Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6015 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 04/03/2020), n.6015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filipp – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3542/2012 R.G. proposto da:

HITACHI DATA SYSTEM ITALIA SRL (C.F. 13321390158), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv.

BRUNO GIUFFRE’ e dall’Avv. ANTONIO TOMASSINI, elettivamente

domiciliato in Roma, Via dei Due Macelli, 66;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 96/32/11 depositata in data 10 giugno 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2019

dal Consigliere Filippo D’Aquino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale IMMACOLATA ZENO, che ha concluso per l’inammissibilità e

in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. ANDREA DI DIO per parte ricorrente, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso e l’Avv. FRANCESCO MELONCELLI

dell’Avvocatura Generale dello Stato per il controricorrente, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La contribuente ha impugnato due avvisi di accertamento per IRES, IRAP e IVA, oltre interessi e sanzioni, relativi all’anno di imposta 2004, con i quali, sulla base di rilievi mossi all’esito di una verifica fiscale e dell’emissione di un PVC, erano state sollevate otto diverse contestazioni, attinenti alla indeducibilità di costi, anche infragruppo, di spese per più esercizi, nonchè di quote di ammortamento, anche ai fini IVA.

La CTP di Milano, previa riunione dei ricorsi, ha parzialmente accolto le domande della società contribuente. La CTR della Lombardia, con sentenza in data 10 giugno 2011, ha rigettato l’appello incidentale della contribuente e ha parzialmente accolto l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello, in relazione all’appello dell’Ufficio, che:

– quanto alla deducibilità delle somme oggetto di fatturazione per servizi prestati alle società infragruppo, i costi non risultano sufficientemente documentati, mancando dettagli sui riaddebiti di tali costi, tali da poter dedurre sia l’effettività dei singoli costi, sia la ragionevole utilità, sia la congruità e l’inerenza, ciò anche in violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 2, stante l’insufficiente descrizione delle fatture e la mancanza di indicazioni di dettaglio;

– quanto alle fatture per prestazioni professionali, pur essendo determinato l’arco di tempo in cui le prestazioni sarebbero state espletate, le stesse non risultano determinate quanto all’oggetto, stante la genericità della descrizione delle fatture, avuto riguardo a natura, qualità e quantità delle prestazioni;

– quanto agli accantonamenti al fondo di garanzia per eventuali riparazioni o sostituzioni prodotti, l’appello è stato invece rigettato.

In relazione all’appello incidentale della contribuente, relativo agli ulteriori cinque rilievi iniziali, già rigettati in primo grado, la sentenza di appello ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo non deducibili sia le spese di alloggio, per mancata identificazione del luogo dell’alloggio e dell’indicazione del soggetto passivo che usufruiva del vitto, sia i premi assicurativi per assenza delle quietanze di pagamento, sia le spese relative a più esercizi (intese quali oneri pluriennali diversi da quelli di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108, commi 1 e 2), relative alla formazione tecnica e del personale, in quanto deducibili pro quota nell’ambito dell’esercizio in cui sono sostenute e nei quattro esercizi successivi, sia le spese di rappresentanza, sia – infine – le spese per consulenze tecniche informatiche, ritenendo che tali spese hanno natura di beni ammortizzabili e non di merci, pertanto deducibili per quote di ammortamento.

Propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a venticinque motivi di ricorso; l’Ufficio resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 109, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la deducibilità delle spese per servizi erogati alle società del gruppo per mancata prova di effettività, ragionevole utilità, congruità e inerenza dei costi. Deduce parte ricorrente come i costi in oggetto, benchè imputabili direttamente ad altre società del gruppo, sarebbero riferibili, quanto all’utilità ritraibile dagli stessi, all’attuale ricorrente, la quale avrebbe usufruito delle relative prestazioni (prestazione d’opera di dipendente di altra società del gruppo impiegato presso la ricorrente, costi di formazione di cui hanno usufruito dipendenti della ricorrente, sito internet di cui ha usufruito la ricorrente), risultando gli stessi inerenti in quanto riconducibili alla attività di impresa della ricorrente.

Contesta la ricorrente la circostanza secondo cui i costi sarebbero genericamente descritti nelle fatture. Deduce parte ricorrente come la CTR abbia errato nel non investigare la tipologia delle prestazioni in relazione alla struttura del gruppo, al fine di riscontrare l’inerenza dei suddetti costi, omettendo, inoltre, di considerare che i costi sostenuti non attengono a riaddebiti sulla base di accordi di ripartizione su base forfetaria, bensì a specifiche prestazioni di servizio di cui ha usufruito la ricorrente.

Con il secondo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 e degli artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Rileva parte ricorrente come nei precedenti gradi di merito erano stati illustrati sia l’organigramma della ricorrente, sia la tipologia delle prestazioni svolte ai fini della valutazione del requisito dell’inerenza, deducendo omessa pronuncia sul punto.

Con il terzo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, violazione delle medesime disposizioni normative in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, riproponendosi il precedente motivo in termini di violazione di legge.

Con il quarto motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione al principio di inerenza. Ritiene il ricorrente che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente indicato le ragioni per le quali la descrizione delle fatture sarebbe risultata generica, nonchè ritiene che il giudice di appello non avrebbe specificamente indicato quali sarebbero i costi dei quali sia stata negata l’inerenza, nozione di inerenza che non sarebbe, inoltre, adeguatamente illustrata.

Con il quinto motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento alle regole a presidio della distribuzione dell’onere della prova, ritenendo parte ricorrente di avere fornito ampia prova della sussistenza dei requisiti attinenti alla deducibilità del costo, deducendo come l’Ufficio non abbia, al contrario, dato prova dei propri assunti ai fini delle riprese dei costi in oggetto.

Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso l’inerenza dei costi per prestazioni professionali per genericità della descrizione delle relative fatture. Deduce parte ricorrente come la struttura organizzativa della ricorrente escluda che le prestazioni fornite possano essere destinate all’uso privato dell’imprenditore e deduce come la prova di tale circostanza deve essere a carico dell’amministrazione finanziaria.

Con il settimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, ritenendo il ricorrente apodittica la motivazione del giudice di appello che ha respinto il giudizio di inerenza dei costi, a fronte della abitualità con la quale una struttura imprenditoriale complessa come la ricorrente sia obbligata a rivolgersi a professionisti per consulenze legali, anche in considerazione del fatto che, in termini organizzativi, la ricorrente difetta di una propria divisione legale interna.

Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per erronea distribuzione dell’onere della prova, ritenendo che l’onere della prova della mancata inerenza incomba sull’amministrazione finanziaria.

Con il nono motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la deducibilità delle spese di vitto e alloggio. Ritiene che le spese e la relativa inerenza siano state adeguatamente illustrate nei gradi del giudizio di merito con ricevute fiscali, scontrini e cedolini di stipendi, documentazione integrata con l’indicazione della sede di appartenenza. Rileva il ricorrente come anche i biglietti anonimi possano documentare le spese di viaggio, in quanto spese sostenute durante lo svolgimento delle trasferte, come anche risulterebbero sufficienti le dichiarazioni rese dai dipendenti, in quanto documentazione utile per gli stessi lavoratori al fine di ottenere il rimborso da parte del datore di lavoro.

Con il decimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 53 e degli artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il giudice di appello dato conto della copiosa documentazione prodotta da parte ricorrente nel corso dei gradi del giudizio di merito; ritiene il ricorrente che gli elementi indicati dal giudice di appello non diano contezza degli elementi necessari per dedurre l’inerenza dei costi.

Con l’undicesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, violazione delle medesime norme, qualificandosi il medesimo vizio della sentenza nelle forme della violazione di legge a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il dodicesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Deduce parte ricorrente come la motivazione resa dal giudice di appello non dia contezza della mole documentale prodotta dal ricorrente in prime cure, laddove diversamente – la motivazione della sentenza impugnata si incentrerebbe su elementi irrilevanti rispetto alla decisione.

Con il tredicesimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, TUIR nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la deducibilità dei premi assicurativi. Deduce il ricorrente come gli elementi indicati dal ricorrente siano estranei al parametro richiesto ai fini della valutazione di inerenza. Deduce il ricorrente come i costi di assicurazione attengano a polizze stipulate dal datore di lavoro per due esercizi, essendo l’esercizio fiscale di parte ricorrente a cavallo di due periodi di imposta; il ricorrente ritiene, pertanto, irrilevante il riferimento, contenuto nella sentenza di appello, alla mancata produzione delle quietanze di pagamento.

Con il quattordicesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 e degli artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Rileva parte ricorrente come nei precedenti gradi di merito erano stati illustrati i costi, contabilizzati per competenza, deducendo che il giudice di appello avrebbe indicato nella motivazione della sentenza impugnata elementi estranei al giudizio di inerenza.

Con il quindicesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, violazione delle medesime disposizioni normative in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, riproponendosi il precedente motivo in termini di violazione di legge.

Con il sedicesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’enunciato principio di inerenza dei costi assicurativi. Ritiene il ricorrente che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente illustrato la circostanza che le polizze sarebbero state sostenute nell’interesse del datore di lavoro e atterrebbero per competenza al periodo di impost4 oggetto di contestazione.

Con il diciassettesimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 108, comma 3, TUIR nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la deducibilità integrale delle spese pluriennali (relative a formazione tecnica esterna, a corsi di formazione del personale, di ricerca di personale, di realizzazione e manutenzione di un sistema gestionale), ritenute deducibili pro quota nell’ambito di ciascun esercizio (formulazione, questa, da intendersi riferita all’esercizio in cui le spese sono state sostenute) e nei quattro esercizi successivi. Deduce il ricorrente che debba essere fatta applicazione delle disposizioni civilistiche, evidenziando, da un lato, che tali oneri vadano imputati nell’esercizio di competenza in cui è stato sostenuto il costo, dall’altro, che il Principio Contabile n. 24 prevede la mera facoltà del contribuente di capitalizzare i costi pluriennali, evidenziando come tali costi abbiano “natura ricorrente”.

Con il diciottesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 e degli artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Rileva parte ricorrente come nei precedenti gradi di merito erano stati illustrati i costi in oggetto ed era stata ampiamente illustrata la esclusione della natura pluriennale dei suddetti costi, laddove il giudice di appello avrebbe omesso qualsiasi pronuncia in proposito.

Con il diciannovesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, violazione delle medesime disposizioni normative in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, riproponendosi il precedente motivo in termini di violazione di legge.

Con il ventesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Ritiene il ricorrente che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente illustrato i presupposti in base ai quali avrebbe ritenuto la natura pluriennale di tali costi.

Con il ventunesimo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 108, comma 2, TUIR nella parte in cui la sentenza ha ritenuto non integralmente deducibili i costi in quanto spese di rappresentanza. Deduce parte ricorrente come le spese in oggetto attengono a spese di viaggio, per congressi e meeting; rileva come l’art. 108, comma 2, TUIR, secondo la formulazione pro tempore vigente, non fornisce alcun criterio utile a qualificare le spese di rappresentanza, prevedendo un regime di parziale deducibilità nella misura di 1/3 nell’arco di cinque anni. Rileva come tali spese non costituiscono in concreto spese di rappresentanza, non essendo finalizzate ad accrescere prestigio, immagine e sviluppo della società ricorrente, in quanto non si tratta di iniziative rivolte a soggetti terzi rispetto alla società, bensì di utilità destinate a propri dipendenti.

Con il ventiduesimo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 103, comma 1, TUIR nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non deducibili le spese per consulenze tecniche informatiche, ritenendo trattarsi di beni ammortizzabili. Deduce il ricorrente di avere adeguatamente illustrato nei gradi di merito la circostanza secondo cui i costi in oggetto non sarebbero riferibili a cespiti, bensì a software ceduti a terzi, ad addebiti per ricerca di marketing e ad annunci web.

Con il ventitreesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 e degli artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ritenendo come sia del tutto erroneo il richiamo all’art. 103, comma 1, TUIR al caso di specie e come la motivazione sul punto risulti del tutto omessa.

Con il ventiquattresimo motivo si deduce, in relazione al medesi o profilo, violazione delle medesime disposizioni normative in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, riproponendosi il precedente motivo in termini di violazione di legge.

Con il venticinquesimo motivo si deduce, in relazione al medesimo profilo, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Ritiene il ricorrente che la sentenza impugnata abbia erroneamente fatto riferimento al principio di cui all’art. 103, comma 1, TUIR.

2 – Il primo, il terzo, il sesto, il nono, l’undicesimo, il tredicesimo, il quindicesimo, diciannovesimo, il ventiquattresimo motivo, i possono essere esaminati congiuntamente, vanno dichiarati inammissibili.

Si osserva come il vizio di violazione di legge – che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – come anche il vizio di falsa applicazione di legge che consiste nel sussumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addica, sul presupposto che la fattispecie astratta da essa prevista – implicano una questione interpretativa. Diversamente, l’allegazione, come nella specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che i costi infragruppo non erano sufficientemente documentati (in relazione al primo e al terzo motivo), mancando dettagli sui costi riaddebitati tali da poterne dedurre effettività del costo, ragionevole utilità, congruità e inerenza – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura non è consentita come violazione di legge ma sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054).

2.1 – Parimenti devono ritenersi inammissibili i motivi concernenti la rivisitazione della decisione, in puro fatto, della non inerenza contenuta nella sentenza di appello, in punto indeducibilità delle prestazioni professionali (sesto motivo), costi per vitto e alloggio (nono e undicesimo motivo), premi assicurativi (tredicesimo e quindicesimo motivo), spese pluriennali per formazione tecnica del personale, corsi di formazione, sistema gestionale (diciannovesimo motivo), ammortamenti (addebiti per software, ricerca di marketing, annuncio sul web), essendo stati tali giudizi fondati sull’esame della documentazione prodotta, relativamente alla quale il giudice di appello ha fornito un giudizio di inidoneità della documentazione prodotta in termini di completezza della stessa, non potendosi ritenere congruamente dedotta una erronea ricognizione della fattispecie concreta ove la motivazione imponga nella rivisitazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054).

Del resto, il ricorrente non chiede la verifica della corretta interpretazione delle disposizioni normative enunciate, ma invoca una diversa rivalutazione dell’accertamento circa la effettività ed inerenza dei costi attraverso una rilettura del materiale probatorio. Il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio del giudice di merito, bensì revisione del ragionamento decisorio, ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, giudizio che impinge nel giudizio di fatto, precluso al giudice di legittimità in quanto riservato al giudice del merito (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526).

3 – Il secondo, il decimo, il quattordicesimo, il diciottesimo, il ventitreesimo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Ricorre il caso dell’omessa pronuncia, come anche quello della motivazione perplessa, nel caso in cui la motivazione sia del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè incomprensibile (Cass., Sez. VI 25 settembre 2018, n. 22598), ovvero anche laddove il giudice venga meno all’obbligo costituzionale di motivazione imposto dall’art. 111 Cost., comma 6, in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza, ove non possa consentirsi la ricostruzione del percorso logico seguito dal giudice (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. VI, 25 settembre 2018, n. 22598). Nella specie, la motivazione, quanto al secondo motivo, per quanto stringata, non appare inferiore al minimo costituzionale, ove osserva: “l’esame portato sulle fatture, i cui importi sono stati ritenuti dalla contribuente come deducibili, dimostra che i costi addebitati a un determinati titolo non sono stati effettivamente sostenuti al detto titolo o a vantaggio della società italiana, in quanto non esiste idonea documentazione, nè sono indicati dettagli sui costi riaddebitati”.

Altrettanto stringata, ma essenziale e utile alla ricostruzione dell’iter motivazionale in ordine agli ulteriori profili, deve ritenersi la decisione impugnata in punto di diritto o di fatto, ove la stessa è stata basata sull’esame della documentazione prodotta, sia in relazione ai costi per vitto e alloggio (mancata indicazione nella documentazione del luogo dello svolgimento dell’attività e del soggetto passivo), sia in relazione ai premi assicurativi (“non risultano le relative quietanze di pagamento”), sia in relazione alle spese pluriennali (“tali spese sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio e per quote costanti nei successivi quattro mesi (…) in ordine alla scheda contabile e alla fattura n. 201 del 31/03/2005 di Euro 1.700,00 va precisato che non è stato rinvenuto alcun documento contabile”), sia in relazione agli ammortamenti indeducibili (“dall’esame delle fatture risulta che l’oggetto delle cessioni è costituito da prodotti che non hanno natura di merci ma di beni ammortizzabili per cui la deducibilità poteva aversi per quote di ammortamento previsto per ogni tipo di bene ammortizzabile nei vari successivi esercizi”).

4 – Il quarto, il settimo, il dodicesimo, il sedicesimo, il ventesimo e il venticinquesimo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Anche tali motivi attengono ai medesimi profili (addebiti infragruppo, prestazioni professionali, costi per vitto e alloggio, premi assicurativi, spese pluriennali, ammortamenti indeducibili), in relazione ai quali il giudice di appello ha fornito una sia pure sommaria descrizione delle ragioni della decisione, con riferimento alla natura non deducibile dei costi pluriennali per documentazione incompleta, alla genericità della descrizione delle fatture ai fini della deducibilità dei costi professionali e dei costi per vitto e alloggio, alla insufficienza della documentazione atta a dimostrare il pagamento dei premi assicurativi (quietanze), al giudizio di parziale indeducibilità delle spese pluriennali e alla natura di beni ammortizzabili (“prodotti che non hanno natura di merci ma di beni ammortizzabili”), di cui all’originario rilievo n. 6, alla luce del cui esame delle fatture è stato tratto il giudizio. Nè, sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente offre elementi per ritenere che tali prodotti (software ceduto a terzi, addebiti per ricerca di marketing e annuncio suo web) siano integralmente spesabili nell’esercizio in cui siano stati sostenuti.

5 – Il quinto e l’ottavo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

Le censure, invocando la violazione dell’art. 2697 c.c., tendono in realtà a dedurre supposte carenze della delibazione e nella individuazione del materiale probatorio, valutazioni che spettano al giudice del merito (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463), essendo consolidato nella giurisprudenza della Corte il principio secondo cui del libero convincimento è situato interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), salvo che si deduca che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o abbia disatteso, valutandole secondo prudente apprezzamento, prove legali (Cass., VI, 17 gennaio 2019, n. 1229).

6 – Il diciassettesimo motivo è infondato per le ragioni che seguono.

6.1 – Il ricorrente non contesta l’applicazione dell’art. 108, comma 3, TUIR, fatta dal giudice di appello, alle spese da egli indicate (spese per la formazione tecnica esterna, per la ricerca di personale, corsi di formazione del personale, realizzazione e manutenzione di un sistema gestionale). Parte ricorrente non specifica, inoltre, nel motivo di ricorso se tali spese siano state contabilmente oggetto di appostazione nel conto economico (e, quindi, integralmente spesate nell’esercizio), ovvero se siano state iscritte nell’attivo patrimoniale quali immobilizzazioni immateriali.

Al riguardo, il ricorrente si limita a dedurre (peraltro in modo ellittico) che, in base a tale disposizione, costituirebbe mera facoltà del contribuente optare, ai fini della rilevazione del reddito di impresa, per la deduzione integrale di tali spese nell’esercizio di competenza in cui il costo sia stato sostenuto (spesandolo integralmente nel conto economico dell’esercizio in cui la spesa viene sostenuta), ovvero per la capitalizzazione di tali costi, iscrivendo il costo nell’attivo patrimoniale tra le immobilizzazioni, con conseguente applicazione dell’ammortamento civilistico quinquennale. Tale interpretazione sarebbe conforme, secondo il ricorrente, al rinvio operato dall’art. 108, comma 3, TUIR alle disposizioni civilistiche, nonchè al Principio Contabile n. 24, che lascia al contribuente la scelta tra capitalizzazione e deduzione integrale dei costi pluriperiodali.

Il Principio Contabile n. 24 applicabile è quello elaborato nel marzo 1999 dalla Commissione Paritetica, posto che l’OIC 24 è stato emanato il 30 maggio 2005, successivamente al periodo di imposta in oggetto.

Detto principio (peraltro analogo al successivo OIC n. 24) preveda in termini contabili come obbligatoria l’iscrizione di dette poste nell’attivo di bilancio; ove, peraltro, tali poste vengano iscritte nell’attivo patrimoniale, al contribuente è consentita la deduzione del costo pro quota in funzione del periodo di ammortamento civilistico. I criteri civilistici rendono facoltativa, pertanto, la capitalizzazione di tali oneri, allo scopo di non gravare – in casi dubbi e nel rispetto del principio di prudenza – l’attivo di bilancio di costi che non avrebbero prima facie utilità pluriperiodale.

6.2 – La norma dell’art. 108 TUIR va intesa nella formulazione relativa all’anno di imposta 2004 (pur considerando che uno dei due avvisi di accertamento “scavalla” l’anno solare di tre mesi), precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, avente ad oggetto l’introduzione dei principi contabili internazionali (applicabili dall’anno 2005), benchè successiva al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1. Detta norma prevede che “le altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 e 2 sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio”.

Tale disposizione si applica a tutte le spese pluriperiodali diverse da quelle dei primi due commi dell’art. 108 TUIR vigente pro tempore (spese per studi e ricerche, spese di pubblicità e propaganda, spese di rappresentanza), istituendo una categoria residuale di oneri aventi utilità ripetuta nel tempo, non spesabili integralmente nell’esercizio in cui sono stati sostenuti e, pertanto, oggetto di iscrizione nell’attivo patrimoniale e soggette ad ammortamento.

Tale norma si limita a riaffermare per le spese pluriennali innominate il principio di derivazione contabile, già contemplato dall’art. 83 TUIR, secondo il quale la rilevazione contabile ai fini civilistici delle spese pluriennali, come tali iscritte nell’attivo patrimoniale, comporta automaticamente il trattamento di tali spese ai fini della rilevazione del reddito di impresa. Ne consegue che, in assenza di un rinvio recettizio a singole disposizioni del codice civile, l’adozione del criterio civilistico di capitalizzare un onere pluriennale residuale esplica efficacia diretta in ambito tributario, dovendo tale costo essere rilevato fiscalmente frazionatamente negli esatti termini delle imputazioni effettuate nel bilancio di esercizio.

Per le spese pluriperiodali diverse da quelle dei primi due commi il trattamento fiscale ai fini della rilevazione del reddito di impresa segue, pertanto, la rilevazione contabile. Ove, quindi, una spesa sia stata iscritta nell’attivo patrimoniale e sia stata capitalizzata quale spesa a fecondità ripetuta, tale da produrre i propri effetti anche negli esercizi successivi (scelta, questa, alternativa rispetto alla collocazione nel conto economico), detta spesa va spalmata, ai fini della rilevazione del reddito di impresa, pro quota nell’anno di sostenimento del costo e nei quattro successivi, negli stessi termini in cui il costo è stato ammortizzato contabilmente.

6.3 – Fatte tali premesse, emerge l’infondatezza del motivo.

Lo stesso ricorrente evidenzia come l’Ufficio avesse ritenuto che tali spese, riconducibili a quelle di cui all’art. 108 TUIR, comma 3, erano spese relative a più esercizi. Trattandosi di spese pluriennali e non risultando dal motivo di ricorso che tali spese siano state spesate a conto economico, le stesse non potevano che avere utilità pluriennale ed erano, pertanto, deducibili ai fini della rilevazione del reddito di impresa nell’arco di cinque anni.

Nel qual caso il contribuente, ai fini della rilevazione del reddito di impresa, non ha margini per optare, nel momento in cui ha già capitalizzato tali spese, per una deduzione integrale delle spese pluriennali nell’esercizio in cui tali spese sono state sostenute, in forza del principio di derivazione contabile.

Nè appare consentito estendere a tali spese, a termini della formulazione della norma (“le altre spese (..) sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio”), l’opzione, ai fini fiscali, tra capitalizzazione e spesa integrale a conto economico, consentita per i costi dell’art. 108 TUIR, commi 1 e 2, nella formulazione pro tempore applicabile – scelta, peraltro, considerata da questa Corte irreversibile per gli anni successivi (Cass., Sez. V, 29 dicembre 2016, n. 27288; Cass. n. 13224 del 2007; Cass. n. 6397 del 2000).

Opzione, peraltro, eliminata anche per tali spese con decorrenza 1 marzo 2017 a termini del D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, art. 13-bis. Per effetto di tale novella, il art. 108 TUIR, comma 1, prevede ora che, ai fini della rilevazione del reddito di impresa, tutte le spese pluriennali siano fiscalmente deducibili nei limiti della quota imputabile a ciascun periodo di imposta, estendendosi in via generale il principio di derivazione contabile a tutti i costi pluriennali, salvo che gli stessi non siano capitalizzabili.

Deve, pertanto, ritenersi che la formulazione della norma pro tempore applicabile per le spese innominate o residuali, diverse da quelle di cui all’art. 108 TUIR, commi 1 e 2, che abbiano utilità ripetuta e siano, pertanto, ultraperiodali impone la deducibilità di tali costi in quote costanti secondo il principio di competenza, comportando la deducibilità del costo in cinque anni secondo l’ammortamento civilistico, in conformità delle scelte contabili operate dal contribuente. Il motivo va, pertanto, rigettato.

7 – Il ventunesimo motivo è infondato.

In tema di determinazione del reddito di impresa costituiscono spese di rappresentanza, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108 (nella formulazione vigente ratione temporis), i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società, ossia quelli correlati ad iniziative rivolte a soggetti terzi rispetto alla società che li sostiene, in quanto solo la rilevanza esterna di una determinata iniziativa è idonea ad accrescerne il prestigio (Cass., Sez. V, 1 agosto 2019, n. 20731; Cass., Sez. V, 15 giugno 2018, n. 15843; Cass., Sez. V, 7 agosto 2015, n. 16596). Parimenti, si è ritenuto che le spese di rappresentanza, a differenza delle spese di pubblicità, attengono agli obbiettivi, anche strategici, perseguiti mediante tali spese, attinenti alla crescita d’immagine ed al maggior prestigio, nonchè al potenziamento delle possibilità di sviluppo della società (Cass., Sez. V, 23 maggio 2018, n. 12676). Tali spese sono deducibili in più esercizi (anch’esse in quote costanti) a condizione che vi sia prova dell’attinenza a tali obiettivi strategici dell’impresa.

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha ritenuto che nel caso di specie si tratta di “spese relative a più esercizi e come tali deducibili per quote costanti in più esercizi”, affermazione non specificamente censurata e che deve ritenersi passata in giudicato. Parimenti, non risulta censurato l’accertamento compiuto in sentenza secondo cui “la contribuente ha riconosciuto la legittimità relativa alla ripresa per Euro 13.105,44”. La sentenza ha, quindi, correttamente confermato lo specifico rilievo dell’Ufficio, secondo cui tali spese non erano deducibili integralmente in quanto spese di rappresentanza.

Sotto un secondo profilo, va osservato che la sentenza ha contestualmente escluso, per estraneità all’alveo delle spese di rappresentanza, la deducibilità tout court delle spese di viaggio e delle spese per meeting e congressi in quanto non aventi rilevanza esterna (“non risultando specificato se si riferiscono solo ai dipendenti o se sono aperti anche al pubblico o altro per cui mancando la relativa documentazione di supporto alla detta necessaria specificazione, tali spese sono indeducibili”), conformemente alla giurisprudenza sopra richiamata.

La sentenza non è stata, peraltro, censurata, sotto questo profilo, con il vizio di motivazione o di ultrapetizione, nella parte in cui il giudice di appello, nel confermare la natura di spese di rappresentanza di quelle oggetto del rilievo n. 5 (che aveva proceduto, come lo stesso ricorrente osserva, a limitare l’integrale deduzione fiscale nell’esercizio in cui la spesa era stata sostenuta), ha contestualmente escluso che non potessero rientrare tra tali spese quelle di viaggio e per congressi e meeting.

Il motivo va, pertanto, rigettato.

8 – Il ventiduesimo motivo è inammissibile quanto alla sua formulazione, posto che sotto la deduzione della violazione di legge il ricorrente non esplicita quale sarebbe la ragione giuridica per la quale ci sarebbe stata violazione e falsa applicazione dell’art. 103, comma 1, TUIR. In tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, difatti, letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento (Cass., Sez. VI, 2 marzo 2018, n. 5001), così come ove non siano specificati gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione (Cass., Sez. I, 13 maggio 2016, n. 9888).

Non appare, a questo proposito, sufficiente a rubricare la violazione dell’art. 103, comma 1, TUIR il richiamo al contenuto delle fatture oggetto di ripresa da parte dell’amministrazione finanziaria.

In ogni caso, detto motivo appare ulteriormente inammissibile in quanto tende anch’esso a una rivalutazione del ragionamento decisorio del giudice del merito, nella parte in cui ha ritenuto che tali beni non hanno natura di merci ma di beni ammortizzabili.

Il ricorso va, pertanto, rigettato nel suo complesso. Le spese del giudizio di legittimità sono soggette a soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna HITACHI DATA SYSTEM ITALIA SRL al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, che liquida in complessivi Euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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