal contribuente a carico dei committenti per le medesime operazioni;

– in tal modo, ha, da un lato, posto a fondamento della sua decisione una motivazione che consente di individuare il percorso argomentativo seguito di ricostruire l’iter seguito dal giudice e di apprezzarne la sufficienza sotto il profilo logico-giuridico;

– dall’altro, ha fatto corretta applicazione della normativa rilevante, in quanto, in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’I.v.a., la legge – rispettivamente al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe” (cfr. Cass., ord., 7 giugno 2017, n. 14237; Cass. 23 aprile 2010, n. 9784);

– non può trovare ingresso, infine, la doglianza, espressa nei motivi di ricorso in oggetto, relativa al mancato esame da parte della Commissione regionale della documentazione prodotta dal contribuente tendente a dimostrare l’esistenza dei costi dichiarati, dovendosi rilevare, sul punto, il suo difetto di specificità, avuto riguardo all’assenza di qualsiasi deduzione in ordine agli atti prodotti e al loro contenuto, nonchè alla sede in cui la produzione sarebbe avvenuta;

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 marzo 2020

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