Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6023 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6023 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 578-2007 proposto da:
RESTIVO LINA, MARCHICA ROSETTA, MARCHICA CONCETTA,
MARCHICA SALVATORE, MARCHICA GIUSEPPE, MARCHICA
ANGELO, nella qualità di eredi di MARCHICA GAETANO

Data pubblicazione: 14/03/2014

(già imprenditore della impresa per costruzioni
Marchica Gaetano), elettivamente domiciliati in ROMA,
2013
2002

VIA DI SANTA COSTANZA 27, presso l’avvocato MARINI
LUCIA, rappresentati e difesi dall’avvocato ALAIMO
RAIMONDO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –

%

1

contro

COMUNE DI BERGAMO, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
GIULIO CESARE 14, presso l’avvocato PAFUNDI GABRIELE,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1016/2005 della CORTE
D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 02/12/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato ALAIMO RAIMONDO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato PAFUNDI
GABRIELE che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso

GRITTI VITO, giusta procura a margine del

per il rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune di Bergamo indisse una gara a licitazione privata per l’appalto dei lavori
di demolizione e di ricostruzione di alcuni edifici di proprietà comunale. Il bando e le
successive lettere di invito a partecipare alla gara precisavano che le ditte
partecipanti sarebbero state vincolate alla loro offerta per 180 giorni, elencavano le
certificazioni che l’impresa aggiudicataria avrebbe dovuto produrre entro il termine di

dieci giorni dalla formale comunicazione dell’esito della gara e specificavano che,
una volta verificata la regolarità di tali certificazioni, l’impresa sarebbe stata invitata a
produrre la documentazione necessaria alla sottoscrizione del contratto, che avrebbe
dovuto essere improrogabilmente stipulato nel termine di trenta giorni dalla gara.
La gara, espletata il 31.10.94, fu vinta da Gaetano Marchica, titolare dell’omonima
impresa edile, che, dopo aver inviato al Comune tutte i documenti elencati nel
bando, il 9.1.95 ricevette dall’ente l’invito a produrre anche “l’ abilitazione all’esercizio
delle attività ai sensi della I. n. 46/90”, che, sebbene non contemplata fra le

certificazioni richieste, costituiva requisito indispensabile per l’affidamento
dell’appalto.
Il Marchica inviò l’attestato di abilitazione il 7.3.95 ma, con atto stragiudiziale del
13.5.95, premesso che erano decorsi tanto il termine di 180 giorni durante il quale le
ditte partecipanti alla gara non avrebbero potuto ritirare le offerte, tanto quello di 30
giorni dall’espletamento della gara previsto per la stipulazione del contratto, dichiarò
di non essere più intenzionato a mantenere la propria offerta.
Successivamente l’appaltatore convenne in giudizio il Comune di Bergamo dinanzi
al tribunale cittadino e ne chiese la condanna alla restituzione della cauzione versata
ed al risarcimento dei danni, quantificati nella misura di un decimo dei lavori
ineseguiti.
Le domande furono accolte dal giudice adito in primo grado, il quale ritenne che il
ritardo nella stipulazione del contratto dovesse essere imputato al Comune, che
aveva colpevolmente omesso di inserire nel bando di gara la prescrizione
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concernente la necessità del possesso, da parte dell’impresa aggiudicataria, dei
requisiti richiesti dalla I. n. 46/90.
La decisione, appellata dall’ente soccombente, è stata però riformata dalla Corte
d’appello di Brescia che, con sentenza del 2.12.05, pronunciata nei confronti degli
eredi di Gaetano Marchica, nelle more deceduto, ha ritenuto infondata ogni pretesa
avanzata dal de cuius.

La corte territoriale ha premesso che nelle procedure di licitazione privata il processo
verbale di aggiudicazione equivale ad ogni effetto al contratto, la cui stipulazione
costituisce una mera formalità con la quale le parti disciplinano elementi secondari
della disciplina contrattuale; ha quindi osservato che il termine previsto nel bando per
la stipulazione del contratto, apposto in favore dell’amministrazione, ha natura
ordinatoria e non perentoria; che tuttavia l’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 4, 40
comma, del dPR. n. 1063/62, applicabile in via analogica, può sciogliersi dal vincolo
decorsi novanta giorni dall’aggiudicazione, sempre che la mancata stipulazione sia
dipesa da fatto imputabile all’amministrazione e senza, in ogni caso, poter vantare
diritto al risarcimento del danno. Ciò precisato, ha osservato che nel caso di specie,
al di là della fondatezza o meno dell’opinione maturata sul punto dal primo giudice,
era privo di rilievo stabilire se la richiesta dell’ente convenuto di acquisizione di una
certificazione non indicata né nel bando né nella lettera di invito a partecipare alla
gara fosse o meno legittima, atteso che il Marchica, con comportamento univoco e
concludente, aveva inviato il documento, accompagnato da una lettera in cui si
limitava soltanto a declinare ogni sua responsabilità per eventuali ritardi; che, non
essendo ravvisabili ulteriori inerzie dell’ente appaltante – che, una volta ricevuta
l’abilitazione, si era dichiarato pronto alla stipulazione del contratto – il recesso
dell’appaltatore, comunicato quando già la Giunta municipale aveva confermato
l’aggiudicazione ed autorizzato l’ufficio contratti del Comune alla stipula, doveva
ritenersi illegittimo ed immotivato sia in base al generale principio di buona fede, sia
alla luce dell’art. 114 2° comma del R.d. n. 827/24, a norma del quale “la volontà di
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sciogliersi dall’impegno mediante dichiarazione rimane priva di effetti se, prima che
questa pervenga all’amministrazione, il decreto di approvazione sia stato già
emesso”.
La sentenza è stata impugnata dagli eredi Marchica con ricorso per cassazione
affidato a quattro motivi, cui il Comune di Bergamo ha resistito con controricorso
illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo gli eredi Marchica, denunciando violazione degli artt. 10 I. n.
46/90 e 1339 c.c., lamentano che la corte bresciana abbia ritenuto che il bando di
gara che non prevede espressamente, quale condizione per la stipula dell’appalto, il
possesso di requisiti richiesti da norme imperative debba comunque essere inteso
come contenente la prescrizione in realtà omessa. Deducono in contrario che le
abilitazioni richieste dalla I. n. 46/90 sono diverse, in ragione delle varie categorie di
impianti da installare, con la conseguenza che spetta all’ente appaltante di
individuare quella effettivamente necessaria per l’esecuzione dell’opera appaltata,
specificando nel bando la necessità del suo possesso, pena l’esclusione dalla gara;
sostengono, pertanto, che il Comune di Bergamo non poteva pretendere dal loro
dante causa una certificazione che non aveva richiesto né nella lettera di invito né
nel bando, e che la pretesa esplicitata solo a distanza di tre mesi dall’aggiudicazione,
oltre a costituire causa di imputabilità del ritardo nella stipulazione del contratto tale
da giustificare il recesso del Marchica, aveva determinato la nullità
dell’aggiudicazione medesima, con conseguente obbligo dell’ente a procedere, in
regime di autotutela, alla revoca degli atti inerenti l’affidamento dell’appalto.
Il motivo va dichiarato inammissibile, siccome volto all’illustrazione di argomenti
totalmente privi di attinenza alla decisione: la corte territoriale, infatti, non ha mai
affermato che la richiesta del Comune di acquisizione dell’abilitazione, non indicata
nel bando né nella lettera di invito, dovesse ritenersi legittima in ragione della
necessità del possesso, da parte dell’impresa aggiudicataria, dei requisiti di cui alla I.

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n. 46/90, ma si è limitata a rilevare che, al di là della fondatezza o meno dell’opinione

maturata sul punto dal primo giudice, era superfluo interrogarsi su tale questione, in
quanto il Marchica aveva aderito alla richiesta ed aveva inviato la certificazione, in tal
modo ponendo in essere un comportamento concludente, incompatibile con
l’intenzione di recedere dal contratto per il ritardo nel frattempo accumulatosi.
2) Col secondo motivo i ricorrenti, sulla premessa che il Capitolato generale delle

00.PP. del Comune di Bergamo non prevede che, prima della stipulazione del
contratto, gli atti di gara debbano ricevere l’approvazione della giunta municipale,
deducono che l’ente appaltante, sottoponendo gli atti all’approvazione della Giunta,
ha causato ulteriori ritardi, lasciando scadere tutti i termini e legittimando l’impresa a
svincolarsi dell’offerta; sostengono, inoltre, che il giudice d’appello ha erroneamente
respinto le domande del Marchica in base al rilievo della natura contrattuale del
processo verbale di aggiudicazione, mentre avrebbe dovuto tener conto del
contenuto della lettera- invito, che prevedeva espressamente che il contratto
sarebbe stato stipulato solo dopo l’aggiudicazione.
Anche questo motivo va dichiarato inammissibile.
Va intanto rilevato che la corte bresciana, pur enunciando in premessa il principio
secondo cui nelle procedure a licitazione privata il processo verbale di
aggiudicazione equivale ad ogni effetto al contratto, non ha posto tale principio a
fondamento della decisione, ma è scesa all’esame del merito, preoccupandosi di
verificare se il recesso del Marchica potesse essere giustificato dal mancato rispetto
del termine di trenta giorni dall’aggiudicazione previsto per la stipulazione del
documento negoziale definitivo, nel quale le parti avrebbero dovuto puntualizzare gli
elementi secondari della disciplina contrattuale.
I ricorrenti, che, ancora una volta, muovono da una personale ed errata
interpretazione della motivazione che sorregge la pronuncia impugnata, difettano
pertanto di interesse a sentir accertare che nel caso di specie il principio richiamato
dalla corte territoriale non poteva trovare applicazione.
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Per il resto, il motivo attiene ad un tema d’indagine (il preteso ritardo del Comune
successivo al ricevimento del documento di abilitazione) che non risulta aver mai
formato oggetto di contraddittorio fra le parti nei precedenti gradi di merito e che,
integrando una nuova causa petendi, comportante anche la necessità di nuovi
accertamenti in fatto, non poteva essere introdotto per la prima volta nella presente
sede di legittimità.

3) Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 4 del dPR n. 1063/62 e
dell’art. 4 del C.G.A. delle 00.PP. del Comune di Bergamo, i ricorrenti contestano
che il loro dante causa non avesse dato peso al ritardo con il quale l’ente appaltante
aveva proceduto al compimento degli atti successivi all’aggiudicazione. Deducono a
riguardo che nella comunicazione di recesso il Marchica aveva, al contrario,
qualificato il ritardo come rilevante ed integrante la violazione delle prescrizioni del
C,G.A.; lamentano, sotto altro profilo, che la corte del merito abbia ritenuto illegittimo
il recesso in quanto comunicato all’amministrazione dopo che la Giunta aveva
adottato la delibera di approvazione ed abbia omesso di considerare che detta
delibera non era stata portata a conoscenza dell’imprenditore.
Il motivo deve essere respinto.
E’ infatti evidente che l’accertamento del giudice d’appello secondo cui l’invio da
parte del Marchica del certificato di abilitazione costituiva comportamento
concludente, incompatibile con la volontà di recedere dal contratto a causa dello
slittamento del termine stabilito per la sua stipulazione determinato dall’imprevista
richiesta del Comune, non può ricevere smentita dal contenuto della successiva
comunicazione di recesso, che lo stesso giudice ha ritenuto illegittima e immotivata
proprio alla luce della già intervenuta accettazione del ritardo, univocamente
manifestata dall’appaltatore nel momento in cui, aderendo alla richiesta dell’ente,
decise di adempiere all’ulteriore onere impostogli.
Poiché l’accertamento in questione integra un’autonoma (oltre che la principale) ratio

decidendi, di per sé sufficiente a sorreggere la pronuncia, i ricorrenti sono privi di
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interesse a sindacare l’ulteriore assunto della corte territoriale secondo cui la
comunicazione di recesso era illegittima anche perché intervenuta in data
successiva all’approvazione della gara d’appalto da parte della Giunta municipale:
l’eventuale fondatezza delle relative ragioni di doglianza non basterebbe infatti a
condurre all’annullamento della sentenza impugnata.

ripropongono la medesima censura sotto il profilo del vizio di motivazione.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, che liquida in E 12.200, di cui E 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Roma, 12 dicembre 2013.

4) Resta assorbito il quarto motivo di ricorso, con il quale gli eredi Marchica

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