Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6023 del 12/03/2010

Cassazione civile sez. I, 12/03/2010, (ud. 13/11/2009, dep. 12/03/2010), n.6023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6616-2008 proposto da:

M.M. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

29/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/11/2009 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI PIETRO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 15 marzo 2007, M.M. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 13.07-29.08.2007, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore dell’istante della somma attualizzata di Euro 17.300,00, con interessi legali dalla pubblicazione del provvedimento, quale indennizzo del danno non patrimoniale, nonchè al pagamento di 1/3 delle spese processuali, compensate per i residui 2/3, liquidandole nella già ridotta misura di Euro 15,00 per diritti ed Euro 250,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il M. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo ancora pendente in primo grado, da lui introdotto dinanzi al TAR Campania, con ricorso del 27.01.1987, e nel quale non era stata presentata istanza di prelievo;

– che detto processo amministrativo avrebbe dovuto essere definito in un triennio ed aveva quindi subito un ritardo irragionevole di durata stimabile in anni 17 e mesi 2, in relazione al quale l’indennizzo del danno morale doveva essere quantificato, considerando i parametri CEDU, le connotazioni oggetti ve e soggettive del caso di specie, ivi compreso il fatto che si trattava di una causa di lavoro non particolarmente rilevante, afferendo ad un profilo retributivo di modesto valore economico, tale da non comportare uno stress particolare e da non consentire l’attribuzione del bonus di Euro 2.000,00.

Avverso questo decreto il M. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 29.02.2008. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso notificato il 9.04.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Riassuntivamente ed in sintesi, con il ricorso il M. denuncia violazioni di legge e vizi motivazionali e chiede l’annullamento del decreto impugnato, in applicazione delle rubricate disposizioni normative e dei relativi principi giurisprudenziali anche sovranazionali, riferiti sia (motivi da 1 a 6) ai criteri di liquidazione del danno morale, che assume essergli dovuto nella misura di Euro 125 per ciascuno dei mesi di protrazione del processo, con integrazione del bonus di Euro 2.000,00, e sia (motivi da 7 a 13) all’insufficienza dell’attuata liquidazione delle spese processuali, parzialmente compensate ed a suo parere anche immotivatamente ridotte rispetto a quelle richieste con la nota spese depositata nel pregresso grado di merito.

Manifestamente infondate risultano le censure afferenti:

– la necessità di correlare l’indennizzo alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a)), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di riferire il ristoro al solo periodo di durata eccedente il ragionevole (cfr, tra le altre, Cass. 200508568; 200608714;

200723844);

– la determinazione in via equitativa del dovuto in Euro 1.000,00 ad anno, senza maggiorazioni, che si rivela aderente ai noti criteri di quantificazione della riparazione del danno non patrimoniale applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, oscillanti tra Euro 1.000,00 e 1.500,00 per ogni anno di eccessiva durata e supportata da congrue e logiche argomentazioni, essenzialmente ricondotte alle peculiarità del caso (tra le numerose altre, cfr. Cass. 200704845), che precludevano pure l’incrementabilità con bonus di Euro 2.000,00, il quale presuppone casi di particolare gravità del danno in relazione alla posta in gioco, nel caso di specie non evincibili (in tema cfr Cass. 20086808;

200917684).

Fondato è, invece, il motivo inerente alle spese processuali del giudizio di merito. Nei processi davanti ai giudici nazionali, ivi compresi quelli di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il regime delle spese di lite deve seguire le regole legali previste dalla legge italiana (in tema, cfr. Cass. 200318204;

200423789; 200714053), e, dunque, ben poteva esserne disposta la compensazione parziale.

A tale riguardo, tuttavia, se da un canto l’esito della controversia ragionevolmente consentiva di disporre la compensazione in limite non superiore alla metà delle spese processuali, dall’altro, in effetti, quanto liquidato dal primo giudice appare non rispondente per difetto ai vigenti criteri tariffari, fissati per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello.

Accolta, dunque, la censura in questione, sulle esposte premesse ben può procedersi con riguardo soltanto alla statuizione inerente al regime delle spese del giudizio di merito,alla cassazione dell’impugnato decreto e, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., alla riliquidazione, di tali spese, previa compensazione per 1/2 secondo gli importi indicati in dispositivo, in relazione ad attività necessariamente compiute, non avendo il ricorrente specificato le modalità anche temporali di deposito della nota spese nel pregresso grado.

L’esito del ricorso giustifica la compensazione nella misura di 2/3 delle spese del giudizio di legittimità, e la condanna dell’Amministrazione controricorrente al pagamento della residua parte, liquidata come in dispositivo. Spese distratte.

P.Q.M.

Accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso del M., cassa in parte qua il decreto impugnato e decidendo nel merito, compensa per la metà le spese del giudizio di merito, e liquida la residua parte in complessivi Euro 750,00 (di cui Euro 25,00 per esborsi ed Euro 300,00 per diritti), condannando il Ministero dell’Economia e delle Finanze al relativo pagamento in favore del ricorrente. Compensa, inoltre, nella misura di 2/3 le spese del giudizio di legittimità e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della residua parte, che liquida in complessivi Euro 367,00 (di cui Euro 333,00 per onorari), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, spese tutte da distarsi in favore in favore dell’Avv.to A.L. Marra antistatario.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010

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