Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6015 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. I, 04/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 04/03/2021), n.6015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7733/2019 proposto da:

H.T., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Andrea Castiglione, del foro di Udine che lo rappresenta e difende

(pec: andrea.castiglione.avvocatiudine.it);

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 96/2019 del Tribunale di Trieste;

udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale del

17/2/2021 dal consigliere relatore Dott. Giovanni Ariolli.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. H.T., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il decreto n. 96/2019 del Tribunale di Trieste con cui è stato rigettato il ricorso avverso la decisione con la quale la Commissione territoriale di Gorizia – Udine aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria.

2. Svolgendo due motivi chiede l’annullamento del decreto impugnato.

2.1. Con il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), e omessa motivazione in ordine all’esistenza di un danno grave secondo il parametro del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B e C, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. da 2 a 6 nonchè art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e degli artt. 2 e 3 della Cedu.

2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle norme che regolano il diritto alla protezione umanitaria, omessa motivazione, violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

3. Il Ministero dell’Interno non si è costituito, depositando nota al fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. Il primo motivo, in tema di protezione sussidiaria, è manifestamente infondato. Orbene, tale deduzione, che muove dall’esistenza di un conflitto di carattere privato (timore di essere processato in Oman per una denunzia che gli era stata mossa dai suoi datori di lavoro nel periodo in cui aveva lavorato in quel Paese che lo avrebbero ingiustamente accusato di avere sottratto del denaro), al di là degli aspetti attinenti alla mancata credibilità del racconto, è comunque estranea al paradigma della protezione internazionale. Questa, infatti, non è accordabile quale rimedio al pericolo di offese provenienti da un privato e non dallo Stato o da un’organizzazione collettiva che ne surroghi il potere, a danno di un soggetto la cui unica vulnerabilità consisterebbe nella carenza di appoggi familiari e/o amicali, atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, evenienza, quest’ultima, motivatamente esclusa dal provvedimento impugnato, anche in ragione della obiettiva genericità sul punto del narrato (ex multis, Cass., sent. n. 23796/2020; ord. n. 23281/2020). Ne residua, a livello di allegazione, una domanda di giustizia asseritamente inevasa, la quale non è essa stessa una persecuzione o un danno grave, ma – come palesato dalla piana esegesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c) – è il presupposto della protezione internazionale, che spetta solo se ed in quanto lo Stato di provenienza non possa o non voglia fornire tutela, ai sensi dell’art. 6, comma 2, stesso D.Lgs., contro una persecuzione o un danno grave. Ne deriva che va esclusa la protezione internazionale individualizzata.

Inoltre, il Tribunale ha ben scrutinato la credibilità del racconto del richiedente, escludendola sulla scorta delle evidenti contraddizioni e lacune in ordine agli aspetti essenziali del narrato, soprattutto con riferimento al benchè minimo supporto documentale relativo all’esistenza del procedimento penale in Oman scaturente dalla denunzia del suo ex datore di lavoro, nell’ambito peraltro, di una paventata minaccia di cui egli in Patria sarebbe stato destinatario “da emissari del datore di lavoro” che, invece, è stata inizialmente esclusa e che comunque non ha riguardato la propria famiglia ivi residente. In punto di valutazione della credibilità del ricorrente questa Corte ha chiarito come: “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass., n. 16925/2018; e v. Cass., n. 3340/2019, Cass. n. 24506/2020 fra le molte). Se a ciò si aggiunge che, per quanto affermato dallo stesso richiedente, egli, prima di giungere in Italia, è transitato per diversi Stati dell’U.E. (Grecia, Ungheria, Austria) dove avrebbe potuto proporre la propria domanda di protezione e volontariamente non lo ha fatto, se ne ricava un ulteriore elemento che consente di escludere che sia stato soddisfatto l’onere di collaborazione istruttoria richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Inammissibile, pertanto, si rivela anche la doglianza attinente alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

Infine, il Tribunale ha ulteriormente verificato che, nel paese di provenienza, il Pakistan e, in particolare, nella regione ove viveva il richiedente, vi fosse una situazione tale da riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, escludendola sulla base del richiamo del rapporto Easo 2017 (in termini, vedi Cass., n. 2411/2020). Di guisa che, al riguardo, il motivo non fa che sollecitare una diversa valutazione del fatto già esaminato dal giudice di merito e che si sottrae al sindacato di questa Corte.

4.2. Anche il secondo e ultimo motivo in tema di protezione umanitaria è inammissibile poichè del tutto generico. Non sono, infatti, stati allegati nel corso del giudizio di merito, nè dedotti con il presente motivo di ricorso per cassazione, profili di vulnerabilità soggettiva del ricorrente, essendosi il ricorrente limitato a fare riferimento ad una generica compromissione della zona di provenienza, peraltro motivatamente esclusa dal provvedimento impugnato. Nè si è allegato alcunchè in ordine allo stato di integrazione raggiunto in Italia. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è necessario, infatti, operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (S.U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062).

5. In conclusione va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese stante la mancata costituzione del Ministero intimato.

6. Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

 

 

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