Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6026 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, (ud. 12/01/2017, dep.09/03/2017),  n. 6026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27716-2014 proposto da:

B.A., BI.VA., B.F.,

B.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA MARATONA 56,

presso lo studio dell’avvocato CARLO ABBATE, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCESCO STILO, SALVATORE RACITI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA incorporante la FONDIARIA SAI SPA, in

persona del procuratore ad negotia Dott. G.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO CAROLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIAMPAOLO MIOTTO giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Z.P., Z.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2343/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato CARLO ABBATE;

udito l’Avvocato GIAMPAOLO MIOTTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2001, B.L., Bi.Va., B.F. e B.A., genitori e fratelli di B.D., convenivano in giudizio Z.P. e G., nonchè la Fondiaria Ass.ni s.p.a., rispettivamente conducente, proprietario e compagnia assicuratrice del veicolo dal quale veniva investito il ciclomotore condotto da B.D. e di proprietà della Bi.. Il giovane decedeva durante il trasporto in ospedale. Assumevano che la responsabilità dell’incidente fosse esclusivamente dello Z., che invadeva l’opposta corsia di marcia senza dare la precedenza al motoveicolo procedente dalla direzione opposta, allo scopo di effettuare una manovra di svolta a sinistra per immettersi in una strada laterale.

Nel 2007, il Tribunale di Treviso accoglieva parzialmente le domande degli attori, stimando la responsabilità del veicolo investitore nella misura del 70% e condannando i convenuti al risarcimento del danno.

Entrambe le parti proponevano appello e la Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 2343/2013, depositata il 24 ottobre 2013, qui impugnata, accoglieva l’appello incidentale dei parenti della vittima, condannando i danneggianti al pagamento di una ulteriore somma a titolo di danno patrimoniale futuro, ed accoglieva anche l’appello principale della compagnia di assicurazione ridimensionando l’importo dovuto per le spese della consulenza di parte di cui si erano avvalsi gli attori.

Propongono ricorso per cassazione articolati in tre motivi i signori B.L., Bi.Va., B.F. e B.A.; Unipolsai Ass.ni s.p.a., già Fondiaria Ass.ni s.p.a., resiste con controricorso illustrato da memoria, gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e la violazione degli artt. 2, 13, 22, 27 e 32 Cost. sotto il profilo della violazione di legge, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi della controversia.

Lamentano che non sia stato riconosciuto in favore della vittima, e poi risarcito agli eredi il danno riportato dalla vittima per la morte immeditata derivante dall’incidente, richiamando il precedente di questa Corte n. 1361 del 2014 e le argomentazioni vi contenute in ordine al sorgere del diritto al risarcimento del danno da morte in capo alla vittima principale ed alla sua trasferibilità agli eredi.

Il motivo va rigettato, in quanto la isolata pronuncia citata dai ricorrenti è stata nell’arco di pochi mesi superata, e il contrasto da essa sollevato ricomposto, dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 15350 del 2015, la cui massima ha riaffermato che, in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicchè, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia e lamentano in particolare che la Corte, sulla base dell’esperito accertamento in fatto, abbia escluso la risarcibilità del c.d. danno catastrofale, ovvero del danno morale subito dal defunto, e da questi trasmesso agli eredi, per aver consapevolmente percepito, nei suoi ultimi momenti di vita, l’approssimarsi della morte.

Il secondo motivo è intimamente contradditorio, negli stessi presupposti in fatto su cui si fonda, rispetto alla tesi posta a fondamento del motivo di ricorso precedente, che presuppone la morte immediata della vittima (e la sua autonoma risarcibilità).

Esso va comunque dichiarato inammissibile, in quanto i ricorrenti vogliono indurre questa Corte, inammissibilmente, ad un riesame delle risultanze testimoniali, anche sotto il profilo della adeguatezza della motivazione, e quindi al di fuori degli stretti limiti di sindacabilità attuale del vizio di motivazione.

La corte d’appello, facendo corretto uso dei principi di diritto fissati da questa Corte in tema di risarcibilità del danno c.d. catastrofale, legato alla lucida coscienza, in capo alla vittima, dell’avvicinarsi della fine, inevitabile ed imminente, ha affermato che mancasse una adeguata prova del fatto che la giovane vittima fosse in stato di coscienza nel pur limitato periodo di sopravvivenza, condizione essenziale perchè possa essere riconosciuto il danno morale iure hereditatis per tale periodo di tempo. La corte d’appello richiama il precedente di questa Corte costituito da Cass. n. 2564 del 2012, al quale si può aggiungere la più recente Cass. n. 23183 del 2014 che afferma che, in caso di decesso non immediato della vittima, ai fini della integrale liquidazione del danno, al danno biologico terminale possa sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico), e fissa i criteri per la sua liquidazione, evidenziando che essa, per quanto legata ad un criterio equitativo puro, non deve essere però irrisoria perchè deve tener conto della “enormità” del pregiudizio, giacchè tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte, e tuttavia ribadisce che il danno, per sorgere, è necessariamente legato alla coscienza del soggetto ed alla consapevolezza di vivere i suoi ultimi istanti, ed alla sofferenza che proprio da tale consapevolezza deriva.

Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c. oltre che il vizio di motivazione e tornano sulla ricostruzione della dinamica del sinistro, propugnando l’esclusiva responsabilità del conducente dell’autoveicolo, la cui violazione delle norme sulla circolazione stradale, nella fattispecie concreta, sarebbe stata di tale gravità da escludere qualsiasi rilevanza concausale della condotta del secondo veicolo coinvolto nello scontro, ovvero il ciclomotore condotto dalla vittima.

Anche in questo caso però, il motivo deve essere dichiarato inammissibile in quanto i ricorrenti tendono ad una diversa valorizzazione delle risultanze dell’accertamento in fatto, preclusa a questa Corte.

Il ricorso va complessivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza dei ricorrenti, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di giudizio sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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