Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6021 del 09/03/2017
Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, (ud. 19/12/2016, dep.09/03/2017), n. 6021
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20898-2015 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA QUINTILIO
VARO, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO CAPPA, che lo
rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CERVED CREDIT MANAGEMENT SPA in qualità di procuratrice speciale di
CREDITO VALTELLINESE S.C. quale cessionario di FINANZIARIA SAN
GIACOMO SPA, in persona del legale rappresentante p.t.,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo
studio dell’avvocato ERNESTO MOCCI, che la rappresenta e difende
giusta procura a margine del controricorso;
FINAX SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
Amministratore Delegato Dott. L.S., elettivamente domiciliata
in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato
EMILIO STERPETTI, che la rappresenta e difende giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 4835/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il
16/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/12/2016 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;
udito l’Avvocato MASSIMILIANO CAPPA;
udito l’Avvocato ERNESTO MOCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso:
1. Inammissibilità, anche ex art. 366 c.p.c. (difetto di
autosufficienza): condanna aggravata di parte ricorrente alle spese;
statuizione sul C.U.;
2. in subordine, rimessione alle Sezioni Unite affinchè statuiscano
l’ambito di applicazione, anche ratione temporis, dell’art. 385
c.p.c., comma 4 e art. 96 c.p.c., comma 3, atteso che;
2.1. a fronte di talune sporadiche decisioni della Suprema Corte
(così Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3376 del 22/02/2016, Rv. 638887, che
ha motivatamente applicato l’art. 385 c.p.c., comma 4), le
argomentate domande di condanna aggravata alle spese proposte da
parecchi anni dalla Procura Generale sono state (implicitamente)
disattese dalla Suprema Corte, omettendo per altro qualunque
motivazione al riguardo (v. ex multis Cass. n. 23865/2015 e
3349/2016);
2.2. da accertamenti eseguiti dall’Ufficio statistico della
Cassazione emerge che, nel periodo 2006-2015, si registrano soltanto
sei condanne aggravate alle spese ex art. 385, comma 4, a fronte
delle migliaia di ricorsi dichiarati inammissibili o manifestamente
infondati soprattutto dalla Sesta Sezione (deputata per l’appunto al
c.d. filtro);
2.3. in sede penale la condanna all’ammenda è adottata normalmente
nei casi previsti (art. 616 c.p.p. e Corte costituzionale sent. n.
186/2000);
2.4. la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima
la previsione del novellato art. 96 c.p.c. (sent. n. 152/2016),
sicchè a fortiori deve ritenersi immune da qualunque illegittimità
costituzionale anche il più rigoroso precetto dell’art. 385 c.p.c.,
comma 4;
2.5. la doverosa applicazione della condanna aggravata, potrebbe
indurre molti Avvocati a desistere da un ricorso frettolosamente
proposto (anche per evitare la duplicazione del contributo
unificato), così contribuendo efficacemente alla riduzione del
contenzioso pendente.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
B.M., debitore esecutato, con ricorso del 4 ottobre 2010, ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di vendita emessa – in data 9 giugno 2010 – nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare. Disposta la comparizione delle parti, il giudice dell’esecuzione – con ordinanza pubblicata il 18 gennaio 2011- revocava l’ordinanza di vendita, disponeva l’integrazione della perizia di stima, dichiarava conseguentemente non luogo a provvedere in ordine all’istanza di sospensione della procedura esecutiva e concedeva il termine di 120 giorni dalla comunicazione del provvedimento per l’introduzione del giudizio di merito.
Nel prosieguo del processo esecutivo, all’udienza del 18 maggio 2011, in esito all’esame della perizia integrativa, il B. dichiarava di rinunciare all’opposizione.
Poi, con atto di citazione ritualmente notificato, introduceva nel merito il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, chiedendo la revoca della citata ordinanza del 9 giugno 2010, nonchè l’accertamento dell’insussistenza del debito e della nullità, inesistenza o irregolarità della notifica del titolo esecutivo, del precetto, del pignoramento e di ogni altro atto successivo.
Con sentenza del 2 marzo 2015 il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi, rilevando che la domanda di annullamento dell’ordinanza di vendita era stata rinunziata e che le ulteriori doglianze, relative all’esistenza del credito e alla validità del titolo esecutivo, costituivano nuovi motivi di opposizione, non contenuti nel ricorso del 4 ottobre 2010, quindi inammissibili.
Avverso tale decisione, il B. propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da successive memorie. Resistono con controricorso la Finax s.p.a. e la Cerved Credit Management s.p.a., quale procuratrice speciale del Credito Valtellinese.
Il ricorrente ha proposto istanza per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni unite di questa Corte.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente formula generiche censure alla notificazione di tutti gli atti del procedimento, con particolare riferimento a quella del decreto ingiuntivo costituente titolo esecutivo. Con la successiva istanza di rimessione della causa innanzi alle Sezioni unite, il ricorrente si sofferma su quest’ultimo
aspetto, evidenziando che non può condividersi l’orientamento secondo il quale “nell’ambito della disciplina dettata dall’art. 644 cod. proc. civ., l’inefficacia del decreto ingiuntivo è legittimamente riconducibile alla sola ipotesi in cui manchi sia giuridicamente inesistente) la notifica nel termine stabilito dalla norma predetta, e non anche nel caso di nullità od irregolarità della notifica eseguita nel predetto termine, poichè la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso. Tale nullità od irregolarità della notifica può essere fatta valere a mezzo dell’opposizione tardiva di cui al successivo art. 650, la quale, peraltro, non può esaurirsi in una denuncia di tale irregolarità, perchè siffatta denuncia, ove non accompagnata da contestazioni sulla pretesa creditoria, e dunque non indirizzata all’apertura del giudizio di merito (malgrado il decorso del termine in proposito fissato), non è idonea ad alcun risultato utile per l’opponente, nemmeno con riguardo alle spese della fase monitoria” (Sez. 3, Sentenza n. 18791 del 28/08/2009, Rv. 609686).
Sostiene che vi sarebbero non meglio precisate decisioni di segno contrario e che la questione
“complicata per essere decisa da una singola sezione”.
Con il secondo motivo si duole della circostanza che il giudice di merito non avrebbe “messo a fuoco” il petitum e la causa petendi, violando il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, in quanto si sarebbe espresso solo sulla domanda rinunciata (ossia sull’opposizione avverso l’ordinanza di vendita del 9 giugno 2010), anzichè sulle domande puntualizzate pure in sede di precisazione delle conclusioni.
Infine, con il terzo motivo, la decisione di merito viene censurata per aver ritenuto efficace la rinunzia ai motivi di opposizione resa dallo stesso B. in un giudizio, a suo dire, diverso da quello rinunziato.
Le anzidette censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili.
Il ricorso deciso con la sentenza impugnata conteneva motivi di opposizione all’esecuzione e di opposizione agli atti esecutivi, come chiarito con l’ordinanza di correzione di errore materiale del 16 aprile 2015. Il ricorso per cassazione deve ritenersi circoscritto solo a questi secondi, difettando le condizioni per ricorrere per saltum avverso la sentenza che, nella parte relativa alla contestazione del diritto del creditore ad agire in executivis, sarebbe stata invece appellabile.
Poichè, secondo la prospettazione del ricorrente, il preteso vizio della notificazione del decreto ingiuntivo comporterebbe la radicale inesistenza del titolo esecutivo e dunque del diritto ad agire in executivis, anche questa censura è inammissibile perchè proposta per saltum. Del resto, secondo quanto emerge dalla lettura dei controricorsi, pure lo stesso B. avrebbe proposto appello avverso l’impugnata sentenza.
Così perimetrato l’oggetto del decidere, si deve immediatamente rilevare che il ricorso non contiene alcuna specifica censura dell’affermazione, contenuta nella sentenza d’appello, secondo cui i motivi contenuti nell’atto che introduce il giudizio di merito sull’opposizione, ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 2, sono nuovi e inammissibili.
Si tratta, peraltro, di un’osservazione corretta in punto di diritto, in quanto “in tema di giudizio di opposizione agli atti esecutivi, l’atto che introduce il giudizio di merito sull’opposizione, ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 2, deve contenere motivi di opposizione coincidenti con quelli proposti col ricorso introduttivo della fase dinanzi al giudice dell’esecuzione, ma è in facoltà dell’opponente – ove abbia, col ricorso davanti al giudice dell’esecuzione, proposto più di un motivo di opposizione – rinunciare ad uno o più degli originari motivi, riproponendo nell’atto introduttivo del giudizio di merito sull’opposizione soltanto uno o taluno di questi. In tale eventualità, il giudizio di merito sarà limitato soltanto ai motivi di opposizione agli atti esecutivi così riproposti(Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1012 del 16/01/2013, Rv. 625032).
Al contrario, il ricorrente sembra convinto della possibilità di poter modificare le domande addirittura fino al momento della precisazione delle conclusioni, indicando infatti queste ultime come criterio per la definizione del thema decidendum.
L’omessa impugnazione del capo della sentenza d’appello che stabilisce l’inammissibilità delle doglianze esposte per la prima volta con l’atto col quale è stato introdotto nel merito il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, determina l’improponibilità delle medesime doglianze in sede di legittimità. Stante la perimetrazione dell’oggetto del presente giudizio di cui si è detto, non vi sono altri motivi da esaminare.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.
Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dal parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017