Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6022 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6022 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CRISTIANO MAGDA

R.G.N.

3980/2012

SENTENZA
Cron.

sul ricorso 3980-2012 proposto da:
Rep.

6 o ze

C» 1.”- ,

CASATA CLAUDIO (c.f. CSTCLD53M11G565S), domiciliato
Ud. 11/12/2013

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato MANTOVANI ANDREA, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2013
contro

1981

ZANOLLI MARIANO;
– intimato –

Data pubblicazione: 14/03/2014

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO,
depositato il 29/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
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udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;

ANDREA che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

udito, per il ricorrente, l’Avvocato MANTOVANI

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il geometra Claudio Casata e la s.a.s. Casata Due, da lui rappresentata,
presentarono al tribunale di Trento, territorialmente competente, una proposta di
concordato con cessione dei beni che prevedeva il pagamento dei crediti chirografari
nella misura del 22,7%
Il concordato fu approvato dai creditori, omologato dal tribunale e posto in

esecuzione.
Il Casata, rilevato che dalla vendita dei beni era stata ricavata una somma superiore
a quella necessaria a soddisfare i creditori nella misura percentuale offerta, presentò
un’istanza per la restituzione dell’eccedenza, che fu respinta dal giudice delegato.
Il reclamo ex art. 26 I. fall. proposto dal Casata contro il provvedimento di diniego è
stato a sua volta respinto dal tribunale di Trento con decreto del 29.11.2011.
Il tribunale ha rilevato che si versava in fattispecie di concordato con cessione, nel
quale l’obbligazione dedotta in contratto è la messa a disposizione dei beni e non la
soddisfazione dei crediti in una determinata misura percentuale, la cui indicazione
nella proposta assume unicamente funzione chiarificatrice del presumibile risultato
derivante dall’esecuzione del piano; ha pertanto ritenuto che la somma ricavata
dalla vendita dovesse essere interamente ripartita fra i creditori.
Il provvedimento è stato impugnato da Claudio Casata con ricorso straordinario per
cassazione affidato ad un unico motivo.
Il liquidatore giudiziale del concordato non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con l’unico motivo di ricorso Sergio Casata deduce violazione degli artt. 160,
177,78,184 e 186 I. fall. Rileva che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il
novellato concordato preventivo ha natura prevalentemente contrattuale, con
conseguente rilevanza centrale dell’apprezzamento e dell’accettazione da parte dei
creditori della proposta del debitore e sostiene che da tale premessa dovrebbe trarsi
la conseguenza che la percentuale di soddisfacimento offerta costituisce uno dei
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presupposti sui quali si forma il consenso dei creditori, che entra a far parte del
contenuto vincolante dell’accordo ai sensi dell’art. 1326 c.c., non potendo la
cessione dei beni e la liquidazione essere disancorate dalla promessa di un risultato
utile conseguibile. Osserva, ancora, che se l’indicazione della percentuale è
elemento imprescindibile della proposta per escluderne l’aleatorietà, e se la
valutazione della sua convenienza spetta ai creditori, non è dato comprendere

perché su di essa non dovrebbe formarsi un vincolo giuridico che obblighi i creditori
che hanno prestato il loro assenso a non pretendere più di quanto era stato loro
promesso. Deduce, infine, che l’esistenza di un obbligo dell’imprenditore a
soddisfare i crediti nella misura percentuale indicata e del corrispondente obbligo dei
creditori al rispetto di tale misura può ricavarsi dal disposto dell’ad 186 I. fall. , a
norma del quale ciascun creditore può chiedere la risoluzione del concordato per
inadempimento (salvo che questo non abbia scarsa importanza), posto che, qualora
il concordato sia stato proposto nella forma della cessio bonorum,

vi sarebbe

inadempimento proprio nel caso in cui il ricavato dalla vendita dei beni non portasse
alla realizzazione dei risultati satisfattori indicati nella proposta.
Il motivo è infondato.
Come è stato correttamente rilevato dai giudici del merito, nel concordato con
cessione dei beni l’imprenditore assume l’obbligo di porre a disposizione dei creditori
l’intero patrimonio dell’impresa e non di garantire il pagamento dei crediti in una
misura percentuale prefissata.
Nella domanda di concordato con cessione l’indicazione della percentuale di
soddisfacimento dei crediti è dunque necessaria al fine di consentire ai creditori di
valutare la concretezza e la convenienza della proposta, nonché la sua fattibilità
economica, ma, a meno di un’espressa previsione in tal senso, non costituisce
manifestazione di una volontà negoziale sulla quale si forma il consenso o
l’accettazione, perché ciò equivarrebbe a ritenere sempre necessaria l’assunzione
della forma del concordato misto, in cui la cessione è accompagnata dall’impegno a
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garantire ai creditori una percentuale minima di soddisfacimento, laddove oggetto
dell’obbligazione nel concordato con cessione è unicamente l’impegno a mettere i
beni a disposizione dei creditori liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la
liquidazione o ne diminuiscano sensibilmente il valore (cfr. Cass. n. 13817/011
nonché Cass. S.U. n. 1521/13).
Non va dimenticato, d’altro canto, che il concordato con cessione prevede la

realizzazione di un piano di tipo liquidatorio riconducibile, nella fase esecutiva (al pari
della procedura fallimentare), alla più vasta categoria dei procedimenti – in senso
lato- di esecuzione forzata (cfr. Cass. S.U. n. 19506/08), nel quale, pertanto, il
ricavato della vendita dei beni va distribuito a favore dei creditori, i quali beneficiano
dell’ eventuale miglior risultato, rispetto a quello promesso, in ragione della garanzia
generale per loro rappresentata dal patrimonio del debitore.
Va, per converso, escluso che in tale tipo di concordato, in cui l’entità del
soddisfacimento deriva dal risultato della liquidazione, sul quale non può esservi
alcuna preventiva certezza, i creditori che, ciò nonostante, hanno approvato la
proposta, possano richiedere la risoluzione nell’ipotesi in cui la somma ricavata dalla
vendita dei beni si discosti, anche notevolmente, da quella necessaria a garantire il
pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata, non potendosi configurare
inadempimento rispetto ad un’obbligazione che il debitore non ha assunto. In tal
caso, piuttosto, come è stato sottolineato da attenta dottrina, l’inadempimento che
giustifica la risoluzione potrà essere invocato qualora il patrimonio conferito sia
risultato privo delle qualità promesse, ai sensi dell’art. 1497 c.c.
Né argomenti in contrario possono trarsi dall’art. 1984 c.c., norma dettata in tema di
disciplina della cessio bonorum, la quale prevede che, se non vi è patto contrario, il
debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro
spettante sul ricavato nei limiti di quanto hanno ricevuto.
Può, infatti, in linea di principio, ritenersi che la cessio bonorum costituisca modello
di riferimento del concordato con cessione, ma non v’è dubbio che fra i due istituti
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ricorrano notevoli divergenze – tali da non consentire l’applicazione pedissequa della
disciplina codicistica alla procedura concorsuale – la più importante delle quali attiene
proprio all’effetto esdebitatorio nei confronti di tutti i creditori che deriva
dall’esecuzione del concordato nei termini in cui è stato accettato dalla maggioranza
di costoro.

ricorrente a sostegno del proprio assunto.
Poiché la parte intimata non ha svolto attività difensiva, non v’è luogo alla
liquidazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 11 dicembre 2013.

Risulta, in conclusione, privo di pregio anche l’ultimo degli argomenti illustrato dal

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