Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6014 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 19/10/2021, dep. 23/02/2022), n.6014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28514/2020 proposto da:

T.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Maiorana, e

presso il suo studio elettivamente domiciliato, in Roma, Viale

Angelico, n. 38, in virtù di procura speciale posta in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di FIRENZE, n. 1636/2020,

pubblicata il 4 settembre 2020, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 ottobre 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. T.B., proveniente dal (OMISSIS), ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza del Tribunale di Firenze del 5 novembre 2019, con la quale era stato confermato il provvedimento della Commissione territoriale competente di diniego della protezione internazionale richiesta.

2. Il ricorrente ha riferito, in sede di audizione, di essere fuggito dal paese di origine per dei problemi avuti con lo zio materno che, approfittando delle cattive condizioni di salute del padre, aveva venduto un terreno di proprietà del genitore, minacciandolo anche di morte.

3. La Corte d’appello ha affermato che la vicenda narrata riguardava contrasti sorti per motivi economici nell’ambito familiare; che non sussistevano i presupposti di legge per la concessione della protezione sussidiaria e che il Tribunale aveva ben spiegato che non poteva ritenersi realizzata l’integrazione del richiedente in Italia, sulla base della mera frequenza di corsi di italiano, né era decisivo, a tali fini, lo svolgimento dello stage di venti ore settimanali per sei mesi.

4. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della condizione di pericolosità e delle situazioni di violenza generalizzata esistenti in (OMISSIS), in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

2. Con il secondo motivo si lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociali e politiche del paese di origine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e l’omesso esame delle fonti informative; l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; la violazione o falsa applicazione d3el D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, avendo la Corte completamente omesso la valutazione di fonti informative sulla situazione del paese di provenienza.

Il ricorrente si duole che il Tribunale aveva erroneamente valutato la storia narrata in quanto dalla stessa emergeva il rischio effettivo derivante dalle minacce di morte dello zio e, con specifico riferimento alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c, ha rilevato che in (OMISSIS), nelle zone prossime alla frontiera con il (OMISSIS) e la (OMISSIS), persisteva uno stato di insicurezza e che il concetto di conflitto locale di cui alla norma richiamata non poteva essere inteso soltanto nel senso di guerra civile nei termini tradizionali propri della storia Europea.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente, perché riguardano entrambi la protezione sussidiaria, sono infondati.

2.2 La Corte di appello ha affermato, condividendo le motivazioni del Tribunale e con una ratio decidendi che non è stata minimamente censurata in questa sede, che il giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto che non sussisteva alcun concreto pericolo di minaccia alla vita del ricorrente rilevante, perché la vicenda narrata era nata per motivi economici sorti nell’ambito familiare e che in (OMISSIS) non sussisteva alcun conflitto armato, tale da produrre una violenza generalizzata e che gli eventi di violenza verificatisi erano occasionali e, comunque, eventi di violenza comune, in aree, peraltro sottoposte all’attività di controllo e repressione delle forze di sicurezza nazionali.

2.3 Ciò posto, deve affermarsi che è orientamento di questa Corte che la nozione di trattamento umano e degradante, può riguardare anche i casi in cui il pericolo di danno grave provenga dai privati (e non essere confinata alle ipotesi in cui il pericolo di danno grave provenga da agenti non statali), soltanto quanto nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26823), circostanza, questa, che non è stata dedotta dal ricorrente.

2.4 Inoltre, nel caso in esame, non risulta né dal ricorso, né dal provvedimento impugnato, che il ricorrente (appellante) abbia sottoposto ai giudici di secondo grado la fonte richiamata, alle pagine 9-12 del ricorso per cassazione, circostanza questa necessaria tenuto conto della natura del giudizio di appello, che non è strutturato come un giudizio nuovo, ma di revisione delle domande proposte.

Nella specie, il principio operante nei giudizi in materia di protezione internazionale, secondo cui spetta al giudice, nell’esercizio dei poteri officiosi di indagine e di informazione conferitigli dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, il compito di verificare la sussistenza di un rischio di grave danno alla persona e la situazione delle condizioni del paese di provenienza del richiedente dev’essere infatti coordinato con la portata limitata dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, correlata alla configurazione del relativo giudizio come revisio prioris instantiae, anziché come un nuovo giudizio, in virtù della quale la cognizione del giudice di secondo grado deve ritenersi circoscritta alle questioni prospettate dall’appellante con i motivi di gravame o riproposte dall’appellato ai sensi dello art. 346 c.p.c., con la conseguenza che i punti della sentenza di primo grado non espressamente investiti dall’iniziativa di parte non possono più costituire oggetto di discussione, formandosi al riguardo una preclusione che ne impedisce il riesame (Cass., 12 maggio 2020, n. 8819).

2.5 Inoltre, questa Corte, anche di recente, ha precisato che, in tema di protezione internazionale, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purché detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento – correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma (Cass., 2 marzo 2021, nn. 5675 e 5676).

3. Con il terzo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,4,5,6 e 14 e art. 8; difetto di motivazione e travisamento dei fatti in relazione alla domanda di protezione umanitaria.

4. Con il quarto motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa valutazione dell’applicabilità al ricorrente della protezione, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110 che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e all’art. 3 CEDU; omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza; l’omesso esame delle fonti informative circa la situazione sociale ed economica del Paese.

4.1 Il terzo e il quarto motivo, che vanno trattati insieme perché riguardano entrambi la protezione umanitaria, sono infondati.

4.2 La Corte, condividendo le motivazioni del Tribunale, ha affermato, peraltro con un’iter argomentativo che non è stato ancora una volta censurato, che il giudice di primo grado aveva ben spiegato che non poteva ritenersi realizzata l’integrazione del richiedente in Italia, sulla base della mera frequenza di corsi di italiano e in mancanza di prova di avere svolto una qualche attività lavorativa, né era decisivo, a tali fini, lo svolgimento dello stage di venti ore settimanali per sei mesi.

4.3 E ciò senza prescindere dal principio pure affermato da questa Corte che l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti né rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

4.4 Il motivo, quindi, per quanto concerne il dedotto vizio di motivazione è infondato perché la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

4.5 E’ infondata anche la dedotta violazione dell’art. 10 Cost. in relazione all’invocato diritto di asilo.

Questa Corte ha più volte affermato che tale diritto è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste in relazione alle diverse forme di protezione interna, cosicché non v’e’ più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (Cass., 19 aprile 2019, n. 11110).

4.6 E’ infondata anche la censura che richiama il principio di non refoulement previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19. Senza prescindere dalla genericità della deduzione che manca di ogni puntuale riferimento al caso in esame e manca di confronto con la decisione impugnata, va precisato che l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1, in cui si declina il più generale principio di non refoulement, resta in ogni caso inserito nel diverso contesto dell’opposizione alla misura espulsiva, che impone al richiedente di prospettare il concreto pericolo di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine, mentre la disciplina della protezione internazionale introduce una misura umanitaria, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice (Cass., 8 aprile 2019, n. 9762; Cass., 17 febbraio 2011 n. 3898).

5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, perché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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