Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6035 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6035 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n.ro 7404 del Ruolo Generale degli
affari civili dell’anno 2008, proposto:
DA
DINO BELLARINI,

elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Bissolati n. 76, nello studio degli avv.ti Riccardo Villata,
Andreina Degli Esposti e Mauro Pisapia, che lo rappresentano
e difendono, per procura a margine del ricorso notificato il
3 – 10 marzo 2008.
RICORRENTE PRINCIPALE
CONTRO

25- (5

Data pubblicazione: 14/03/2014

1. A.N.A.S. s.p.a. – AZIENDA NAZIONALE DELLE STRADE,

in

persona del presidente p.t., per legge rappresentato e
difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso questa
domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.
2. COM-EDILE COSTRUZIONI GENERALI s.p.a., in liquidazione e

concordato preventivo, in persona del liquidatore dr.

giudizio da decreto del giudice delegato dr. Fabrizio
Fanfarillo del 12 aprile 2008 ed elettivamente domiciliato
in Roma, alla Via C. Monteverdi n. 20, presso l’avv. Antonio
Pacifico che, unitamente e disgiuntamente con l’avv. Marco
Bonomo da Sondrio, la rappresenta e difende, per procura in
calce al controricorso, notificato il 18 – 21 aprile 2008.
CONTRORICORRENTI

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, l^
sezione civile, n. 43/1/07 del 10 gennaio – 14 febbraio
2007, non notificata alle parti. Udita, all’udienza del 31
gennaio 2014, la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte.
Udito l’avv. Monica Nardulli, per delega dell’avv. Villata,
per il ricorrente, e l’avv. Pacifico per la controricorrente
Com Edile; sentito il P.M., in persona del sostituto
procuratore generale dr. Maurizio Velardi, che conclude per
la inammissibilità del primo motivo e l’accoglimento per
quanto di ragione del secondo e terzo motivo.
Svolgimento del processo

2

Antonio Bartolomeo Della Mano, autorizzato a stare in

Maria Carmen Menesatti e Dino Bellarini, proprietari di un
terreno di circa mq. 1170 in Comune di Sondrio in Catasto
Terreni a F. 49, Mapp. 79/a, urbanisticamente classificato U3 e
destinato ad attrezzature comprensoriali dal locale P.R.G., su
cui era stato realizzato il nuovo centro comprensoriale
dell’A.N.A.S. dichiarato di pubblica utilità con decreto del

suolo era stato occupato su autorizzazione del Prefetto di
Sondrio in data 31 dicembre 1990, con citazione notificata il 21
dicembre 1996, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di
Milano, l’A.N.A.S. e la COM-Edile s.p.a., committente e impresa
che avevano realizzato l’opera, perché fossero condannati a
risarcire i danni cagionati con tale occupazione ovvero a pagare
il controvalore del bene da loro trasformato.
Gli attori deducevano che il loro terreno aveva un valore di
mercato di £. 399.645 a mq. e in totale di £ 476.584.650,
deducendo che avrebbero rinunciato alla domanda nei confronti
del convenuto che fosse stato ritenuto dall’adito tribunale
privo di legittimazione passiva nella causa.
Si costituiva la Com-Edile e, premesso di avere appaltato a
cottimo fiduciario i lavori di costruzione dell’indicato centro
per un corrispettivo di £ 1.387.510.000, e di avere avuto
l’incarico di espletare, in nome e per conto della committente
le pratiche espropriative, procedendo all’occupazione di urgenza
delle aree necessarie all’opera da realizzare, deduceva di avere
3

Ministro dei Lavori Pubblici del 7.05.1990, premesso che il loro

concluso i lavori in data 2 giugno 1992, quando ancora
l’occupazione era legittima, essendo stata prorogata dal
Prefetto di Sondrio fino al 12 giugno 1996, per cui denegava
ogni comportamento illecito proprio e chiedeva il rigetto della
domanda risarcitoria nei suoi confronti ovvero la condanna
dell’A.N.A.S. a tenerla indenne dalle pretese degli attori.

passiva l’appaltatrice, rilevando che il termine di occupazione
legittima era stato prorogato, come già dedotto dalla Com-Edile,
per cui nulla poteva pretendersi, a titolo di risarcimento del
danno, essendo improcedibile o improponibile la domanda per
difetto temporaneo di giurisdizione derivante dalla pendenza del
procedimento espropriativo ancora in corso.
Era anche contestato l’ammontare del risarcimento domandato che,
per la convenuta Azienda, era da determinare ai sensi dell’ art.
3, coma 65, della Legge n. 662 del 1996.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1418/2003 del 23
dicembre 2002, sul presupposto che la mancata emissione del
decreto di esproprio nel termine indicato del 12 giugno 1996
aveva determinato l’accessione invertita della proprietà a
favore dell’A.N.A.S. e l’obbligo di questa di risarcimento del
danno, rilevava che, con l’approvazione del progetto da eseguire
dal Ministero dei Lavori pubblici del 7 maggio 1990, risultavano
i termini di: a) 360 giorni per l’inizio dei lavori; b)720
giorni per il compimento di essi; c) 1.500 giorni per la
4

i

L’A.N.A.S. si costituiva e indicava come unica legittimata

conclusione del procedimento ablatorio.
Affermava il primo giudice che il D.M. di cui sopra aveva
fissato il termine ultimo per emettere il decreto di esproprio
entro 1500 giorni, quindi al 16 giugno 1994, per cui si sarebbe
dovuto disapplicare il decreto del Prefetto di Sondrio che aveva
ulteriormente prorogato tale data, eccedendo dai limiti dei suoi

ad esso seguite, non avessero esse stesse prorogato l’indicato
termine di un biennio e fino al 16 giugno 1996.
A tale data cessava la fase di occupazione legittima e la
trasformazione irreversibile delle aree intervenuta durante tale
periodo aveva comportato la consumazione dell’illecito acquisto
originario delle stesse per accessione invertita, per la quale i
loro proprietari avevano diritto al risarcimento.
Tale risarcimento doveva liquidarsi con i criteri di cui
all’art. 5 bis, comma 7, della Legge n. 359 del 1992, ritenuti
conformi alla Costituzione da Corte Cost. 4 febbraio 2000 n. 24
e la somma riconosciuta a tale titolo era di e 59.315,07, al cui
pagamento doveva condannarsi la sola A.N.A.S., avendo Com-Edile
agito sempre e solo in nome e per conto dell’Azienda
nell’esecuzione dell’appalto e nel compimento degli atti della
procedura espropriativa, per cui nessun atto illecito era
attribuibile all’appaltatrice.
Mancando la prova della responsabilità della delegata Com-Edile,
per l’omessa o tardiva emissione del decreto di espropriazione,
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poteri, se l’art. 5 bis della legge n. 42 del 1985 e altre norme

la sentenza citata del Tribunale di Milano ha affermato che solo
la committente-delegante A.N.A.S. doveva rispondere dei danni
prodotti ai coniugi Bellàrini a titolo risarcitorio.
Con il gravame contro la sentenza del tribunale, i coniugi
Bellarini-Menesatti hanno chiesto in primo luogo di affermare la
corresponsabilità delle due società convenute A.N.A.S. e Com-

risarcimento del danno e, in secondo luogo, di rettificare la
data di consumazione dell’illecito erroneamente fissata al 16
giugno 1996, ma in realtà anteriore e, quindi, nel ritenere le
aree occupate non edificabili alla data della acquisizione di
esse dall’Azienda.
L’appello è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano con
la citata sentenza del 14 febbraio 2007, che ha integralmente
compensato le spese del grado tra le parti, confermando la
pronuncia di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza, Dino Bellarini, anche quale
vedovo ed unico erede di Maria Carmen Menesatti deceduta nelle
more, propone ricorso di tre motivi notificato a mezzo posta il
7-8 e 12-13 marzo 2008 e illustrato da memoria ai sensi
dell’art. 378 c.p.c., cui resistono l’A.N.A.S. s.p.a. e la ComEdile s.p.a. con controricorsi, notificati rispettivamente 1’11
aprile 2008 e il 18 – 21 aprile dello stesso anno, il secondo
dei quali seguito da memoria illustrativa tempestivamente
depositata.
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Edile, entrambe legittimate passive nella presente azione di

Motivi della decisione

1.1. Il primo motivo del ricorso del Bellarini attiene alla
responsabilità solidale dell’A.N.A.S. e della Com-Edile,
denegata dalla Corte d’appello di Milano, che ha respinto la
domanda nei confronti dell’impresa, in violazione dell’art. 2043
c.c. e dell’art. 360, comma l, n. 5 c.p.c.

si era riservata la produzione di documenti che dovevano
esentarla da ogni responsabilità, atti che non sono stati invece
esibiti, per cui nessuno dei convenuti aveva provato la sua
estraneità alla vicenda e quindi si sarebbe dovuta dichiarare la
corresponsabilità di entrambe le convenute.
Ad avviso del ricorrente, la delega al compimento delle
operazioni espropriative non libera il delegante dalla
responsabilità per fatti illeciti posti in essere nel corso di
esse, per essere esso tenuto a promuovere la procedura ablatoria
e ad esercitare i suoi poteri, d’intesa con il delegato, per
giungere ad una corretta conclusione del procedimento ablatorio
(in ricorso sono citate Cass. 2 luglio 2007 n. 14959 e 12 giugno
2006 n. 13585 relative ad espropriazioni per edilizia
residenziale).
Ad avviso del ricorrente, l’illecito deve ascriversi non solo al
delegante, come sancito in sede di merito, ma anche al delegato
autore materiale di esso che, agendo d’intesa con il soggetto in
nome e per conto del quale opera, ha posto in essere
7

La stessa sentenza di appello precisa che nel caso la Com-Edile

materialmente l’attività lesiva dei diritti del danneggiato e
deve quindi risponderne anche esso.
Richiamata numerosa giurisprudenza di questa Corte nei sensi
indicati, il ricorrente denuncia la contraddittorietà della
motivazione della sentenza oggetto di ricorso, che nega ogni

trasformazione irreversibile delle aree oggetto di causa, come
affermato da altra sentenza dello stesso Tribunale di Milano
(Sez. l” 16 maggio 2003 n. 6730), nell’ambito del medesimo
procedimento espropriativo.
Il quesito di diritto che conclude il primo motivo di ricorso
chiede a questa Corte di affermare la responsabilità della
società Com-Edile in rapporto alla irreversibile trasformazione
del suolo del ricorrente, da essa materialmente posta in essere.
1.2.11 secondo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art.
360, comma l ° , n.ri 3 e 5, c.p.c., in relazione all’art. 5 bis,
comma 7, del Decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito
nella L. 8 agosto 1992 n. 359, e dell’art. 2043 c.c., per avere
la sentenza impugnata condiviso le affermazioni del Tribunale in
ordine al valore delle aree espropriate e confermato
l’applicazione del citato art. 5 bis della L. n. 359 del 1992,
dichiarato incostituzionale con sentenza del giudice delle leggi
22 – 31 ottobre 2007 n. 349.
L’area soggetta a trasformazione è contigua ad una pluralità di
edifici per civili abitazioni, che sono stati realizzati fino al
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responsabilità dell’impresa la quale ha materialmente operato la

centro del Comune di Sondrio, ed è dotata di tutti i servizi che
la rendono edificabile, per cui erroneamente ha operato il
c.t.u. nel tenere conto dei soli limiti alla edificabilità
legale imposti dai vigenti strumenti urbanistici.
Va solo escluso che possa rilevare il vincolo preordinato all’
esproprio, dovendosi dare rilievo alla concreta attitudine dei

invece tenuto nel merito, avendo la Corte d’appello fatto
riferimento ai soli indici di utilizzabilità fondiaria previsti
nel P.R.G. e dalle Norme tecniche di attuazione.
Si è così sacrificato il diritto di proprietà del ricorrente
oltre ogni limite di ragionevolezza, senza valutare i requisiti
di edificabilità di fatto che, con quelli di legge, concorrono a
qualificare come fabbricabili le aree oggetto d’esproprio.
Doveva quindi valutarsi l’area per il prezzo unitario e quello
totale di cui alla citazione del ricorrente e non nella misura
ridotta concretamente adottata, con motivazione certamente
insufficiente, aderendosi alle conclusioni del c.t.u., che non
esplica adeguatamente le modalità con cui è pervenuto alla
valutazione dei suoli espropriati.
Il primo quesito di diritto conclusivo in rapporto alla
violazione di legge denunciata con il secondo motivo di ricorso,
chiede a questa Corte di accertare se sia congrua e corretta la
valutazione data dai giudici di merito dell’area occupata, in
rapporto alle previsioni urbanistiche applicabili e alla
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suoli espropriati alla edificabilità, di cui alcun conto si è

concreta edificabilità dei terreni.
Si chiede con lo stesso motivo poi di applicare, anche a seguito
della sentenza della Corte Costituzionale 24-31 ottobre 2007 n.
349, il valore venale dell’area per liquidare quanto dovuto al
ricorrente per l’acquisizione illecita per cui è causa,
liquidando, a titolo risarcitorio, tale valore, con

1.3.1n ordine alla indennità di occupazione, il ricorrente ne
lamenta poi la mancata determinazione, nonostante la domanda
specifica proposta nel merito e quindi in violazione dell’art.
360, comma l, n. 3 e 4, c.p.c., dell’art. 20 della L. 22 ottobre
1971 n. 865 e dell’art. 39 della L. 25 giugno 1865 n. 2359.
L’occupazione disposta dal Ministro dei lavori pubblici il 7
maggio 1990 fu attuata con decreto del 7 maggio 1990 del
Prefetto di Sondrio e si prolungò oltre i termini
originariamente previsti di cinque anni, anche a seguito di
decreto del Prefetto locale che dispose una proroga fino al 16
giugno 1996 ritenuta legittima dai giudici del merito, che hanno
affermato l’avvenuta accessione invertita in favore dell’
A.N.A.S. delle aree trasformate alla data da ultimo indicata, e
condannato la sola Azienda al risarcimento, nulla liquidando a
titolo di indennità di occupazione legittima in violazione
dell’art. 112 c.p.c.
Il ricorrente chiede a questa Corte di riconoscere e liquidare
detta indennità di occupazione legittima da liquidare, come per
10

rivalutazione e interessi di legge.

tutte le aree edificabili, negli interessi legali sul valore
venale dell’area per ciascuno degli anni in cui la stessa era
stata occupata, valore pari all’indennità di espropriazione da
riconoscere ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale
11 ottobre 2007 n. 348,

che aveva dichiarato illegittimi

rispetto alla carta fondamentale i previgenti criteri di

2.1. Quando, come nella fattispecie, vi è stata delega per
l’espletamento della procedura espropriativa, ferma restando la
responsabilità del titolare del potere espropriativo (su cui
cfr. le recenti Cass. 18 settembre 2013 n. 21333 e 27 maggio
2011 n. 11800), anche il delegato deve rispondere dei danni
provocati con la sua condotta materiale, sempre che, pur
conoscendo la natura illegittima dell’occupazione, abbia
perseverato nella realizzazione dell’opera pubblica e nella
occupazione del suolo, dopo che la stessa è divenuta illecita
(Cass. 17 ottobre 2011 n. 21384 e la citata n. 11800 del 2011).
La condotta della delegata, consistita nella esecuzione dei
lavori ad essa appaltati anche se esaurita nella fase di
occupazione legittima, non esclude che pur in assenza di
omissioni o ritardi dell’impresa nell’esecuzione dei lavori, la
stessa non abbia vigilato sulla corretta conclusione della
procedura espropriativa cui era stata delegata.
Pertanto anchese l’omissione attiene ad un’opera di proprietà
della beneficiaria dell’espropriazione A.N.A.S., che aveva avuto
11

determinazione dell’indennità inferiori a tale valore.

piena consapevolezza della conclusione dei lavori nel periodo di
occupazione legittima, appare evidente la negligenza della
delegata nel sollecitare il Prefetto ad emettere prima della
conclusione dell’occupazione il decreto ablatorio (cfr.in tal
senso Cass. 7 ottobre 2011 n. 21384).
La delegata aveva occupato l’area oggetto di causa per il solo

delegante, terminando i lavori il 2 giugno 1992, data di
cessazione del suo comportamento che era intervenuto solo nella
fase di occupazione legittima e nessuna prova liberatoria ha
dato / di avere sollecitato l’espropriante ad emettere il decreto
ablatorio nei termini previsti per la conclusione della presente
procedura amministrativa di esproprio, per cui deve rispondere
con la beneficiaria dell’ablazione del danno cagionato,
essendole state trasferite le potestà relative al procedimento
espropriativo (cfr., tra altre, Cass. 18 settembre 2013 n. 21333
e la molta giurisprudenza in essa citata e Cass. 27 maggio 2011
n. 11800 e S.U. 31 maggio 2011 n. 11963).
Anche se l’appaltatrice non aveva conservato il rapporto di
fatto con i beni occupati alla data di consumazione de114
illecito coincidente con la fine dell’occupazione legittima,
essa non poteva non rispondere della trasformazione operata
divenuta illecita, con l’ente appaltante rimasto in possesso
della costruzione che occupava illecitamente il suolo degli
attori era l’,A….N.A.S. con la quale doveva rispondere del danno
12

periodo necessario a costruire il centro di proprietà della

cagionato al Bellarini, con conseguente fondatezza del primo
motivo di ricorso che deve quindi essere accolto.
2.1. Il secondo motivo di ricorso è invece in parte infondato e
nel resto inammissibile.
Invero la Corte di appello ha correttamente escluso la natura
edificabile dell’area in rapporto alle previsione del P.R.G. di

Centro A.N.A.S. in concreto realizzato.
Detta destinazione è incompatibile con la edificabilità legale
dell’area che correttamente si è qualificata inedificabile e
tale conclusione esclude che l per l’indicato profilo della
classificazione urbanistica, vi sia stato l’errore denunciato
nel secondo motivo di ricorso, essendo irrilevante la situazione
di fatto della contiguità dell’area al centro abitato, per
qualificarla edificabile, in presenza di una destinazione
diversa emergente dalla pianificazione territoriale.
Anche dopo le sentenza della Corte Costituzionale n.ri 348 e 349
del 2007, la tradizionale bipartizione delle aree come
edificabili e inedificabili resta fondamentale nelle procedure
espropriative e, nel caso, esattamente esse sono state
qualificate come prive di edificabilità legale in rapporto alla
destinazione loro data dal P.R.G. di Sondrio.
In ordine al valore venale riconosciuto al suolo, invece, il
ricorso non è autosufficiente, emergendo da esso solo il prezzo
unitario chiesto dagli attori e non quello che in primo grado
13

Sondrio, che la destinava ad attrezzature di servizio come il

era stato determinato dal tribunale, per cui nessun elemento è
fornito per giungere al rilievo della incongruità o non
correttezza del valore adottato nel merito in primo grado,
neppure precisato nella sentenza impugnata e nel ricorso.
Tale conclusione comporta che, pur dovendosi astrattamente
riconoscere il diritto alla rivalutazione richiesta per essere

gli interessi far decorrere dalla data di cessazione
dell’occupazione legittima,

che coincide con quella di

consumazione dell’illecito (16 giugno 1996), non può in questa
sede che rigettarsi il secondo motivo non autosufficiente nel
fornire gli elementi che consentano una corretta liquidazione
del risarcimento oggetto di causa.
2.3. Il terzo motivo di ricorso è invece fondato e deve
accogliersi, dovendosi, per l’occupazione legittima durata dal 7
maggio 1990 al 12 giugno 1996, liquidare la relativa indennità
determinata ratione temporis ai sensi dell’art. 20 della legge
22 ottobre 1971 n. 865, per ciascun anno di durata, in un
dodicesimo del valore venale delle aree occupate, costituente la
somma dovuta a titolo di indennità di espropriazione.
Entro tali limiti anche il terzo motivo di ricorso deve quindi
essere accolto.
3.In conclusione il primo e il terzo motivo di ricorso sono
fondati e devono essere accolti e la sentenza impugnata deve
quindi essere cassata, con rimessione della causa alla Corte
14

il credito risarcitorio di valore e non di valuta, e dovendosi

d’appello di Milano in diversa composizione, perché decida sulle
domande del Bellarini conformandosi ai principi enunciati in
questa sede e decida pure in ordine alle spese del presente
giudizio di cassazione.
Deve negarsi l’applicazione dell’art. 1, comma 17, della legge
24 dicembre 2012 n. 28, essendo il ricorso anteriore all’entrata

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il primo e terzo motivo di
ricorso e cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa alla
Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le
spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio della 1″ sezione civile
della Corte suprema di Cassazione il 5 febbraiio 2014.

in vigore di detta norma.

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