Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6025 del 09/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, (ud. 11/01/2017, dep.09/03/2017),  n. 6025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 884-2015 proposto da:

ASSOCIAZIONE MONTESSORIANA DI CASTELLANZA in persona del Presidente

pro tempore P.F., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CRISTINA SECCIA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

OPERA NAZIONALE MONTESSORI in persona del suo presidente pro tempore

Prof. S.B., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

SARTI 4, presso lo studio dell’avvocato BRUNO CAPPONI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO PROSERPIO,

ACHILLE SALETTI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3531/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato FRANCESCO GENOVESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Associazione Montessoriana di Castellanza conveniva davanti al Tribunale di Busto Arsizio l’Opera Nazionale Montessori esponendo di avere con essa stipulato il 25 febbraio 2002 un “contratto di gestione” della Scuola Montessoriana di Castellanza, contratto scaduto il 31 agosto 2007 e non rinnovato, e chiedendo che, previo accertamento del relativo obbligo, l’Opera fosse condannata a ricevere in consegna la scuola con i relativi rapporti economico-giuridici, e fosse altresì condannata a pagarle ogni debito, da essa attrice già saldato, relativo alla gestione della scuola. In subordine chiedeva la condanna della convenuta ex art. 2028 c.c. o art. 2043 c.c. o art. 2041 c.c.. Chiedeva inoltre l’accertamento della legittimità ex art. 1460 c.c. del trattenimento da parte sua delle quote di preiscrizione attinenti all’anno scolastico 2008-2009 e in subordine la compensazione di tale suo – negato – debito con i propri crediti di cui sopra. La convenuta si costituiva, resistendo e chiedendo in via riconvenzionale la condanna di controparte al risarcimento del danno da trattenimento delle quote di preiscrizione per Euro 55.000 nonchè al pagamento di Euro 20.000 per avere gestito la scuola oltre la scadenza contrattuale.

Con sentenza del 20 luglio 2010 il Tribunale di Busto Arsizio condannava la convenuta a pagare Euro 32.301 a controparte quale differenza fra le poste attive e le poste passive del bilancio consegnato all’origine dalla convenuta all’attrice, e respingeva ogni altra domanda attorea; accoglieva le domande riconvenzionali proposte dalla convenuta, la prima ridotta nel quantum a Euro 54.000, condannando infine l’attrice rifondere a controparte le spese di causa per il 90%. L’Associazione proponeva appello che, con sentenza del 29 settembre-8 ottobre 2014 la Corte d’appello di Milano ha rigettato, condannandola alle spese.

2. Ha proposto ricorso l’Associazione Montessoriana di Castellanza sulla base di quindici motivi – argomentati anche con memoria ex art. 378 c.p.c. – che sono presentati in gruppi, identificati con lettere alfabetiche.

2.1 Quelli indicati sub A riguardano il secondo paragrafo della sentenza impugnata (pagine 10-11 della motivazione), attinente al primo motivo d’appello.

2.1.1 Come motivo A1 la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., di cui lamenta la violazione altresì come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: il Tribunale avrebbe omesso di esaminare quel che accadde a partire dal 23 novembre 2007, quando cioè si sarebbe “palesato che l’Opera non voleva riprendere subito in carico la scuola”; essa pertanto sarebbe inadempiente dal 23 novembre 2007. Anche il giudice di secondo grado avrebbe omesso completamente di rispondere alle domande dell’attuale ricorrente sulla inadempienza della controparte dal 23 novembre 2007 e tale omissione avrebbe realizzato violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

2.1.2 Come motivo A2 la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c.violazione anche come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, aggiungendo altresì omesso esame di fatto discusso e decisivo.

Il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare un fatto discusso e decisivo, cioè “il contenuto dell’obbligazione inter partes”, ovvero quali rapporti, oltre ai beni, rientrassero nella obbligazione restitutoria della Associazione e nella obbligazione di ricevimento in consegna dell’Opera. La questione riguarda le risultanze passive della gestione. La stessa sentenza di primo grado peraltro non sembra dubitare che l’oggetto dell’obbligazione reciproca di consegna e ricevimento è l’Istituzione scolastica, “costituita, oltre che dalle strutture, dal complesso di tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo alla suddetta istituzione, nonchè tutte le attrezzature”; e ad avviso della ricorrente, “se si condividesse tale interpretazione della pronuncia, potrebbe essersi formato il giudicato”. Sempre secondo la ricorrente, le parti discussero soprattutto sull’inclusione dei rapporti di lavoro e delle relative risultanze.

2.1.3 Come motivo A3 la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. come error in procedendo, lamentando che il giudice d’appello avrebbe negato che l’attuale ricorrente abbia contestato il proprio inadempimento sancito dall’ordinanza 23 novembre 2007, laddove l’inadempimento anteriore a tale data sarebbe irrilevante in questo giudizio e comunque sarebbe stato contestato dalla Associazione.

2.1.4 Come motivo A4 la ricorrente denuncia, come error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c. per motivazione assente, insufficiente e lacunosa che renderebbe nulla la sentenza; lamenta altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1172 c.c..

Il giudice d’appello ritiene che l’ordinanza del 23 novembre 2007 non abbia costituito, bensì accertato l’obbligo di riconsegna dell’attuale ricorrente; ma su ciò non avrebbe fornito motivazione. Inoltre le obbligazioni possono ex art. 1172 c.c. trovare fonte in ogni atto idoneo a produrle, onde l’ordinanza 23 novembre 2007 “può costituire” la fonte dell’obbligazione di riconsegna e dell’obbligazione di ripresa in carico.

2.1.5 Come motivo A5 la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1206-1208 c.c..

Il giudice d’appello reputa corretto che il primo giudice abbia ritenuto inidonei a porre in mora la creditrice gli atti di intimazione del 25 febbraio e del 10 giugno 2008, laddove sarebbe “palese” che l’Opera non ha compiuto e non vuole compiere “quanto è necessario affinchè il debitore possa adempiere l’obbligazione” (art. 1206 c.c.). La corte territoriale pertanto erra e viola l’art. 1206 c.c. nella parte appena citata.

2.1.6 Come motivo A6 la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto discusso e decisivo per non avere il giudice d’appello esaminato il fatto che gli atti di intimazione, quanto all’oggetto di intimazione presentavano un contenuto identico a quello dell’ordinanza cautelare del 23 novembre 2007 e alle conclusioni dalla stessa Opera formulate nel ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c.. Inoltre il giudice di prime cure si sarebbe contraddetto – e a tale posizione si sarebbe poi conformato il secondo giudice affermando prima che l’Associazione doveva fornire numeri e dati precisi e offrire somme, e poi che invece non si sarebbe dovuto accertare la consistenza dei rapporti attuali da restituire. Occorrerebbe allora chiedersi a che cosa serviva la precisazione dei numeri e dei dati, visto anche che oggetto di obbligazione erano tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, indipendentemente dalla loro consistenza. La idoneità o meno degli atti di intimazione può essere decisiva poichè dalla mora, “ancora attuale”, dell’Opera “discende l’accoglimento delle domande” della Associazione.

2.2 I motivi indicati sub B concernono il terzo paragrafo della motivazione della sentenza impugnata (pagine 11-12).

2.2.1 Come motivo B7 vengono richiamati tutti i motivi precedenti, sostenendo che il rigetto delle domande 3 e 3 bis della Associazione (la domanda 3 concerne “la condanna dell’Opera alla presa in carico delle risultanze della gestione e, dunque, in concreto, al pagamento dei debiti residui non coperti dalle disponibilità liquide” anzitutto “come adempimento alla propria obbligazione di ripresa in carico di tutti i rapporti, attivi e passivi, della gestione”, ed eventualmente quale risarcimento dei danni ex art. 1207 c.c.; la domanda 3 bis concerne la condanna dell’Opera “al pagamento di ulteriori somme”, e precisamente di spese legali per le questioni insorte inter partes e di compenso per la gestione dell’anno scolastico 2007-2008, domanda formulata ex art. 1207 c.c., comma 2) discenderebbe dalla esclusione che il giudice d’appello effettua della mora credendi, nonchè dalla natura di mero accertamento che tale giudice ha dato all’ordinanza cautelare, il che renderebbe pertinenti, appunto, i suddetti motivi A1-A6.

2.2.2 Come motivo B8, si denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, error in procedendo e violazione dell’art. 132 c.p.c. per motivazione “assente, insufficiente, lacunosa”, che renderebbe nulla la sentenza.

La corte territoriale fonda il rigetto delle domande sub 3 e 3 bis su interferenze con controversie già in corso davanti ai giudici competenti o potenzialmente instaurabili davanti ad questi: in tal modo la motivazione rimarrebbe assente e incomprensibile, non avendo la corte spiegato il motivo per cui vi sarebbe interferenza su altre controversie (fondate su titoli diversi dal contratto di gestione di cui si discute in questa causa), nè spiegato perchè le domande avrebbero dovuto proporsi davanti ad altri giudici, ciò a maggior ragione valendo per la domanda sub 3 bis.

2.2.3 Come motivo B9, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 40, 102, 409 e 295 c.p.c. e art. 337c.p.c., comma 2, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 39, 40, 102, 409 e 295 c.p.c. e art. 337 c.p.c., comma 2. Tali violazioni sono peraltro presentate come ipotesi, vista “l’estrema difficoltà” di comprensione della pronuncia del giudice d’appello in parte qua per la carenza di motivazione. Si tratta, quindi, di un motivo intrinsecamente subordinato a quello precedente.

2.3 I motivi indicati sub C riguardano il quarto paragrafo della sentenza (motivazione, pagina 12-13) relativo alla domanda dell’attuale ricorrente sub 4, domanda subordinata – rectius: domande – con cui era stata chiesta la condanna dell’Opera al pagamento delle somme costituenti il petitum delle precedenti domande, qui però fondandosi sull’art. 2028 c.c. o sull’art. 2043 c.c., o comunque in forza della qualificazione giuridica eletta dal giudice, anche eventualmente sull’art. 2041 c.c..Evidentemente, e pertanto può fin d’ora rilevarsi, queste domande nascono subordinate rispetto a quelle precedenti.

2.3.2 Come motivo C10 viene impugnato ancora questo capo con i motivi A1-A6 perchè il giudice d’appello avrebbe respinto la domanda ex art. 2028 c.c. per insussistenza della mora credendi e perchè i fatti ad hoc allegati sarebbero gli stessi delle domande principali.

2.3.3 Come motivo C11 la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c.: il giudice d’appello “respinge la domanda formulata ex art. 2028 c.c., ovvero ex art. 2041 c.c., o ancora subordinatamente ex art. 2041 c.c.”, mentre avrebbe dovuto su di esse pronunciarsi; e non sarebbe preclusa l’azione ex art. 2041 c.c. in subordine proposta per l’ipotesi di rigetto della domanda principale.

2.4 I motivi indicati sub D riguardano il quinto paragrafo della motivazione della sentenza (pagine 13-14), relativo alla domanda sub 5, con cui l’attuale ricorrente ha chiesto la condanna di controparte a corrisponderle Euro 189.448,25 – o la diversa somma che il giudice avrebbe ritenuto dovuta – per i lavori straordinari effettuati dall’Associazione nell’immobile che è sede della scuola per metterne a norma gli impianti. La ricorrente, in premessa dei due relativi motivi, adduce che aveva allegato l’inadempimento di controparte dell’obbligo di consegnarle una struttura “idonea all’accoglienza dei bambini” e “in regola con le normative vigenti”, obbligo ad essa derivante dall’art. 2, commi 2 e 3, del contratto di gestione.

2.4.1 Come motivo D12, allora, si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1372, 1406 ss., 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c..

Avrebbe errato la corte territoriale nel ritenere che la previsione che regola il rapporto comodante-comodatario regoli anche il rapporto tra la cedente (l’Opera) e la cessionaria (l’Associazione) del contratto di comodato, così violando in effetti l’art. 1372 c.c. in ordine al contratto di gestione stipulato tra l’Opera e l’Associazione. La cessione del contratto di comodato ex art. 1406 c.c. non estenderebbe le regole del contratto ceduto ai rapporti tra cedente e cessionaria. Quest’ultima non avrebbe chiesto il rimborso dei lavori effettuati sull’immobile oggetto del comodato al comodante, cioè al Comune di Castellanza, bensì all’Opera, con cui “aveva sottoscritto altro diverso contratto”. E ciò sarebbe confermato pure dalle norme relative all’ermeneutica contrattuale. Infatti all’art. 2, comma 1, del contratto di gestione l’attuale ricorrente si sarebbe impegnata a “rispettare integralmente tutte le clausole del comodato”, ma nei successivi commi secondo e terzo l’Opera a sua volta si sarebbe obbligata come già sopra riportato: pertanto l’Associazione non si sarebbe “accollata” i lavori di adeguamento degli impianti nei confronti della sua controparte nel contratto di gestione, cioè dell’Opera.

2.4.2 Come motivo D13, si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 2041 c.c., adducendo che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice d’appello, nella vicenda in esame vi sarebbe stato un arricchimento dell’Opera, e ciò mediante “l’esecuzione dei lavori di messa a norma di uno stabile scolastico”.

2.5 I motivi indicati sub E concernono il sesto paragrafo della motivazione della sentenza impugnata (pagina 14) relativo ai punti dell’atto d’appello formulati sub 6, 7 e 8, il primo relativo alla legittimità dell’eccezione sollevata dall’attuale ricorrente ex art. 1460 c.c. e la conseguente legittimità del trattamento della somma incassata per le prescrizioni dell’anno scolastico 2008-2009, il secondo relativo alla domanda riconvenzionale di controparte di condanna dell’attuale ricorrente al pagamento del corrispettivo della gestione per l’anno scolastico 2007-2008, e l’ultimo relativo all’inversa domanda dell’attuale ricorrente di condanna della Opera a pagargli il corrispettivo della gestione per l’anno 2007-2008, domanda quest’ultima presente sub 3 bis nelle precisate conclusioni.

2.5.1 Come motivo E14, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, error in procedendo, violazione dell’art. 132 c.p.c., motivazione assente, insufficiente e lacunosa che rende nulla la sentenza, e argomenta nel senso che in questo paragrafo mancherebbe effettivamente la motivazione della sentenza.

2.5.2 Come motivo E15 viene impugnato anche questo settore mediante i motivi A1-A6, dato che per le domande concernenti il corrispettivo della gestione il giudice d’appello parrebbe confermare il giudice di prime cure, e cioè ritenere inadempiente l’attuale ricorrente.

Si è difesa con controricorso l’Opera Nazionale Montessori, che ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Per ben comprendere l’oggetto dei molteplici motivi sopra dettagliatamente esposti, occorre dare atto che, come emerge dalle ricostruzioni dei fatti operate sia nel ricorso sia nel controricorso, le attuali litiganti avevano stipulato un contratto atipico di “gestione” con cui era stata affidata una vera e propria azienda alla attuale ricorrente, che l’avrebbe gestita fruendo, in sostanza, del brand Montessori, senza peraltro che dovesse versare alcun corrispettivo alla Opera Nazionale Montessori; la quale a sua volta avrebbe fruito della prosecuzione della gestione della scuola montessoriana che altrimenti, all’epoca di quel contratto, non sarebbe più stata condotta da alcuno. Emerge altresì che un soggetto alternativo alla Associazione Montessoriana di Castellanza (tale ACOF) sussisteva invece quando il contratto giunse al termine della sua durata, e non fu rinnovato. Essendo allora il contratto scaduto, si è posta ovviamente la necessità di ritrasferire l’azienda nella disponibilità dell’Opera Nazionale Montessori, procedendo quindi alla parte esecutiva finale del contratto in relazione all’oggetto del contratto stesso. E proprio su questo è insorta la lite, poichè evidentemente si sono contrapposte due interpretazioni dell’accordo negoziale: una, per così dire, restrittiva sostenuta dall’Opera – e l’altra, sempre per così dire, lata, sostenuta dall’Associazione e coinvolgente, oltre all’immobile dove aveva sede la scuola e al marchio montessoriano, non solo i crediti ma anche i debiti connessi alla gestione effettuata durante il periodo in cui questa fu contrattualmente ad essa affidata (inclusi quelli relativi ai rapporti con i dipendenti, che per di più, secondo la ricorrente, sarebbe stata controparte a indurli a dimettersi per farne gravare i TFR dall’Associazione, e a farli poi assumere dal nuovo gestore nella stessa scuola) nonchè il recupero delle somme spese per mettere a norma gli impianti dell’immobile ove si svolge l’attività scolastica (regolarità degli impianti che, secondo l’Associazione, si sarebbe contrattualmente posta a carico dell’Opera).

Il giudice di prime cure si è trovato quindi dinanzi a una reciproca imputazione di inadempimento, e ha aderito, sostanzialmente, alla lettura “restrittiva” della convenuta, condannando questa a versare a controparte la differenza tra le poste attive e le poste passive del bilancio che all’origine della gestione l’Opera aveva consegnato all’Associazione – come se al momento della consegna a quest’ultima quella che indubbiamente è un’azienda si fosse “cristallizzata” nel suo contenuto -, e ritenendo l’Associazione in mora, ovvero inadempiente (fondandosi anche su un’ordinanza ex art. 669 terdecies c.p.c. che aveva ordinato all’attrice la riconsegna dell’immobile alla convenuta) anzichè legittimamente eccipiente art. 1460 c.c., con conseguente sua condanna in accoglimento praticamente totale (a parte, cioè, la piccola diminuzione del quantum della somma rappresentata dalle preiscrizioni per l’anno scolastico 2008-2009) delle domande riconvenzionali dell’Opera.

L’Associazione, in sostanza, ha devoluto tutto con l’appello alla corte territoriale, e l’Opera, costituitasi, a sua volta ha resistito in toto. Il nucleo del thema decidendum, allora, è costituito dalla identificazione dell’inadempiente, ovvero la identificazione di chi si è collocato in mora quando è cessato il contratto in relazione alla propria obbligazione conclusiva (o l’Associazione quanto al suo obbligo di restituzione, o l’Opera quanto al suo speculare obbligo di ricezione) e altresì, per quanto concerne la posizione della parte gravata dell’obbligo di restituire, dall’accertamento se questa ha correttamente eccepito inadimplenti non est adimplendum oppure se si è posta, appunto, in mora debendi. E chiave per risolvere il thema decidendum è logicamente, in primis, la corretta interpretazione del regolamento negoziale che le parti hanno concordato nel loro atipico contratto di gestione.

La corte territoriale, peraltro, come ora si vedrà, non ha seguito questa linea. Per comprendere l’iter decisionale che ha in effetti seguito, e per affrontare correlativamente le multiple doglianze del ricorso, occorre, una sintesi della sua, alquanto concisa, motivazione.

3.2.1 Nel secondo paragrafo della motivazione (pagine 10-11), ove avrebbe appunto dovuto affrontare la questione della identificazione di chi era inadempiente per quanto concerne la consegna della scuola (rectius, dell’azienda scolastica), cioè se inadempiente – e senza giustificazione ex art. 1460 c.c. – era la Associazione nel consegnarla (mora debendi) oppure l’Opera nel riceverla (mora credendi), la corte territoriale si diffonde – in adesione di quella che osserva essere stata la posizione assunta dal giudice di prime cure dopo avere affermato l’ovvio dato che dalla cessazione del contratto di gestione “l’Associazione avrebbe dovuto riconsegnare l’istituzione scolastica e l’Opera riceverla in consegna” – sull’esistenza di un’ordinanza cautelare che, in sede di reclamo, il 23 novembre 2007 aveva accolto l’istanza ex art. 700 c.p.c. di riconsegna della scuola proposta dall’Opera, per trarne la seguente osservazione: “non può che arguirsi che, alla data di pronuncia di detta ordinanza in sede di reclamo, il soggetto giuridico inadempiente in ordine alla obbligazione di riconsegna non era l’Opera, bensì l’Associazione”. Non si può non notare fin d’ora che un simile rilievo è incomprensibile, poichè l’ordinanza ex art. 669 terdecies c.p.c. non ha alcun valore pienamente accertatorio, dovendosi limitare per la sua teleologica natura alla constatazione, ritenuta in questo caso di esito positivo, di un mero fumus boni juris. Pertanto, l’esistenza dell’ordinanza non ha fatto venir meno l’obbligo di accertare, in cognizione piena, chi era divenuto inadempiente – e, s’intende, illegittimamente inadempiente, ovvero al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 1460 c.c. – alla cessazione del contratto. E a ciò aggiunge la corte territoriale che l’attuale ricorrente non avrebbe posto “in discussione il proprio inadempimento”, laddove, come sopra già si è rappresentato, l’appellante aveva devoluto in sostanza tutto il thema decidendum del primo grado, ovvero l’accertamento di chi tra le due parti fosse l’inadempiente e le conseguenti condanne. Ancora aggiunge il giudice d’appello che l’inadempimento dell’Associazione (che appunto non sarebbe stato da essa contestato) era stato “sancito e sanzionato” dall’ordinanza ex art. 669 terdecies c.p.c., nuovamente non potendosi peraltro comprendere come un’ordinanza cautelare possa “sancire” alcunchè, e tanto meno “sanzionare”. La corte territoriale prosegue poi sulla stessa linea ribadendo che l’ordinanza cautelare ha “accertato” l’obbligo di riconsegna dell’Associazione.

In questo modo il giudice d’appello ritiene di effettuare l’accertamento della posizione di mora debendi dell’appellante, nulla considerando, però, in ordine al contenuto dell’obbligo di restituzione e al contenuto dell’obbligo di ricezione dell’azienda evincibili dal contratto di gestione. Senza soffermarsi, dunque, su quanto concordato dalle parti in tale negozio, passa a negare che sussista mora credendi dell’Opera perchè sarebbe condivisibile ancora la valutazione del primo giudice, qui sulla inidoneità a crearla degli atti di intimazione del 25 febbraio e del 10 giugno 2008 che l’appellante aveva inviato all’appellata, perchè “non risulta che l’Associazione, in ogni caso, diversamente da quanto sostenuto in sede di appello, abbia adempiuto all’onere … di indicare espressamente e specificamente quali rapporti giuridico-economici componenti la universalità di beni costituenti l’azienda stava concretamente offrendo in restituzione”; peraltro, dal momento che aveva dato atto della doglianza dell’appellante relativa alle due intimazioni, il passo si conclude con una assolutamente generica negazione del significato di tale doglianza: “D’altro canto, nell’atto di appello non viene formulata congruente critica alla – come si è visto, condivisibile – svalutazione di dette missive quali atti idonei a configurare la mora in questione in capo all’Opera”.

3.2.2 In effetti, allora, quella parte dei motivi sub A (peraltro addotti con un certo disordine e talora anche di contenuto ictu oculi erroneo, come quando si prospetta nell’ordinanza del 23 novembre 2007 la fonte possibile dell’obbligazione di riconsegna) che comunque censura qui la sentenza impugnata per omessa pronuncia nonchè motivazione assente – viene ovviamente considerata solo la doglianza di assenza/apparenza della motivazione, essendo applicabile l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo vigente – in ordine all’accertamento chiesto dall’appellante nelle precisate conclusioni sub 1 e 2 risulta fondata. Invero, la corte territoriale, come si è appena visto, si diffonde in modo eccentrico su un elemento del tutto irrilevante come l’ordinanza cautelare e non svolge una cognizione piena in ordine al contenuto del contratto, ai conseguenti obblighi delle parti e alle loro relative condotte, limitandosi – e ciò anche in riferimento ai due atti di intimazione – a generici argomenti di stile (come l’assenza una “congruente critica”, affermata senza spiegare in che cosa consisterebbe tale incongruenza) o comunque a loro volta eccentrici – come l’asserto della mancata indicazione da parte della Associazione dei rapporti giuridico-economici componenti dell’azienda – qualora, come appunto è avvenuto, non sia stato oggetto di vaglio il regolamento negoziale quanto alla identificazione di quel che costituiva l’azienda data in gestione e di quel che avrebbe costituì l’azienda al momento della restituzione. Per accertare un inadempimento, occorre infatti accertare, preliminarmente e logicamente, il contenuto dell’obbligo che sarebbe inadempiuto; nel caso di specie, come già più sopra osservato, avrebbe dovuto pertanto essere oggetto di esame, naturalmente in cognizione piena, il regolamento negoziale che le parti avevano versato nel contratto di gestione. E, nel caso di obbligazione che fronteggia un’obbligazione corrispettiva della controparte, l’accertamento del contenuto della prima non può non includere, per logica contestualizzazione prima ancora che per legge (art. 1363 c.c.), anche l’accertamento del contenuto dell’obbligazione corrispettiva – e qui, indubbiamente, esistono due obbligazioni a specchio per la fase conclusiva della esecuzione del contratto: consegna e ricezione dell’azienda oggetto della gestione-; e ciò a fortiori qualora sia stata sollevata eccezione ex art. 1460 c.c..

3.3.1 Nel successivo, terzo paragrafo della motivazione (pagine 11-12) la corte affronta le conseguenze della prospettazione dell’Associazione in ordine al preteso inadempimento dell’Opera, ovvero le domande di condanna che figurano nelle precisate conclusioni dell’appellante sub 3 e 3 bis. Nega quindi la corte la sussistenza di una mora credendi dell’Opera – affermando che tutto è travolto “nella logica, qui confermata, della sentenza di primo grado, dall’esclusione di responsabilità alcuna ex art. 1207 c.c.” – e ribadisce che l’ordinanza collegiale del 23 novembre 2007 ha “accertato” l’obbligo restitutorio e lo speculare obbligo recettivo. Questa parte della motivazione è senza dubbio una replica della parte precedente, e ne patisce quindi l’intrinseca carenza già sopra evidenziata per quanto riguarda l’esistenza di mora debendi e l’opposta esistenza di mora credendi.

Evidentemente consapevole di ciò, la corte prosegue tuttavia nel seguente modo: “In ogni caso, in proposito, è decisiva, per la reiezione della istanze (sic) di merito dell’odierna appellante, la constatazione che ciò che è stato richiesto al Giudice di primo grado, e che viene ora nuovamente richiesto, atteso il rigetto in prime cure, a questa Corte territoriale è di accertare la sussistenza di debiti, la loro consistenza, e, in particolare, la individuazione del relativo soggetto debitore, così, indebitamente, interferendo su controversie vuoi, come prospettato e/o documentato, già in atto avanti i Giudici competenti (nelle quali restava aperta, per l’Associazione, la possibilità di “trascinare”, per diversi titoli, l’Opera, che, per altro verso, non possono, per l’ordine di considerazioni motive fin qui tracciate, essere considerate pregiudiziali ex art. 295 c.p.c.), o comunque potenzialmente avanti ad essi instaurabili”.

3.3.2 Questo passo della motivazione è in effetti tutt’altro che agevolmente comprensibile, come rilevano, si è visto, le relative doglianze del ricorso, in particolare il motivo B9; l’unico elemento che si evince senza incertezza è che la corte decide di non dover esaminare le domande proposte dall’appellante, perchè queste domande sarebbero di competenza di altri giudici, davanti ai quali sarebbero già state proposte o potrebbero esserlo. Peraltro – e ritorna così il vizio di assoluta incomprensibilità di tale decisione, che inevitabilmente si traduce-, nell’assenza di una reale motivazione – la corte non esterna sulla base di quale fondamento essa non avrebbe competenza a decidere sulle domande sub 3 e 3 bis: le quali altro non sono, ancora una volta, che domande in cui causa petendi è il contratto di gestione. Questo criptico passo, pertanto, per quel poco che può intendersene, risulta pertanto del tutto eccentrico, per cui fondata è la censura sull’assenza di motivazione. D’altronde, ictu oculi competente a decidere sulle conseguenze della cessazione del contratto atipico di gestione che era stato posto a base sia delle domande attoree sia delle domande riconvenzionali era proprio la Corte d’appello di Milano, quale giudice di secondo grado, dopo che era stato adito il Tribunale di Busto Arsizio come giudice di primo grado, di cui la corte non rileva che fosse stata mai eccepita incompetenza. L’accertamento del contenuto del contratto suddetto comporta logicamente, d’altronde, l’identificazione dei componenti dell’azienda ulteriori rispetto all’immobile, e quindi anche di quelle poste attive e passive che ad avviso del primo giudice sarebbero state soltanto quelle del momento della consegna, ma che in realtà, trattandosi dell’accertamento del contenuto degli obblighi relativi alla fase finale dell’esecuzione del contratto, non possono che essere quelle componenti dell’azienda al momento della riconsegna/ricezione, giacchè, qualora non vi siano clausole contrattuali ostative a quello che normalmente è il passaggio di un’azienda dalla disponibilità di un soggetto a quella di un altro soggetto, l’azienda è un’universalità di beni che non si cristallizza ma ineludibilmente si evolve durante la sua gestione: si giunge, quindi, anche sotto questo profilo a ribadire che avrebbe dovuto essere accertato dal giudice di merito l’effettivo contenuto negoziale del contratto di gestione, per trarne poi, all’esito dei susseguenti necessari accertamenti di fatto sulla concreta composizione dell’azienda alla cessazione del contratto, l’identificazione di quel che avrebbe dovuto essere restituito e correlativamente ricevuto, così da accertare l’eventuale esistenza di inadempimenti – non sostenuti dalla regola di cui all’art. 1460 c.c. – e pervenire alle conseguenti condanne. Tutto questo peraltro la corte territoriale non ha affrontato, limitandosi con una motivazione criptica ancor più che eccentrica, e quindi realmente carente come lamenta la ricorrente, a dichiarare che altri giudici sarebbero stati competenti su quello che le era stato devoluto con l’atto d’appello.

3.4.1 L’unico passo in cui la corte territoriale pare considerare la necessità dell’interpretazione del contratto di gestione si rinviene, prima facie, nel quinto paragrafo della motivazione (pagine 13-14), il quale però, dopo un incipit di siffatto tenore, subisce una mutatio di impostazione che ancora una volta “svuota” il ruolo del suddetto contratto.

In via formalmente subordinata alle domande che aveva riproposto relative alle poste passive dell’azienda, tra cui gli importi versati agli ex dipendenti – nelle precisate conclusioni si riscontrano sub 3 -, l’appellante, questa volta nelle precisate conclusioni sub 5, aveva devoluto alla corte territoriale la sua domanda di condanna della controparte a corrisponderle Euro 189.448,25 (o la diversa somma ritenuta dal giudicante) “per i lavori svolti sull’immobile sede della Scuola”, e ciò sulla base delle “ragioni di cui in atti” – identificabili agevolmente ancora nel contratto di gestione – o, in ulteriore subordine, ex art. 2041 c.c. Per quanto concerne la domanda basata allora sul contratto di gestione, ontologicamente essa non può definirsi subordinata, per cui è il caso di procedere all’esame del relativo paragrafo nella sentenza impugnata e delle correlate censure, in prosecuzione logica di quanto finora vagliato.

Che gli addotti lavori di messa a norma degli impianti dell’immobile siano stati compiuti dall’attuale ricorrente e a sue spese non è posto in dubbio. La corte prende le mosse dal dichiarare condivisibile “la qualificazione del rapporto negoziale in di cui è causa (sic) formulata dal Collegio del reclamo nella sede cautelare di cui sopra, e riportata nella qui impugnata sentenza: “convenzione atipica o innominata, di natura complessa…nella quale si riscontrano”, ma non in misura assorbente, profili analoghi all’ “affitto di azienda, nella parte in cui prevede la cessione in uso di beni strumentali, la successione in plurimi rapporti attivi o passivi, di natura reale o personale, e la successione nel contratto” di comodato modale, “ma anche tratti distintivi del mandato e della prestazione d’opera” “. Seguendo allora un naturale percorso logico, si sarebbe previsto che la corte avrebbe quindi attinto dal – così ampiamente descritto nella sua mista tipologia – contratto di gestione il contenuto negoziale da cui trarre la decisione in ordine alla domanda in esame. Invece, il giudice d’appello trae dal contratto di gestione solo un elemento di incidenza meramente apparente perchè in realtà deviante, qualificando “determinante” il fatto che l’immobile era stato concesso in comodato dal Comune di Castellanza, che a sua volta l’aveva ricevuto in comodato da una casa di riposo che ne era proprietaria, “e che la clausola 2.1 del contratto Opera/Associazione imponeva alla comodataria Associazione l’obbligo di rispettare “integralmente tutte le clausole” del comodato Comune di Castellanza/Opera, comodato che contemplava, giusta clausole 4-5, che tutte le spese inerenti la “sistemazione dell’edificio a nuova sede scolastica”, nonchè le spese di manutenzione, così ordinaria come straordinaria, restavano ad esclusivo carico del comodatario”, il quale rinunciava a chiedere quanto gli sarebbe spettato ex art. 1808 c.c., comma 2. Sulla base di questo, dunque, la corte ritiene che nulla deve l’Opera all’Associazione per le spese sostenute per i lavori di messa in norma dell’immobile. E conclude – ma ciò riguarda la subordinata ulteriore domanda ex art. 2041 c.c. che non si sta esaminando – che non sussiste alcun arricchimento dell’Opera in quanto non proprietaria dell’immobile.

3.4.2 Come rileva la ricorrente nel motivo D12, in questo modo la corte territoriale ha omesso di considerare, quanto meno in modo completo, il valore di legge che il contratto di gestione, ai sensi dell’art. 1372 c.c., esplica tra l’Opera e l’Associazione, in quanto fonda il rigetto della domanda non su tutte le clausole pertinenti di tale negozio – tra cui, appunto, ictu oculi quelle racchiuse nel comma secondo e nel comma terzo dell’art. 2, sulle quali la corte totalmente tace -, bensì soltanto sulla clausola ex art. 2, comma 1, una clausola “di rinvio” che trasmette integralmente al gestore, per il periodo appunto della gestione dell’Associazione, il contratto di comodato dell’immobile giungendo così a regolare-), esclusivamente sulla base di quest’ultimo il rapporto tra Associazione ed Opera, come se il contratto di comodato potesse nullificare quanto all’immobile l’efficacia di legge delle clausole specificamente stipulate dalle parti nel contratto di gestione per regolare i loro rapporti. In effetti la corte risolve negativamente la domanda in esame proprio come se il contratto di gestione venisse meno per quanto concerne l’immobile locato, e quindi per esso sussistesse, per così dire, un unico “canale giuridico”: ovvero, “caduto” o assorbito in parte qua il rapporto di gestione con l’Opera, per l’Associazione valesse esclusivamente il rapporto di comodato con il Comune di Castellanza in forza del comodato stesso. E in tal modo, nell’evidentemente erronea ottica della corte territoriale, la rinuncia della comodataria al rimborso delle spese per la manutenzione straordinaria, che è una rinuncia prevista nel contratto di comodato nei confronti della comodante, “svuota” gli obblighi che il contratto di gestione pone comunque a carico dell’Opera, e che l’Associazione correttamente ha invocato, ovvero l’obbligo di conferire al gestore un immobile in norma, se così va inteso il riferimento ad un obbligo di consegna al gestore di una struttura “idonea all’accoglienza dei bambini” e “in regola con le normative vigenti”. Invece, ovviamente, era proprio l’interpretazione dell’art. 2, commi 2 e 3, del contratto di gestione che la corte territoriale avrebbe dovuto espletare, per valutare se il suo significato sarebbe stato o meno quello prospettato dalla Associazione. Accertamento di merito, ad essa quindi competente, per effettuare il quale comunque non possono essere violate norme giuridiche come quella che conferisce al contratto forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.) – violazione che la corte invece ha compiuto, privando il contratto di gestione della forza di legge in tutte le sue clausole – e quelle che guidano ad una corretta lettura ermeneutica (in particolare, in questo caso, l’art. 1363 c.c.) – ulteriore violazione che la corte ha compiuto, sradicando dell’art. 2, il comma 1 dal suo contesto normativo nel senso di cui all’appena citato art. 1372 c.c..

La corte territoriale, in conclusione, ha violato, come denuncia il motivo D12, sia l’art. 1372 c.c. – l’effetto vincolante del contratto di gestione tra Associazione e Opera non poteva, invero, essere eliminato dal temporaneo subingresso dell’Associazione in un ulteriore rapporto contrattuale, quello di comodato con il Comune – sia le norme ermeneutiche contrattuali, sotto questo profilo omettendo il vaglio di tutte le clausole pertinenti, ed arrestandosi invece alla clausola 2.1, disponente soltanto il temporaneo subingresso nel comodato dell’immobile, e quindi, lo si è già rilevato, mera clausola di rinvio.

Quanto appena constatato a proposito della fondatezza del motivo D12 altresì assorbe il motivo D13 relativo alla domanda ex art. 2041 c.c. attinente allo stesso esborso per la messa in norma dell’immobile, essendo stata tale domanda proposta in subordine.

3.5 Per quanto riguarda, poi, il gruppo dei motivi (C10 e C11) riguardanti il paragrafo quarto nella motivazione (pagine 12-13), essi concernono la parte della motivazione relativa a ulteriori domande realmente subordinate, ovvero proposte ex art. 2028 c.c., ex art. 2043 c.c. ed ex art. 2041 c.c. (quest’ultimo in riferimento, qui, alle domande dell’appellante sub 3 e 3 bis), per cui l’accoglimento delle precedenti doglianze l’assorbe. Invece rientra in quanto sopra si è osservato a proposito dell’omessa pronuncia o comunque dell’omessa relativa motivazione, in ordine all’esistenza di una mora debendi dell’Associazione o di una speculare mora credendi, la doglianza del gruppo E (motivi E14 ed E15) attinente al sesto paragrafo della motivazione (pagina 14) che riguarda, in sostanza, l’eccezione ex art. 1460 c.c. sollevata dall’Associazione in rapporto al suo trattenimento della somma per le preiscrizioni dell’anno scolastico 2008-2009, la impugnazione da parte dell’appellante dell’accoglimento della domanda riconvenzionale dell’Opera sul “corrispettivo di gestione” e la opposta, respinta domanda dell’appellante: ciò va ricondotto, infatti, nella questione centrale dell’accertamento del contenuto del contratto di gestione e, alla luce di tale regolamento negoziale, della qualificazione delle condotte delle parti al momento della cessazione, per valutare la sussistenza di inadempimenti e l’esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1460 c.c.. Non può non aggiungersi, peraltro, che è comunque evidentemente fondato il motivo E14 laddove denuncia la mancanza di motivazione, poichè la rapida motivazione offerta nel sesto paragrafo è in realtà apparente, riducendosi ad una generica qualificazione come “deduzioni già, come sopra, disattese” della relativa doglianza d’appello e ad una assertiva e per nulla spiegata definizione di questa come “quanto al resto, formulata ed espressa in modo generico ed incircostanziato”.

In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della corte territoriale che, in relazione a quanto devoluto nell’appello della Associazione che è stata qui ricorrente, alla luce e nei termini di quanto appena rilevato ex art. 384 c.p.c., comma 2, dovrà procedere all’accertamento del contenuto del contratto di gestione in rapporto all’ultima fase esecutiva, ovvero il rapporto all’obbligo di riconsegna del gestore e all’obbligo di ricezione di controparte, e conseguentemente della sussistenza o meno nel caso in esame di mora debendi o di mora credendi unitamente agli eventuali presupposti dell’eccezione inadimplenti non est adimplendum sollevata dalla ricorrente: accertamento che dovrà naturalmente essere esternato attraverso un apparato motivazionale non apparente/criptico, bensì che, in conformità con il valore costituzionale del principio di trasparenza dei provvedimenti giurisdizionali (art. 111 Cost., comma 6), consenta di ben comprendere l’iter logico-giuridico percorso per conseguirlo.

Al giudice di rinvio viene rimessa anche la decisione sulle spese processuali del presente grado.

PQM

Cassa in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese processuali del grado alla Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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