Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 602 del 12/01/2018

Cassazione civile, sez. trib., 12/01/2018, (ud. 20/04/2017, dep.12/01/2018),  n. 602

Fatto

FATTI DELLA CAUSA

1. C.G. ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., avverso la sentenza di questa Corte n. 27045 del 19 dicembre 2014, la quale ha rigettato il ricorso da lui proposto contro l’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza del 18 dicembre 2008 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza resa in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che, in accoglimento del ricorso del C. aveva annullato un avviso di accertamento a lui notificato.

2. Al ricorso per revocazione, che prospetta due motivi, ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

3. La trattazione del ricorso veniva fissata in Camera di consiglio davanti alla Sesta Sezione-Tributaria, ai sensi dell’art. 380-bis c.pc.., sulla base di una relazione che proponeva la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

4. All’esito dell’adunanza del 3 novembre 2016, il Collegio rimetteva gli atti alla Sezione Tributaria con ordinanza n. 26829 del 2016.

Seguiva la fissazione della trattazione nell’odierna pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso per revocazione si deduce “violazione degli artt. 160 e 156 c.p.c., in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 4, per assoluta incertezza della data di fissazione della pubblica udienza di discussione del ricorso per cassazione”.

Vi si assume quanto segue:

a) il C. (rectius: il suo difensore Avvocato Jacopo Pensa), risultava domiciliato, come da procura rilasciata al difensore Avvocato Jacopo Pensa, presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Smargiassi, in (OMISSIS);

b) a seguito della fissazione dell’udienza pubblica di trattazione del ricorso la Cancelleria di questa Sezione tentava di notificare presso quel domicilio, dove tuttavia, come emergeva dalla relata della notificazione tentata, l’Avvocato Smargiassi risultava “trasferito altrove come dichiaratomi dal portiere D.T.”;

c) la Cancelleria della Sezione Tributaria, in ragione dell’esito infruttuoso della notificazione, richiedeva la notificazione presso il proprio ufficio, che veniva eseguita;

d) tuttavia “di tale notifica non” risulterebbe “prova certa, posto che in tale richiesta si legge sltanto “si notifichi all’avv. Pensa Jacopo presso Smargiassi Giovanni nel nuovo domicilio c/o Cancelleria Corte Suprema di Cassazione”, e in calce fa seguito soltanto la sottoscrizione del cancelliere”;

e) “in ogni caso, ove anche nel documento” fosse ravvisabili “un’avvenuta notifica”, la stessa apparirebbe “irregolare ed inficiata da assoluta nullità, considerato che, sull’atto, risultano due date diverse: l’una, in testa, a penna con l’indicazione “Roma 07.07.14”; l’altra, in calce, a stampa (Roma) e a timbro, non è chiaro se “17” o “7 GIU 2014″”;

f) quest’ultima circostanza evidenzierebbe una “contraddittorietà circa la data in cui la notifica sarebbe stata realmente effettuata” e la conseguente nullità, in quanto prevista dall’art. 160 c.p.c., sarebbe stata insanabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c., “posto che l’interessato non è stato comunque messo in grado di conoscere la data di discussione del ricorso, di depositare memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. e di partecipare all’udienza del 23 settembre 2014”, donde la violazione dell’art. 101 c.p.c. e art. 24 Cost..

1.1. Il motivo è palesemente inammissibile.

Preliminarmente il Collegio rileva che intende dare continuità all’indirizzo che, in base allo stato della giurisprudenza della Corte, sulla questione delle problematiche relative all’avviso di fissazione dell’udienza pubblica (ma il discorso può valere anche per le adunanza non partecipate ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 380-bis c.p.c., comma 1, posto che comunque in relazione ad esse il difensore può depositare memoria), vede tuttora esistente un arresto delle Sezioni Unite, quello di cui a Cass. sez. un. n. 24170 del 2004, sul quale le stesse Sezioni Unite non risultano più essere ritornate per superarlo.

L’arresto risulta massimato nel sistema Italgiureweb nel senso che: “La revocazione della sentenza (o dell’ordinanza) di cassazione è consentita per vizi del procedimento di cui non si sia tenuto conto per un errore percettivo riguardante anche l’esame degli atti dello stesso processo di cassazione: è pertanto deducibile come causa di errore revocatorio la circostanza che la sentenza (o l’ordinanza) impugnata si fondi su un fatto – l’avvenuta regolare comunicazione della fissazione dell’udienza a tutte le parti costituite – incontestabilmente mai avvenuto”.

Il principio di diritto parrebbe suggerire che le Sezioni Unite abbiano fatto l’affermazione della deducibilità come errore revocatorio tanto della omissione dell’avviso, quanto quella dell’invio di un avviso affetto da nullità. Tale seconda eventualità parrebbe suggerita dal riferimento alla “avvenuta regolare comunicazione dell’udienza”.

Senonchè, la lettura della motivazione evidenzia che le Sezioni Unite hanno inteso affermare il principio di diritto soltanto con riferimento all’ipotesi della omissione dell’avviso della comunicazione della fissazione dell’udienza (o dell’adunanza).

Lo si evince chiaramente dalla motivazione che qui si riporta: “Accertata, quindi, l’ammissibilità del gravame, si può prendere in considerazione il motivo dedotto, consistente nella denunciata violazione dell’art. 377 c.p.c., comma 2, non essendo stata data al difensore domiciliatario del Comune comunicazione dell’udienza camerale per cui secondo la prospettazione del ricorrente – l’errore revocatorio consisterebbe nel rilievo che l’ordinanza impugnata si fonda su un fatto (l’avvenuta regolare comunicazione della fissazione dell’udienza a tutte le parti costituite) incontestabilmente mai avvenuto.

In effetti, la disamina degli atti conferma la denunciata omissione e la nullità processuale che ne è derivataci tratta di accertare se essa possa qualificarsi come un errore di fatto idoneo a determinare la revocazione dell’ordinanza impugnata. Al quesito ritiene il Collegio debba darsi risposta positiva, argomentando dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto. Il riferimento più significativo è a due sentenze (le n. 3761/95 e 10934/98) riguardanti proprio il tema della notifica dell’avviso dell’udienza del giudizio di Cassazione, le quali confermano anzitutto il principio che la revocazione della sentenza (o ordinanza) di Cassazione è consentita per vizi del procedimento di cui non si sia tenuto conto per un errore percettivo riguardante anche l’esame degli atti dello stesso processo di cassazione (atti “interni” direttamente esaminabili dalla Corte con propria autonoma indagine di fatto – S.U. n. 3519/92) ed è esclusa – con specifico riferimento all’oggetto – quando si faccia questione di interpretazione circa l’avvenuta rituale notifica dell’avviso di udienza: il che significa, per implicito, ma univocamente, la deducibilità – come causata da errore revocatorio – della omessa notifica dell’avviso, verificatasi nel caso di specie. Il ricorso per revocazione risulta quindi ammissibile e fondato (….)”.

1.2. Il Collegio è consapevole (come, del resto, ebbe a rilevare l’ordinanza della Sesta sezione Tributaria) che successivamente vi sono state decisioni che, peraltro ignorando l’arresto delle Sezioni Unite, hanno affermato il seguente principio di diritto: “La mancata notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione ai sensi dell’art. 377 c.p.c., costituisce “error in procedendo” che non rientra nelle ipotesi di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 391 bis c.p.c., non potendosi considerare come errore su un fatto processuale su cui è fondata la decisione, stante la mancanza del requisito della decisività dell’errore, non esistendo un nesso causale diretto fra l’omessa notificazione dell’avviso dell’udienza di discussione ed il contenuto della sentenza adottata dalla Suprema Corte” (Cass. (ord.) n. 16361 del 2006; n. 17077 del 2009; (ord.) 16615 del 2010; (ord.) n. 7625 del 2012; (ord.) n. 23832 del 2015, che, per la verità, considera isolato precedente l’arresto delle Sezioni Unite).

Tuttavia, l’assunto è frutto di una erronea applicazione della nozione di decisività, in quanto la intende come relativa al tenore della decisione della Corte di Cassazione e non anche alle modalità con cui la decisione è stata resa e, quindi, all’essere stata resa la decisione dando atto, sebbene implicitamente (posto che il provvedimento non contiene affermazione espressa del fatto dell’esistenza), ma in modo certo (dato che il controllo della ritualità della fissazione dell’udienza è imposto dal rispetto del contraddittorio e, dunque, deve essere compiuto d’ufficio, sicchè è pienamente ragionevole che la sentenza o l’ordinanza pronunciate in mancanza dell’avviso siano state pronunciate per una erronea percezione della realtà fattuale, piuttosto che per una dimenticanza e, dunque, per un vizio di omesso esercizio del controllo d’ufficio) che l’avviso di udienza (o di adunanza) era esistente.

Invero, poichè la sentenza pronunciata in mancanza di avviso di udienza o adunanza è certamente dipendente, stante la sequenzialità del procedimento, anche dall’essere stata impedita l’attività difensionale, tramite l’audizione in pubblica udienza e il deposito della memoria o, per quanto attiene all’adunanza, tramite questa seconda forma, non è dato comprendere come possa negarsi la decisività della supposizione dell’esistenza dell’avviso. Ed infatti, si pone in rilievo che la decisività mancherebbe rispetto al contenuto della sentenza, ma, in disparte che potrebbe darsi il caso che l’attività difensionale orale o scritta avrebbe potuto incidere sul contenuto, assume rilievo assorbente che inerisce se si vuole al “contenuto” della sentenza anche il dato che essa sia stata per l’errore fattuale circa la mancanza dell’avviso in una situazione di esistenza di tale avviso. Invero, nel contenuto delle decisioni della Corte di Cassazione vi è sempre, se vi sono state parti costituite, l’affermazione del pronunciare in presenza di esistenza dell’avviso dell’udienza o dell’adunanza.

D’altro canto, lo scopo della revocazione è quello di portare ad una nuova decisione e non ad una nuova decisione diversa, questo appartenendo al profilo dei possibili esiti della fase rescissoria, estranei propriamente alla logica del mezzo revocatorio e funzionali appunto ad una ripetizione della decisione.

Deva, dunque, ribadirsi l’insegnamento della sentenza del 2004.

1.3. Tanto premesso, si deve, nella specie rilevare che parte ricorrente denuncia con il motivo in esame non già l’omissione dell’avviso di fissazione dell’udienza, ma la sua asserita nullità.

Per ciò solo consegue che il motivo in esame non è ammissibile, non senza comunque che si debba rilevare che l’avviso di udienza non risultava affetto da alcuna nullità, atteso che la pretesa incertezza delle date risulta inesistente, posto che la data del 17 giugno 2014 fu quella del decreto di fissazione di udienza e la data del 7 luglio 2014 quella della richiesta di notificazione dell’avviso, onde si è dedotto pretestuosamente che vi sarebbe un contrasto di date riferendolo a uno stesso dato, mentre, come emerge dal fascicolo d’ufficio del ricorso deciso dalla sentenza impugnata, le due date riguardarono atti diversi.

2.Con secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 377 c.p.c., comma 2, artt. 141 e 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa rituale notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione al procuratore domiciliatario del sig. C.G., avv. Giovanni Smargiassi nell’effettivo domicilio dello stresso”.

Vi si sostiene la tesi che, di fronte all’esito della prima tentata notificazione, la Cancelleria della Sezione avrebbe dovuto ricercare il nuovo domicilio del detto domiciliatario.

2.1. Il motivo è palesemente inammissibile come motivo di revocazione, per la ragione indicata, cioè che denuncia una pretesa nullità in cui sarebbe incorsa la Cancelleria e non la mancanza dell’avviso.

Il motivo è anche basato sulla postulazione di un comportamento della Cancelleria che non sarebbe stato affatto dovuto in vece di quello tenuto. Ciò, giusta il consolidato orientamento della Corte che, nel caso di trasferimento del domicilio senza comunicazione alla Cancelleria abilita la stessa a procedere alla notificazione presso di sè ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2 (nella specie, naturalmente, si allude a quello applicabile ratione temporis, che non faceva riferimento alla notificazione a mezzo PEC): si vedano Cass., Sez. Un. n. 92 del 1999 ed ora Cass., Sez. Un. n. 24739 del 2016.

3. Il ricorso, stante la manifesta inammissibilità dei due motivi di revocazione dev’essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

5. Il Collegio ritiene che la segnalata manifesta inammissibilità dei due motivi revocatori, congiunta con l’essere stati il primo basato su una situazione fattuale inesistente, il secondo sull’omessa considerazione di giurisprudenza consolidata, giustifichi l’applicazione dell’art. 385 c.p.c., comma 4, vigente al momento della proposizione del ricorso e rimasto applicabile (si veda già Cass. n. 5559 del 2014, secondo cui: “L’abrogazione dell’art. 385 c.p.c., comma 4, disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 20, è efficace, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa Legge soltanto per i ricorsi per cassazione proposti dopo l’entrata in vigore di detta legge contro provvedimenti pronunciati nell’ambito di giudizi introdotti in primo grado dopo di essa. La norma abrogata ha, invece, continuato a disciplinare i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati a far tempo dal 2 marzo 2006 (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) ed anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, in giudizi instaurati in primo grado anteriormente a quest’ultima”.”): nella specie, infatti, ricorre l’estremo di una colpa grave nella proposizione del ricorso, sia sotto il profilo della mancata conoscenza della giurisprudenza della Corte, sia, in relazione al primo motivo, anche per avere prospettato una situazione fattuale inesistente. Inoltre, il notorio aggravio del numero di ricorsi pendenti dinanzi alla Sezione tributaria della Corte aggiunge gravità alla palese illegittimità dell’uso del mezzo revocatorio.

La somma di cui alla norma citata può, per le ragioni indicate, che coerenziano la valutazione equitativa, determinarsi in misura uguale all’importo delle spese giudiziali liquidate.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 13.338,00 oltre spese prenotate a debito. Visto l’art. 385 c.p.c., comma 4, condanna la parte ricorrente al pagamento alla parte resistente dell’ulteriore somma di Euro 13.338,00. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2018

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