Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6012 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22710-2018 proposto da:

G.G., rappresentata e difesa in proprio e domiciliata

presso la cancelleria della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 09/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., depositato il 10.10.2017 M.A. interponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2239/2017 emesso dal Tribunale di Lecce, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 26.174,86 in favore di G.G., a fronte di prestazioni professionali da quest’ultimo svolte in favore dell’ingiunto in alcuni procedimenti civili. Senza contestare il conferimento dell’incarico, l’opponente deduceva che l’attività dell’avvocato era rimasta incompiuta a seguito della rinuncia di quest’ultimo al mandato conferitogli, e che comunque essa era stata remunerata con diversi acconti per complessivi Euro 10.619,73. Si costituiva il G. contestando l’opposizione ed invocandone il rigetto.

Con la sentenza oggi impugnata il Tribunale di Lecce accertava l’attività effettivamente svolta dal difensore nei diversi giudizi seguiti per conto del M., quantificava il compenso dovuto per ciascuno di essi e riteneva dovuta una somma di poco inferiore a quella portata nel decreto ingiuntivo opposto, che di conseguenza revocava condannando l’opponente al pagamento dell’importo di Euro 23.652,09. Compensava le spese del grado, in funzione della circostanza che l’opponente aveva formulato, già nell’opposizione a decreto ingiuntivo, una proposta conciliativa dichiarandosi disposto al pagamento di una somma superiore a quella che poi era effettivamente risultata dovuta all’opposto.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.G. affidandosi a sei motivi. M.A., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, e art. 276 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè il Tribunale avrebbe emesso l’ordinanza in composizione collegiale, mentre la discussione sarebbe avvenuta alla sola presenza del solo giudice relatore. La censura è inammissibile.

Va premesso che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non impone affatto la trattazione del giudizio dinanzi il collegio, ma si limita a prescrivere che le controversie relative al pagamento di “Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, e l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c., contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo” (comma 1), e che “E’ competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale” (comma 2). La legge prescrive pertanto soltanto la decisione della causa in composizione collegiale, il che nella specie è pacificamente avvenuto; nessun rilievo, pertanto, ha il fatto che la causa sia stata in precedenza discussa dinanzi al solo giudice relatore, che peraltro – da quanto chiaramente risulta dall’intestazione del provvedimento impugnato – ha fatto parte del collegio che in concreto ha deciso la causa.

Nè, in ogni caso, il ricorrente indica quale lesione processuale gli sarebbe, in punto di fatto, derivata per effetto della violazione denunciata, con conseguente difetto di specificità della censura.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 164,163 e 641 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe dovuto ravvisare la nullità dell’opposizione al decreto ingiuntivo spiegata dal M. per carenza dei requisiti di cui al sopra richiamato art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4.

La censura è inammissibile per carenza di specificità, in quanto il ricorrente non riporta, neanche per stralcio, l’atto di opposizione del quale eccepisce la genericità. Peraltro, l’accertamento della sussistenza o meno dei requisiti di cui all’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, si risolve in un apprezzamento di fatto che, come tale, è riservato al giudice di merito e può essere utilmente censurato in questa sede soltanto nei ristretti limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe dovuto valorizzare l’assenza di specifica contestazione, da parte del M., circa la domanda proposta dal ricorrente. La genericità della contestazione della parcella, secondo la prospettazione del G., costituirebbe fonte presuntiva della prova dell’effettivo svolgimento, da parte dell’avvocato, delle attività in essa esposte, nonchè del valore della lite indicato e del compenso calcolato dal professionista.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente proceduto al ricalcolo di quanto spettante al difensore utilizzando gli stessi documenti da quest’ultimo prodotti in atti di causa. Ad avviso del ricorrente, poichè il M. nulla di specifico aveva dedotto e prodotto, la riduzione del compenso operata dal Tribunale sarebbe da ritenere arbitraria.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale pugliese avrebbe riconosciuto la decorrenza degli interessi soltanto a partire dal deposito della sentenza, mentre il decreto li aveva riconosciuti a decorrere dall’8.6.2010. Ad avviso del ricorrente, poichè il M. non aveva formulato alcuna espressa richiesta di modifica del momento a decorrere dal quale dovevano essere riconosciuti gli interessi sulla somma dovuta, il giudice dell’opposizione non avrebbe potuto incidere sulla statuizione contenuta nel decreto ingiuntivo opposto.

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili in quanto esse si risolvono nell’invocazione di una revisione del giudizio di fatto e dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie condotto dal giudice di merito, da ritenere entrambe precluse in Cassazione (quanto al primo profilo, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790; quanto al secondo, cfr. Cass. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Peraltro occorre ribadire che il potere di valutazione delle risultanze istruttorie che spetta al giudice di merito non è limitato in funzione della parte che, in concreto, abbia prodotto un determinato documento o sollecitato uno specifico mezzo istruttorio; una volta che l’elemento di prova sia stato acquisito ritualmente agli atti del giudizio, infatti, esso è liberamente apprezzabile dal giudice. Nè ha pregio la doglianza relativa alla decorrenza degli interessi, in considerazione del fatto che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, quando ritenga quest’ultima ammissibile, è investito del potere-dovere di pronunciarsi su tutto il tema devoluto alla sua cognizione con l’opposizione medesima; il che comporta che quando, come nel caso di specie, l’ingiunto contesti la stessa debenza, il giudice di merito è tenuto a verificare non soltanto l’effettivo importo spettante al creditore ingiungente, ma anche il momento dal quale siano dovuti gli interessi. Nel caso specifico, poi, poichè il Tribunale ha ridotto la pretesa creditoria del G., revocando il decreto ingiuntivo originariamente emesso in favore di quest’ultimo, il riconoscimento degli interessi a decorrere dalla pronuncia è da ritenere corretto, essendo quello il momento in cui il credito è stato accertato nell’an e nel quantum.

Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112,91,92 c.p.c., art. 75 disp. att., artt. 12209 e 1216 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente compensato le spese del giudizio di merito.

Anche questa doglianza è inammissibile, posto che la decisione relativa alla compensazione delle spese costituisce estrinsecazione di un potere discrezionale del giudice di merito, che si fonda su un apprezzamento di fatto il cui riesame è precluso in questa sede. Peraltro nel caso specifico il Tribunale salentino ha compensato le spese valorizzando il fatto che il M. avesse offerto, a fronte di una pretesa iniziale di Euro 26.174,86 oltre accessori, la somma di Euro 30.000, rivelatasi poi superiore a quanto effettivamente liquidato al G. con la sentenza conclusiva della fase di opposizione. Il ricorrente afferma (cfr. pag. 22 del ricorso) che in realtà la somma ingiunta sarebbe stata pari ad Euro 31.041,49 ma la censura non coglie nel segno, poichè la valutazione operata dal Tribunale non si riferisce evidentemente all’importo del decreto opposto, ma a quello liquidato, che è oggettivamente inferiore (di circa Euro 7.000) rispetto a quanto offerto banco iudicis dal M. sin dal primo atto difensivo.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato in questo giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma del art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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