Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6015 del 09/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 09/03/2017, (ud. 09/11/2016, dep.09/03/2017),  n. 6015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2961-2015 proposto da:

L.A., B.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI,

rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO GUARALDI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

GUBER SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1611/2014 della CORTE DI APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato BRUNO GUARALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.A. e L.A., debitori esecutati in un procedimento di espropriazione immobiliare promosso nei loro confronti della società Guber S.p.A. innanzi il Tribunale di Ferrara, eccepivano l’estinzione della procedura per inattività del creditore procedente, segnatamente per aver quest’ultimo, dopo il tempestivo deposito di istanza di prosecuzione dell’esecuzione sospesa ex art. 624-bis cod. proc. civ., omesso di notificare o comunicare alle altre parti il decreto di fissazione dell’udienza per la ripresa del processo.

L’adito G.E., con ordinanza, disattendeva l’eccezione di estinzione, disponendo la fissazione di nuova udienza per provvedimenti sull’istanza di vendita dei beni pignorati.

A seguito di reclamo interposto dagli esecutati ai sensi dell’art. 630 c.p.c., comma 3, il diniego dell’estinzione veniva confermato con sentenza del Tribunale di Ferrara, e poi ribadito, a seguito di appello di questa pronuncia, dalla Corte di Appello di Bologna con la sentenza n.1611/2014 del 2 luglio 2014.

Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione, affidandosi a cinque motivi, B.A. e L.A..

Alcuna attività difensiva ha svolto l’intimata Guber S.p.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va affermata l’ammissibilità del ricorso introduttivo, non ravvisandosi inosservanza del disposto n. 13395; Cass. 22/09/2009, n. 20393; Cass., Sez. U., 17/07/2009, n. 16628; più recentemente, e con riferimento a fattispecie in tema di esecuzione forzata, Cass. 12/02/2015, n. 2747; Cass. 10/02/2015, n. 2485; Cass. 4/12/2014, n. 25713; Cass. 19/11/2014, n. 24632; Cass. 12/11/2014, n. 24039; Cass., 21/08/2014, n. 18105).

Nel libello introduttivo in esame, tuttavia, al pur riscontrabile assemblaggio, in sequenza cronologica, dei principali atti di causa in parte riprodotti in copia fotostatica ed inseriti nel corpo del ricorso, in parte trascritti integralmente nel loro contenuto – intervallati da brevi passaggi descrittivi, si accompagna una compiuta ed articolata esposizione, nell’ambito dei motivi di ricorso, degli aspetti controversi della vicenda e dei punti rilevanti sottoposti a censura, tali da consentire la Corte la individuazione dei fatti sui quali delibare, senza necessità di compiere alcuna (indebita) attività di selezione degli stessi.

2. Con i primi quattro motivi, i ricorrenti denunciano:

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 630, 624-bis, 289 e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale ritenuto la riassunzione dell’esecuzione sospesa ex art. 624-bis cod. proc. civ. presidiata da un unico termine perentorio, riferito al deposito dell’istanza di prosecuzione, e non considerata come avente effetto estintivo l’inerzia del creditore nel compiere la comunicazione alle altre parti del provvedimento di ripresa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 circa la corrette modalità di esposizione sommaria dei fatti di causa.

Non ignora questa Corte il consolidato orientamento – cui anzi intende dare continuità in forza del quale “la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, assolutamente superflua, non essendo affatto richiesto che il ricorrente dia meticolosamente conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata; ed è, per altro verso, inidonea a soddisfare il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, in quanto con tale modalità espositiva si affida in sostanza alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non serve affatto che il giudice di legittimità sia informato), la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso. Il sintetico riscontro dello svolgimento del processo e la selezione di ciò che serve ai fini della decisione, in stretta connessione con i motivi di ricorso, vanno insomma fatti dal difensore del ricorrente che, per essere iscritto all’albo speciale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 33 (convertito dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, come successivamente modificata), ha l’esperienza e la competenza necessarie a un non delegabile compito di sintesi, non sempre del tutto agevole e, tuttavia, assolutamente ineludibile” (così, testualmente, Cass., Sez. U., 11/04/2012, n. 5698; nello stesso senso, ex plurimis, si vedano Cass. 22/01/2014, n. 1220; Cass. 22/11/2013, n. 26277; Cass. 9/07/2013, n. 17002; Cass. 7/12/2012, n. 22039; Cass. 9/06/2010, procedimento, pur in mancanza di un espresso termine all’uopo in siffatto provvedimento manchi, dovendo in tal caso la parte istante in riassunzione richiedere la integrazione ai sensi dell’art. 289 cod. proc. civ. (primo motivo);

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 152 e 154 cod. proc. civ. nonchè dell’art. 6 CEDU e degli artt. 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto l’inattività del creditore inficiante solo la celebrazione dell’udienza di autorizzazione alla vendita e non già fattispecie estintiva del procedimento, come invece reso doveroso anche dalle citate disposizioni di grado primario e sovranazionale (secondo motivo);

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 152 c.p.c. e art. 153 c.p.c., comma 2 e art. 154 cod. proc. civ. nonchè dell’art. 6 CEDU e degli artt. 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere considerato irrilevante la implicita proroga accordata (peraltro ex officio, in assenza di richiesta di parte) al creditore istante in riassunzione per la notifica del provvedimento di ripresa (terzo motivo);

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 624-bis e 630 cod. proc. civ. nonchè dell’art. 6 CEDU e degli artt. 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la Corte territoriale omesso la pronuncia sulla questione, sollevata con l’appello, della non estensibilità alle procedure esecutive dell’orientamento formatosi in relazione al giudizio di cognizione che reputa sufficiente, ai fini della tempestività della riassunzione delle lite interrotta, il deposito del ricorso (quarto motivo).

3. Le doglianze, suscettibili di congiunta disamina dacchè tutte afferenti le corrette modalità di riassunzione del procedimento esecutivo sospeso ex art. 624-bis cod. proc. civ., sono destituite di fondamento, pur occorrendo integrare e precisare le argomentazioni illustrate nella impugnata sentenza.

In tema di sospensione dell’esecuzione su accordo delle parti, l’art. 624-bis c.p.c., comma 2, (che recita: “entro dieci giorni dalla scadenza del termine la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo deve proseguire”) non detta una compiuta ed esaustiva disciplina della riattivazione del processo.

La norma si limita infatti a sancire la necessità di una sollecitazione di parte per la riassunzione (così per implicito escludendo che essa avvenga su iniziativa officiosa) e a fissare un breve lasso temporale (dieci giorni) per il compimento dell’attività all’uopo orientata: termine decorrente dalla cessazione del periodo di concordata quiescenza (in tal senso deponendo la individuazione del dies con la locuzione “dalla scadenza”, significativamente differente dal tenore letterale dell’art. 296 cod. proc. civ. relativo all’ipotesi di sospensione concordata del giudizio di cognizione) cui, pur in difetto di espressa qualificazione positiva, va ascritto carattere perentorio, in ragione non soltanto della testuale doverosità dell’istanza (che la parte interessata “deve presentare”) ma, soprattutto, della funzione che esso assolve, in quanto diretto a circoscrivere l’assoggettamento dei beni dell’esecutato al vincolo del pignoramento e la possibilità dell’azione esecutiva stessa, in coerenza con la articolazione del processo esecutivo attraverso atti di impulso delle parti e scansioni temporali accelleratorie sottoposte (ex art. 630 c.p.c., comma 2) a verifica officiosa.

Manca dunque, nella descritta disposizione, la regolamentazione della forma dell’atto riassuntivo (non potendo rinvenirsi nella generica previsione di una “istanza” alcun riferimento ad una determinata tipologia di atto) e delle modalità di successiva prosecuzione della procedura, in via mediata imponendosi soltanto, con la necessaria fissazione di una udienza, l’obbligatorietà dell’audizione delle parti sulla richiesta di riattivazione.

A questa lacunosità non può supplirsi, ad avviso della Corte, con il richiamo, ai fini di un’applicazione in via analogica, delle (senza dubbio più dettagliate) regole prescritte dall’art. 297 cod. proc. civ. per la (solo in apparenza omologa) fattispecie della riassunzione del giudizio di cognizione sospeso per volontà delle parti.

Vi osta, in maniera decisiva, il differente atteggiarsi del principio del contraddittorio nel processo esecutivo rispetto all’ordinario giudizio di cognizione: tendendo l’esecuzione non all’accertamento di un diritto controverso ma alla concreta soddisfazione o attuazione di un diritto già riconosciuto nel titolo esecutivo, l’interlocuzione delle parti sul modo di dispiegarsi del procedimento nelle sue varie fasi non risponde (come nei giudizi di cognizione) alla (ineludibile) esigenza di garantire la contrapposizione dialettica tra parti in posizione di sostanziale eguaglianza, bensì al più limitato scopo (ed in tale

prospettiva, pare acconcia la diffusa espressione di contraddittorio qualitativamente attenuato) di consentire al giudice dell’esecuzione il miglior esercizio della potestà ordinatoria lui deferita (sul modo di operare del principio del contraddittorio nell’ambito del processo esecutivo, cfr., tra le più significative, Cass. 25/08/2006, n. 18513; Cass. 26/01/2005, n. 1618; Cass. 24/07/1993, n. 8293; Cass. 29/03/1999, n. 2961).

La testè individuata funzione del contraddittorio spiega e giustifica: per un verso, la semplificazione delle forme di realizzazione di esso nell’ambito del processo esecutivo scolpita nelle disposizioni del libro terzo, titolo secondo, capo primo, sezione seconda, del codice di rito, disposizioni cui – come si evince dalla collocazione sistematica e dalla intestazione delle rubriche del capo e della sezione (rispettivamente “dell’espropriazione forzata in generale”; “dei modi e delle forme dell’espropriazione forzata in generale”) -, va attribuita portata generale, cioè a dire con valenza di modello prototipico di svolgimento del procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione, in assenza di diversa specifica disciplina; per altro verso, le ricadute non sempre inficianti sulla proseguibilità della procedura e sulla validità degli atti di essa derivanti dalla inosservanza delle regole sul contraddittorio, siccome correlate alla reazione del soggetto interessato (con lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi) e alla sussistenza (integrante interesse ad agire in opposizione) di un pregiudizio sostanziale, in termini di compressioni o limitazioni delle facoltà difensive, conseguente alla mancata preventiva audizione delle parti (cfr. ancora le pronunce sopra citate).

Dalle esposte premesse deriva che la vicenda della riassunzione dell’esecuzione sospesa su accordo delle parti si dipana, per quanto non disciplinato dall’art. 624-bis cod. proc. civ., secondo le modalità di procedurali stabilite dal richiamato ordito normativo: versando la procedura in stato di quiescenza, l’istanza di riattivazione della parte interessata assume la forma del ricorso (art. 486 cod. proc. civ.) diretto al giudice dell’esecuzione il quale, richiedendolo la legge, fissa la udienza per la comparizione delle parti con decreto, da comunicarsi a cura ed onere del cancelliere (art. 485 c.p.c., commi 1 e 2).

Risulta altresì palese come nella descritta sequenza procedimentale l’unico onere imposto alla parte interessata sia costituito dal deposito di tempestiva e rituale domanda di ripresa della procedura, per essere il successivo sviluppo di quest’ultima assicurato da adempimenti gravanti sull’ufficio esecutivo lato sensu inteso: soltanto dunque l’omessa formulazione dell’istanza di riassunzione nel termine perentorio concreta inattività della parte cagionante ex art. 630 cod. proc. civ.l’estinzione del procedimento.

Ad una diversa conclusione non può poi addivenirsi qualora per accidens l’andamento della procedura seguente la istanza di riassunzione non si conformi al paradigma normativo, come accaduto nella specie per effetto del provvedimento del G.E. cha ha onerato la parte richiedente della instaurazione del contraddittorio (peraltro, con un dictum di tenore equivoco, imponendo al creditore un’attività tipica e propria del cancelliere – la comunicazione del decreto – e senza fissazione di un termine): e ciò per la dirimente considerazione che, in mancanza di un’esplicita attribuzione positiva, al giudice dell’esecuzione non spetta il potere di stabilire per il compimento di attività a carico delle parti termini a pena di decadenza.

Corretta, alla luce di quanto sopra, è pertanto la statuizione del G.E., fatta oggetto dapprima di reclamo al Collegio e poi di impugnazione con appello: riscontrata la tempestività del ricorso in riassunzione (dato incontroverso) e la mancata convocazione delle parti, ha disatteso l’eccezione di estinzione dell’esecuzione sollevata dai debitori, revocato il provvedimento (ordinanza di vendita) emesso in violazione del contraddittorio e ripristinato quest’ultimo nei modi prescritti, ovvero con la fissazione di nuova udienza di audizione delle parti e la comunicazione ad esse a mezzo Cancelleria.

Del pari resiste alle censure in questa sede sollevate dai ricorrenti la sentenza della Corte di Appello felsinea che il diniego dell’estinzione ha confermato, escludendo che un effetto del genere potesse collegarsi alla inottemperanza del creditore all’ordine giudiziale di comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza, pur con un iter argomentativo in parte divergente da quello illustrato ed incongruo nella parte in cui ha reputato applicabile al caso il disposto dell’art. 289 cod. proc. civ..

Specificamente, circa i motivi di ricorso sopra riportati, basti ulteriormente ribadire come nella riassunzione del processo sospeso ex art. 624-bis cod. proc. civ.l’inerzia della parte rilevante a fini estintivi sia riferibile unicamente al deposito dell’istanza nel termine prescritto, mentre non si attagli alla fattispecie l’evocazione della norma dell’art. 289 cod. proc. civ. in tema di integrazione di ordinanze istruttorie, dovendosi correttamente imputare la provocazione del contraddittorio ad attività dell’ufficio esecutivo, e non già della parte; inconferente risulta infine il richiamo degli impugnanti alle disposizioni in tema di termini processuali e di proroga degli stessi nonchè la diffusa argomentazione (condivisibile in linea di principio, ma con ben differenti risultati ermeneutici in punto di disciplina) sulla insussistenza di analogia con il processo di cognizione.

In In definitiva, i primi quattro motivi di ricorso vanno disattesi in forza del seguente principio di diritto: “In ipotesi di sospensione dell’esecuzione su accordo delle parti ai sensi dell’art. 624-bis cod. proc. civ., la parte interessata alla riassunzione del processo è tenuta unicamente al deposito, nel termine perentorio di dieci giorni dalla cessazione del periodo di sospensione, di istanza di riassunzione diretta al giudice dell’esecuzione, il quale fissa sulla stessa udienza per l’audizione delle parti con decreto da comunicarsi a cura della Cancelleria”.

4. Rimane assorbita la disamina del quinto motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. Giustizia n. 5 del 2014, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la sentenza impugnata considerato, nella liquidazione delle spese processuali, anche i compensi professionali per la fase decisione, invece assente nel giudizio svolto.

5. Vanno dichiarate non ripetibili le spese di lite sostenute dai ricorrenti, non avendo parte intimata svolto attività difensiva in questo giudizio.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara non ripetibili le spese di lite sostenute da parte ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del Magistrato assistente di studio, dott. R.R..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017

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