Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6016 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. I, 04/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 04/03/2021), n.6016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12047/2019 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.

Ester Nemola, del foro di Lecce che lo rappresenta e difende (pec:

nemola.ester.ordavvle.legalmail.it);

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 895/2019 del Tribunale di Lecce;

udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale del

17/2/2021 dal Consigliere relatore Dott. Giovanni Ariolli.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. A.B., cittadina della (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il Decreto n. 895 del 2019, del Tribunale di Lecce con cui è stato rigettato il ricorso avverso la decisione con la quale la locale commissione territoriale aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale (status di rifugiato e sussidiaria) ed umanitaria.

2. Svolgendo cinque motivi chiede l’annullamento del decreto impugnato.

2.1. Con il primo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per difetto di motivazione in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità del decreto ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente in ordine alla credibilità della ricorrente, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Si sostiene che il Tribunale non ha spiegato le ragioni per cui la richiedente non poteva considerarsi perseguitata per appartenenza ad un gruppo sociale “giacchè è evidente e provata la persecuzione da parte della Madame nigeriana per incitamento alla prostituzione, sotto la minaccia di restituzione del debito contratto dalla donna nigeriana per l’acquisto della ricorrente che, ribellandosi alla violenza subita dalla donna ed alla vita di prostituzione impostale, è riuscita a scappare dalla Libia per rifugiarsi in Italia”.

2.3. Con il terzo motivo, invece, si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1 e art. 8, nonchè la violazione dell’art. 3, comma 3, lett. a), c), d) e comma 5, art. 6, comma 2, art. 7, lett. a), b) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e 5, perchè il provvedimento impugnato, nell’interpretare ed applicare dette norme, non ha considerato la condizione sociale della richiedente e la sua posizione di debolezza per il coinvolgimento nella tratta della prostituzione.

2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1, nonchè la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ed il difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. La censura attiene al mancato riconoscimento della “protezione sussidiaria” e contesta anche la mancata indicazione da parte del decreto impugnato delle fonti informative in forza delle quali si è escluso che nella zona di provenienza della richiedente sussista una situazione di conflitto e rischio generalizzato così da comportare, per la sola presenza nell’area in questione, il concreto rischio alla vita o di un danno grave alla persona e, dunque, il diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si era omesso di valutare, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, delle condizioni di vita esistenti nel Sud della Nigeria e dei relativi presupposti per il riconoscimento di tale speciale forma di protezione.

3. Il Ministero dell’Interno, non essendosi costituito nei termini di legge, ha depositato nota al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

4. Tanto premesso, ritiene il Collegio che il ricorso sia inammissibile.

4.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Il decreto del Tribunale, infatti, lungi dal mancare della motivazione per come lamentato dalla ricorrente, risulta avere specificamente indicato le rationes in forza delle quali è stato escluso il riconoscimento della principale forma di protezione internazionale, facendosi al riguardo riferimento, sulla scorta della narrazione dei fatti ad opera della richiedente (anche laddove ritenuti veritieri), all’assenza dei presupposti legittimanti per l’integrazione dello status di rifugiato per come definiti dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e).

4.2-4.3. Il secondo ed il terzo motivo – i quali muovono dal medesimo presupposto di fatto ravvisabile nelle ragioni che hanno determinato l’espatrio dal Paese di origine e l’arrivo in Italia – possono trattarsi congiuntamente e sono manifestamente infondati.

Nel provvedimento impugnato si è al riguardo evidenziato come, dallo stesso racconto della ricorrente non emergano motivi oggettivi – al di là delle ragioni di carattere eminentemente personali e familiari – che l’abbiano spinta a lasciare la Nigeria. La vicenda relativa alla costrizione alla prostituzione sarebbe poi avvenuta in Libia, Stato presso cui Ella si era volontariamente recata, senza che tuttavia emergano motivi affinchè la medesima debba tornarci. Del tutto generico e privo della necessaria attualità è il pericolo che la stessa potrebbe correre in Italia, atteso che le paventate minacce nel nostro Paese sono state solo genericamente prospettate e risultano, allo stato, prive di elementi circostanziali, a nulla valendo a tali fini la mera presentazione di una denuncia ove mancano elementi di necessario supporto, nè la generica allegazione della concessione di un permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 18, ad altre due connazionali, del quale si sono prodotte le fotocopie, ma non gli atti presupposti necessariamente dimostrativi delle concrete ragioni del rilascio.

Inoltre, si è altresì evidenziato come i fatti narrati, anche per la parte che riguarda il Paese di provenienza, non integrino il pericolo di un danno grave come definito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b), tenuto conto della scarsa attendibilità del racconto, intriso di contraddizioni e di elementi vaghi e generici in relazione alle ragioni che hanno determinato la diatriba tra il padre, dedito alla magia nera, ed il capo villaggio. A fronte di tali specifiche argomentazioni le censure della ricorrente, sotto il profilo espresso della violazione di legge, risultano del tutto generiche, essendosi questi limitata a “contestarne” il contenuto, senza al contempo indicare su quali parti del racconto l’interessato avrebbe fornito indicazioni specifiche e di carattere decisivo, che il giudice di merito avrebbe omesso doverosamente di apprezzare.

4.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato in relazione ad entrambi gli aspetti denunziati.

Quanto alla protezione sussidiaria, peraltro genericamente invocata anche con riguardo ai presupposti di legge, il motivo muove dal presupposto di fatto motivatamente escluso dal decreto impugnato – che la “persecuzione” nei confronti della ricorrente abbia tratto origine nel Paese di provenienza, quando invece è stata ricondotta dal giudice del merito in altro Stato (la Libia).

Inoltre, il Tribunale ha ulteriormente verificato che, nel Paese di provenienza della richiedente e, in particolare, nella regione ove ella viveva, vi fosse una situazione tale da riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, escludendola sulla base del richiamo a qualificate ed aggiornate fonti informative (vedi pagg. 5 e 6). Di guisa che, al riguardo, il motivo non fa che sollecitare una diversa valutazione del fatto già esaminato dal giudice di merito e che si sottrae al sindacato di questa Corte.

4.2. Anche l’ultimo motivo in tema di protezione umanitaria è inammissibile poichè generico. Non sono, infatti, stati allegati nel corso del giudizio di merito, nè dedotti con il presente motivo di ricorso per cassazione, profili di vulnerabilità soggettiva della ricorrente, essendosi fatto riferimento ad una generica compromissione della zona di provenienza, peraltro motivatamente esclusa dal provvedimento impugnato. Nè al riguardo può assumere alcun rilievo l’affermata impossibilità di ricevere tutela nel Paese di origine dalle asserite minacce alle quali la richiedente sarebbe ancora sottoposta dalla “Madame”, in quanto si tratta di una censura generica, priva delle necessarie allegazioni con riguardo all’invocata protezione presso le locali Autorità nigeriane e che contrasta, peraltro, con la dichiarazione della stessa ricorrente “di non avere problemi in caso di rientro in Nigeria, ma di non voler vedere il padre” (cfr. pag. 2 del decreto impugnato). A ciò si aggiunga che il decreto impugnato ha, in ogni caso, correttamente escluso la protezione umanitaria in ragione dell’assenza di prova del radicamento della richiedente in Italia, stante la mancanza di pregnanti elementi che attestino un inserimento sociale, non ricavabili da una certificazione A2 di lingua italiana e dallo svolgimento di un tirocinio formativo temporalmente limitato. In sostanza, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretende, ora, una nuova rivalutazione degli elementi di fatto che il primo giudice ha posto a fondamento del diniego della protezione richiesta, proponendo, quindi, censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., ord. n. 4560/2021).

5. In conclusione va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese stante la mancata costituzione del Ministero intimato.

6. Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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