Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6021 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6021 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DE CHIARA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIOVANNETTI Graziano, titolare della ditta individuale
G.E G. ITALIA di GIOVANNETTI GRAZIANO, rappresentato e
difeso, per procura a rogito del notaio dott. Vincenzo
Bafunno rep. n. 50075 del 22 marzo 2007, dall’avv.
prof. Giuseppe Sena, dall’avv. Paola Tarchini e
dall’avv. Elisabetta Berti Arnoaldi Veli ed elett.te
dom.to presso lo studio dell’avv. Francesco Samperi in

2013
21. (352.

Roma, Via Ennio Quirino Visconti n. 90

– ricorrente –

Data pubblicazione: 14/03/2014

contro
GIOVANNETTI cav. Benito e GIOVANNETTI COLLEZIONI
D’ARREDAMENTO s.r.1., in persona dell’amministratore
unico sig.ra Lorena Lucarelli, rappresentati e difesi,

avv.ti Graziano Brogi, Laura Pallini, Alfredo Calistri
ed Ermanno Prastaro ed elett.te dom.ti presso lo studio
di questìultimo in Roma, Via Chinotto n. 1

– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1813/06 della Corte d’appello di
Firenze n. 168 depositata il 5 febbraio 2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 dicembre 2013 dal Consigliere dott. Carlo
DE CHIARA;
uditi per la ricorrente gli avv.ti Giuseppe SENA ed Elisabetta BERTI ARNOALDI VELI;
udito per la controricorrente l’avv. Ermanno PRASTARO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sergio DEL CORE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il cav. Benito Giovannetti, titolare della ditta
individuale Giovannetti Arredamenti, e la Giovannetti
Collezioni d’Arredamento s.r.1., rispettivamente proprietario e usufruttuaria del marchio registrato ita2

per procura speciale a margine del controricorso, dagli

liano “Giovannetti”, convennero davanti al Tribunale di
Pistoia, nel marzo 2000, il sig. Graziano Giovannetti,
fratello di Benito e titolare della ditta G. e G. Italia di Giovannetti Graziano, cui addebitavano la con-

sleale.
Il Tribunale respinse la domanda, ma la Corte di
Firenze ha accolto l’appello degli attori. Ammessa la
produzione di nuovi documenti in sede di gravame sia
perché, in parte, riguardanti fatti successivi alla
conclusione del giudizio di primo grado, sia perché ritenuti tutti comunque indispensabili ai fini del decidere, la Corte ha accertato che l’uso del patronimico
“Giovannetti” da parte dell’appellato avveniva in funzione distintiva e non meramente descrittiva, e perciò
in violazione dei principi di correttezza professionale; conseguentemente ha disposto, a carico
dell’appellato, l’inibitoria dell’uso del marchio “Giovannetti”, sia come marchio di fatto che come ditta, e
la condanna al risarcimento del danno, liquidato in C
41.316,55, oltre alla pubblicazione del dispositivo
della sentenza su due quotidiani e un periodico.
Il sig. Graziano Giovannetti ha proposto ricorso
per cassazione con quattro motivi di censura. Il cav.
Benito Giovannetti e la Giovannetti Collezioni

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traffazione del marchio e la conseguente concorrenza

d’Arredamento s.r.l. hanno resistito con controricorso.
Sia il ricorrente che i controricorrenti hanno anche
presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

violazione e falsa applicazione degli artt. 8, comma 2,
e 21, comma l, c.p.i. (codice della proprietà industriale), si sostiene che il titolare (nella specie le
parti controricorrenti) di un marchio costituito da un
nome patronimico non può impedire a un terzo (nella
specie il ricorrente), sotto il profilo della contraffazione del marchio, l’adozione e l’uso del proprio nome, coincidente con il marchio, anche in funzione distintiva e cioè come ditta, marchio o insegna.
2. – Il secondo motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. e vizio
di motivazione, contiene i seguenti rilievi:
a) premessa la liceità, ai sensi degli artt. 8,
comma 2, e 21, comma l, c.p.i., citt., dell’adozione e
dell’uso del proprio nome come ditta e nell’attività
economica pur in presenza di un marchio di cui un terzo
(nella specie le parti controricorrenti) sia titolare,
si sostiene tale uso (nella specie da parte del ricorrente) è di per sé lecito sotto il profilo, appunto,
del divieto di concorrenza sleale di cui al richiamato

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1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando

art. 2598 c.c., la violazione del quale dev’essere comunque esclusa nel caso di aggiunta al nome di elementi
di differenziazione;
b) si lamenta che la Corte d’appello abbia omesso

prie conclusioni circa gli elementi di differenziazione
introdotti dal ricorrente nella ditta e nell’uso del
nome patronimico, tenendo conto del diritto del titolare di quest’ultimo di farne uso come ditta e
nell’attività economica.
3. – Detti motivi, da esaminare congiuntamente in
quanto connessi, non possono trovare accoglimento.
Nel vigore della legge marchi (T.U. delle disposizioni legislative in materia di marchi registrati approvato con r.d. 21 giugno 1942, n. 929), questa Corte
aveva chiarito che ai sensi dell’art. l

bis di tale

legge (aggiunto dall’art. 2 d.lgs. 4 dicembre 1992 n.
480), l’utilizzazione commerciale del nome patronimico
dev’essere conforme ai principi della correttezza professionale e, quindi, non può avvenire in funzione di
marchio, cioè distintiva, ma solo descrittiva (Cass.
29879/2011, 15096/2005, 6424/2003).
L’art. 8, comma 2, c.p.i. prevede che

In ogni

caso, la registrazione [come marchio: n.d.r.] non impedirà a chi abbia diritto al nome di farne uso nella

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di considerare analiticamente e di motivare le pro-

ditta da lui prescelta, sussistendo i presupposti di
cui all’art. 21, comma l”,

il quale a sua volta prevede

(nel testo come da ultimo sostituito dall’art. 13
d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131) che

“I diritti di mar-

vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché
l’uso sia conforme al principi della correttezza professionale: a) del loro nome e indirizzo…”.
Ad avviso della ricorrente, essendo state eliminate, nel testo dell’art. 21, comma 1, cit., le parole

“e

quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione
descrittiva”,

che figuravano invece nel testo del pre-

vigente art. l bis 1.m. dopo il riferimento ai “principi di correttezza professionale”, non sussisterebbe più
il divieto di uso in funzione di marchio del proprio
patronimico corrispondente al marchio già registrato da
altri. Questa tesi, però, non può essere accolta, atteso che siffatto uso altro non è che una specifica ipotesi – in precedenza espressamente prevista, non a caso
preceduta dalla conclusiva “quindi” – di violazione dei
principi di correttezza professionale; onde la mancanza
della sua espressa previsione nel nuovo testo nulla toglie all’estensione della norma, che continua a comprendere anche detta ipotesi.

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chio d’impresa registrato non permettono al titolare di

Quanto sin qui osservato vale a dare conto
dell’infondatezza del primo motivo e del rilievo

sub a)

contenuto nel secondo.
Il rilievo sub b) di quest’ultimo è invece inam-

pacifico in causa che egli abbia accompagnato l’uso del
segno “Giovannetti” con importanti elementi di differenziazione quali il proprio prenome “Graziano” e il
segno “G.E.G. Italia”. Sennonché dalla sentenza impugata risulta invece che l’appellato, attuale ricorrente,
usava il solo cognome “Giovannetti”, non acccompagnato
da alcun nome, e che utilizzava il medesimo cognome
quale insegna del suo esercizio commerciale senza alcuna opportuna differenziazione grafica od aggiunta atta
a distinguerla dal marchio di controparte. Questi accertamenti di fatto non possono essere contestati dal
ricorrente semplicemente affermando che, al contrario,
l’uso dei segni di differenziazione era pacifico in
causa; occorreva piuttosto articolare sul punto una idonea censura di vizio di motivazione, che però è del
tutto mancata.
4. – Con il terzo motivo si denunciano violazione
e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. e vizio di motivazione. Vengono posti, ai sensi dell’art. 366

bis

c.p.c. (nella specie applicabile risalendo la sentenza

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missibile. Ad avviso del ricorrente, infatti, sarebbe

impugnata ad epoca anteriore all’entrata in vigore della 1. 18 giugno 2009, n. 69, che l’ha abrogato) un quesito di diritto e una sintesi del vizio di motivazione
che è bene riportare testualmente.
se nel caso di utiliz-

zazione come segno distintivo di un nome ritenuto confondibile col marchio appartenente ad altri, debbano
distinguersi nell’applicazione dell’art. 2598 c.c. la
questione relativa all’uso del nome da altre fattispecie eventualmente qualificabili come concorrenzialmente
scorrette. E ciò in relazione al diverso contenuto
dell’inibitoria e del risarcimento che potrano essere
disposti dalla sentenza’.
La sintesi della censura alla motivazione è che la
Corte d’appello “ha omesso di motivare la propria decisione distinguendo la fattispecie correlata
all’utilizzazione del nome patronimico confondibile con
il marchio registrato dalle altre fattispecie, senza
procedere ad una analitica motivazione’.
5. – Il motivo è inammissibile perché non è dato
comprendere il senso delle censure. Il quale non viene
messo a fuoco neppure dalla breve illustrazione che
precede i quesiti sopra trascritti, considerato anche
che il ricorso non contiene una adeguata narrativa né

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Il quesito di diritto è

dei fatti di causa né della motivazione della sentenza
impugnata.
6. – Anche il quarto motivo di ricorso, con cui,
denunciando violazione dell’art. 345 c.p.c. e vizio di

di nuovi documenti in appello, è inammissibile. La censura è infatti generica, non essendo precisato quali
siano i documenti inammissibilmente prodotti e il loro
contenuto, senza di che questa Corte non è in condizione di valutare la decisività della censura stessa.
7. – Il ricorso va in conclusione respinto, con
condanna del ricorrente alle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in e 8.200,00, di
cui C 8.000,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9
dicembre 2013.

motivazione, si censura l’ammissione della produzione

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