Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6040 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2491/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

Costruzioni Angela s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore

pro tempore, S.S., M.P. e Casamarca s.r.l.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti

rappresentati e difesi dall’avv. Marco Francescon, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Cancrini, sito in Roma,

via Quintino Sella, 23;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 87/22/10, depositata il 14 dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

Fatto

RILEVATO

CHE:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 14 dicembre 2010, che, in accoglimento dei – riuniti – appelli proposti dalla Costruzioni Angela s.r.l. in liquidazione, nonchè dalla Casamarca s.r.l. e da S.S., quali suoi soci, ha annullato gli avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria aveva rettificato la dichiarazione resa dalla predetta Costruzioni Angela s.r.l. per l’anno 2003 e recuperate le imposte non versate, anche nei confronti dei menzionato soci, nonchè del socio M.P.;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tali atti l’Ufficio aveva contestato gravi incongruenze tra i prezzi risultanti dagli atti di compravendita di immobili e quelli di mercato e, sulla base di tali elementi, aveva proceduto alla rettifica delle dichiarazioni per via induttiva;

– il giudice di appello ha dato atto che la Commissione provinciale, riuniti i ricorsi proposti, separatamente, dai singoli contribuenti destinatari degli avvisi di accertamento, aveva accolto parzialmente le impugnazioni, rideterminando i maggiori ricavi della società in Euro 303.264,39 e, corrispondentemente, i redditi dei soci Casamarca s.r.l. e S., mentre aveva annullato l’atto impositivo emesso nei confronti del socio M., ritenendo non provata la conoscenza da parte di questi del processo verbale di constatazione e dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società;

– ha, quindi, accolto i – riuniti – gravami della Costruzioni Angela s.r.l. in liquidazione, Casamarca s.r.l. e S.S. evidenziando, da un lato, l’inapplicabilità delle disposizioni di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223, e, dall’altro, l’assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni posti a fondamento della determinazione dei maggiori ricavi della società;

– anche per tali ragioni, nonchè per quelle evidenziate dal giudice di primo grado, ha respinto l’appello incidentale dell’Ufficio avente ad oggetto il capo della sentenza di primo relativo all’annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio M.;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resistono, con unico controricorso, la Costruzioni Angela s.r.l. in liquidazione, S.S., M.P. e la Casamarca s.r.l.;

– il pubblico ministero conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso;

– i controricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1

c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione degli artt. 2495 c.c. e 100 c.p.c., per aver la sentenza impugnata omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello proposto dalla Costruzioni Angela s.r.l. in liquidazione in quanto la stessa era già stata cancellata dal registro delle imprese sin da epoca antecedente la proposizione del ricorso introduttivo;

– il motivo è fondato;

– è fatto incontestato tra le parti che la Costruzioni Angela s.r.l., posta in liquidazione il 1 gennaio 2004, è stata cancellata dal registro delle imprese con effetto dal successivo 1 dicembre, in epoca antecedente alla notifica dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti;

– orbene, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche la società di capitali, sebbene non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti, e priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (cfr. Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070);

– già prima dell’introduzione del giudizio di primo grado, dunque, la capacità processuale della società contribuente era venuta meno e, conseguentemente, anche la legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore (cfr. Cass. 23 marzo 2016, n. 5736; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21188);

– ciò conduce, da un lato, alla declaratoria di inammissibilità della costituzione nel presente giudizio della società e, dall’altro, all’annullamento senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., del capo della sentenza impugnata relativo all’avviso di accertamento emesso nei confronti di tale società, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24,D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, conv., con modif., nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, e art. 2697 c.c., per aver il giudice di appello omesso di considerare che, vertendosi in un caso di accertamento fondato sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli ragionevolmente attesi in base alle caratteristiche dell’attività svolta, tale circostanza potesse fondare l’accertamento di maggiori ricavi anche in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti;

– in proposito, va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dai controricorrenti sul presupposto dell’assenza di decisività della questione prospettata, in quanto, diversamente da quanto da questi sostenuto, dalla sentenza impugnata non è dato desumere che la Commissione regionale abbia escluso la sussistenza delle allegate “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli che era ragionevole attendersi;

– nel merito, il motivo è fondato;

– il D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, conv. nella L. n. 427 del 1993, stabilisce, nella formulazione pro tempore vigente, che “gli accertamenti di cui al del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto, art. 62-bis “;

– tale disposizione autorizza, dunque, l’Ufficio finanziario, allorchè ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche al di fuori delle ipotesi previste del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) (e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) e, dunque, anche in assenza dei relativi presupposti;

– in particolare, la dimostrazione di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desunta, indipendentemente dalla ricorrenza di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), dalla “grave incongruenza” rilevata, la quale costituisce elemento presuntivo di carattere legale, idoneo, di per sè, a fondare l’accertamento del maggior reddito;

– deve, infatti, ritenersi che l’accertamento del reddito mediante applicazione del metodo analitico-induttivo può avvenire sia in presenza degli elementi di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sia in presenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli che è ragionevole attendersi alla luce delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio dell’attività svolta, elevate dal legislatore ad elemento presuntivo del maggior reddito conseguito dal contribuente;

– conseguentemente, laddove l’Amministrazione notifica un avviso di accertamento fondato sull’esistenza di tali “gravi incongruenze” è onere del contribuente allegare e dimostrare l’esistenza di elementi idonei a superare la presunzione su cui l’atto impositivo si fonda;

– pertanto, la Commissione regionale, nel ritenere che, pur in presenza di un accertamento fondato sul significativo scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi da attendersi in ragione delle caratteristiche dell’attività svolta – circostanza pacificamente riconosciuta dalle parti -, tale elemento presuntivo non potesse fondare l’accertamento del maggior reddito in quanto privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, non ha fatto corretta applicazione dell’affermato principio di diritto;

– al secondo motivo di ricorso segue l’assorbimento del terzo si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, rappresentato dalle gravi incongruenze contestate;

– il quarto motivo la ricorrente si duole, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione del divieto di extra e ultra petizione per aver la Commissione regionale annullato anche gli atti impositivi notificati nei confronti degli ex soci benchè questi ultimi, con i ricorsi originari, non avessero contestato la sussistenza dell’obbligazione tributaria della società;

– il motivo è inammissibile, in quanto poggia su un assunto, individuato nella mancata contestazione dell’atto presupposto fondante la responsabilità degli ex soci, che risulta smentito dall’esame dei ricorsi da questi proposti in primo grado e dei relativi atti di appello;

– con l’ultimo motivo di ricorso l’agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, per aver la sentenza impugnata, con riferimento all’atto impositivo notificato all’ex socio M., confermato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto tale atto viziato per carenza di motivazione, introducendo, in tal modo, una seconda ratio decidendi a fondamento della sua decisione di annullamento dell’atto medesimo;

– evidenzia, in proposito, che il provvedimento notificato conteneva tutti gli elementi della pretesa impositiva e il riferimento alle fonti di prova, nonchè la dettagliata ricostruzione di tutta la vicenda nella quale la società era coinvolta;

– il motivo è ammissibile, in quanto, diversamente da quanto eccepito dalla parte controricorrente, gli elementi di fatto esposti nel ricorso, valutati unitamente a quelli accertati nella sentenza, consentono una chiara individuazione degli elementi necessari a cogliere il significato e la portata della censura rivolta alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo;

– del pari priva di pregio è l’eccezione di carenza di interesse formulata in base alla considerazione che la carenza di motivazione non avrebbe costituito una autonoma ratio decidendi, in quanto, come rilevato, dall’esame della sentenza si evince che il giudice abbia posto a fondamento anche tale ratio, richiamando la motivazione della decisione di primo grado e affermando che la stessa deve ritenersi integrata con l’ulteriore argomentazione rappresentata dall’inesistenza di presunzioni gravi, previse e concordanti di un maggior reddito della società non dichiarato;

– ulteriore eccezione di inammissibilità del motivo attiene alla novità della doglianza, in quanto con l’appello l’Ufficio aveva contestato tale statuizione in relazione alla qualità imputata al contribuente di ex liquidatore della società e, dunque, alla sua conoscenza di tali atti, mentre con il motivo in esame l’Amministrazione finanziaria deduce l’assenza del vizio in base alla completezza, sotto il profilo motivazionale, dell’atto notificato al contribuente;

– anche tale eccezione va disattesa, venendo in rilievo la prospettazione di diverse argomentazioni difensive a sostegno della medesima censura

– proposta in appello e reiterata in questo giudice – avente ad oggetto la insussistenza dell’allegato vizio di carenza di motivazione dell’atto impositivo;

– nel merito, il motivo è fondato;

– l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel petitum e nella causa petendi, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria (cfr. Cass. 21 novembre 2018, n. 30039);

– l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, sicchè detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso;

– la Commissione regionale, nel ritenere sussistente il vizio di motivazione in ragione della mancata conoscenza da parte dell’ex socio di atti notificati alla società, non ha fatto corretta applicazione del richiamato principio, omettendo di valutare se la conoscenza del contenuto di tali atti fosse necessaria, in relazione all’esigenza di mettere il contribuente a conoscenza dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’atto e di garantirgli, in tal modo, l’esercizio del diritto di difesa, e, eventualmente, se tale esigenza non fosse stata soddisfatta mediante la riproduzione del loro contenuto, nei tratti essenziali, nell’atto notificato;

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso e dichiara inammissibile il quarto e assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata senza rinvio e dichiara il ricorso originario inammissibile, limitatamente al giudizio vertente tra l’Agenzia delle Entrate e la Costruzioni Angela s.r.l. in liquidazione; cassa la sentenza impugnata, limitatamente ai giudizi vertenti tra l’Agenzia delle Entrate e S.S., M.P. e la Casamarca s.r.l., con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 marzo 2020

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