Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6040 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, (ud. 09/02/2017, dep.09/03/2017),  n. 6040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25831-2014 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

72, presso lo studio dell’avvocato MARZIA ROSITANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENRICO MINERVINI;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA già INA ASSITALIA SPA, conferitaria del ramo

d’azienda di GENERALI ASSICURAZIONI SPA, in persona dei suoi

procuratori speciali P.V. e D.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo

studio dell’avvocato VALENTINO FEDELI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO ANNUNZIATA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2106/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/02/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 14/5/2014 la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalle Assicurazioni Generali s.p.a., e in totale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da O.A. nei confronti della Generali s.p.a., quale impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, al risarcimento dei danni subiti per effetto del sinistro stradale dedotto in giudizio.

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la mancata acquisizione di alcuna prova certa in ordine alla presenza e all’effettivo coinvolgimento, nel sinistro stradale dedotto dall’attore, di una terza vettura rimasta ignota, dovendo a ascriversi il fatto dannoso all’integrale responsabilità dell’attore.

3. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione O.A. sulla base di tre motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria.

4. Resiste con controricorso la Assicurazioni Generali s.p.a., che ha concluso per il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 116 e 194 c.p.c., e dell’art. 2733 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente governato la valutazione delle risultanze istruttorie, procedendo alla selezione del materiale probatorio utilizzato sulla base di argomentazioni di carattere apodittico e dunque scorretto sul piano logico-giuridico, trascurando l’esame del fatto decisivo consistito nella circostanza dell’effettivo utilizzo, da parte dell’ O., delle cinture di sicurezza al momento dell’incidente.

2. Con il secondo e il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale valutato in modo illogico l’attendibilità dei testi assunti nel corso del giudizio, trascurando di tener conto della circostanza decisiva costituita dalla presenza dei testimoni D.G. e D. sul luogo del fatto al momento del sinistro, nonchè per aver valutato in modo illogico il valore probatorio degli accertamenti della polizia stradale e dei restanti rilievi obiettivi acquisiti agli atti del giudizio, procedendo al relativo esame in modo apodittico, trascurando di esaminare la circostanza decisiva circa la presenza di un’altra auto pirata sul luogo dell’incidente.

3. Tutti e tre i motivi di ricorso – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono inammissibili.

Preliminarmente, osserva il collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione (qui dedotta con la prima censura) dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01).

Peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01).

Nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità

Nel resto, varrà evidenziare come, attraverso le censure illustrate sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione.

In particolare, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente, il ricorrente, nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

Quanto al profilo del vizio di motivazione, le censure dell’ O. risultano limitate a delineare i tratti di un vaglio di legittimità esteso al riscontro di pretesi difetti o insufficienze motivazionali (nella prospettiva dell’errata interpretazione o configurazione del valore rappresentativo degli elementi di prova esaminati) del tutto inidonei a soddisfare i requisiti imposti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che, secondo il testo nella specie applicabile, conferisce rilevanza (come già in precedenza indicato) al solo omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti: fatti, nella specie non dedotti dal ricorrente in modo conforme allo schema legale, essendosi l’ O. limitato al richiamo di circostanze di fatto che i giudici del merito ebbero effettivamente ad esaminare, ovvero a fatti dei quali risulta del tutto omessa l’articolazione dei profili di effettiva e incontrovertibile decisività, ai fini della risoluzione della controversia.

4. All’inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 20.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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