Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6040 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. III, 12/03/2010, (ud. 11/12/2009, dep. 12/03/2010), n.6040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19557/2005 proposto da:

A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANASTASIO II 80, presso lo studio dell’avvocato BARBATO

Adriano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRIECI

GIULIO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO ORTOPEDICO GALEAZZI SPA (OMISSIS) in persona del

Presidente prof. R.G., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato

PERILLI Maria Antonietta, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati ROBOTTI LUCIANA, PENCO FELICE giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

T.D.A.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1686/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Prima Civile, emessa il 18/2/2004, depositata il 15/06/2004,

R.G.N. 3657/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/12/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato ADRIANO BARBATO;

udito l’Avvocato MARIA ANTONIETTA PERILLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

Adito da A.A. perchè fosse accertata e dichiarata la fondatezza della propria richiesta di risarcimento danni conseguenti alle lesioni riportate a seguito di un intervento chirurgico eseguito dal Dott. T. presso l’istituto ortopedico “(OMISSIS)”, il giudice di primo grado respinse la domanda.

L’impugnazione proposta dall’attrice fu rigettata dalla corte di appello di Milano, che ritenne esente da qualsivoglia profilo di colpa la scelta terapeutica e l’attività chirurgica così come adottate dal sanitario, giudicando la CTU “motivata, logicamente congruente, impostata su validi criteri scientifici”.

La sentenza è stata impugnata da A.A. con ricorso per cassazione articolato in 7 motivi.

Resiste con controricorso l’istituto ortopedico (OMISSIS).

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Va premessa la irritualità (e la conseguente irricevibilità) delle nuove produzioni depositate in questa sede, in aperto contrasto con il disposto dell’art. 372 c.p.c..

Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 196 c.p.c..

Il motivo è privo di pregio.

Premesso che la decisione in ordine alla eventuale sostituzione del perito di ufficio da parte della corte di appello rientra tra i poteri discrezionali di quel giudice, quale espressione di una attività istruttoria incensurabile in sede di legittimità se, come nella specie, ampiamente, congruamente e condivisibilmente motivata (ff. 18-19 delle sentenza impugnata), osserva il collegio come la denuncia di violazione di legge così come prospettata dal ricorrente nell’intestazione del motivo in esame non trova poi il suo logico sviluppo e la sua conseguente articolazione con riferimento all’interpretazione della norma che si assume violata, in tal modo precludendosi alla corte il necessario controllo di legittimità sul presunto vizio di violazione di legge (affaticandosi per converso il ricorrente a censurare la sentenza impugnata sotto il profilo motivazionale, e così dimenticando che, giusta principi di diritto ormai consolidati in seno alla giurisprudenza di legittimità, il controllo di legittimità sulle pronunzie dei giudici di merito demandato alla Corte Suprema di Cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e, le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è preordinato all’annullamento delle pronunzie viziate da violazione di norme sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero viziate da omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, e che le parti procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 4. Ne consegue che è inammissibile il ricorso prospettante una sequela di censure non aventi ad oggetto uno dei suindicati vizi e non specificamente argomentate con riferimento ai medesimi, bensì volte esclusivamente ad acriticamente contrapporre, senza sviluppare alcuna argomentazione in diritto, soluzioni diverse da quelle desumibili dalla sentenza impugnata: così, tra le tante, Cass. 1317/2004; 3 aprile 2003, n. 5140).

Il motivo presenta, pertanto, prima ancora che aspetti di infondatezza, patenti profili di inammissibilità.

Con il secondo motivo, si denuncia un vizio di motivazione omessa su di un punto decisivo della controversia.

Lamenta il ricorrente la mancata considerazione dei rilievi contenuti nella consulenza tecnica di parte.

Il motivo è infondato.

La corte territoriale con ampie, accurate ed esaustive argomentazioni, ha, dapprima, compiutamente analizzato il contenuto degli atti di parte, per poi disattenderne il contenuto, tanto sotto il profilo formale (con riguardo alla relazione D., legittimamente dichiarata irricevibile attesane la natura di parere tecnico funzionale alla contestazione della CTU, ma introdotta al di fuori delle regole dettate per disciplinare le modalità di deposito delle relazioni di parte) quanto sotto quello sostanziale (per essere le osservazioni svolte del tutto inidonee a confutare le conclusioni della ctu), con motivazione scevra da errori logico giuridici che questa corte ritiene del tutto incensurabile in sede di legittimità.

Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 356 c.p.c., per la mancata ammissione delle circostanze addotte con i capitoli 5 e 6 dell’atto di appello.

Il motivo è inammissibile, attesone la patente lesione, in parte qua, del principio di autosufficienza del ricorso.

Con il quarto motivo, si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c.;

la insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Con il quinto motivo, si denuncia, in stretta connessione, con la doglianza che precede, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1176 c.c., comma 2, artt. 1218 e 2236 c.c.); la omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

La censura è destituita di giuridico fondamento.

Il coacervo di critiche mosse alle conclusioni della CTU e, con esse, al decisum della corte territoriale si infrangono, difatti, sul corretto, logico e coerente impianto motivazionale che caratterizza la sentenza impugnata. Entrambi i motivi, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d.

legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Con il sesto motivo, si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere l’istituto (OMISSIS) omesso di fornire la prova di aver informato la ricorrente della necessità di sottoporsi ad ulteriori interventi come tappe necessarie di un normale programma chirurgico.

Il motivo è inammissibile, avendo ad oggetto una doglianza del tutto nuova, mai dibattuta in sede di merito, senza che il ricorrente indichi, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, in quale fase del giudizio essa sia stata tempestivamente sollevata ed illegittimamente disattesa.

Il settimo motivo riguarda la disciplina delle spese processuali, ed è palesemente infondato perchè in violazione del principio della soccombenza.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il ricordato principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 3700,00 di cui Euro 200,00 per spese generali.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

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