Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6011 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. I, 04/03/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 04/03/2021), n.6011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.S., (alias F.S.), rappr. e dif. dall’avv.

Daniela Gasparin, daniela.gasparin.milano.pecavvocati.it, elett.

dom. presso lo studio in Milano, via Lamarmora n. 42, come da

procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Milano 28.2.2019, n. 1861/2019,

in R.G. 12198/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 9.2.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. O.S. (alias F.S.) impugna il decreto Trib. Milano 28.2.2019, n. 1861/2019, in R.G. 12198/2018 di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. il tribunale, per quanto qui di residuo interesse, ha ritenuto, all’esito dell’udienza e della audizione: a) circoscritta la credibilità della richiedente solo alla zona di provenienza ((OMISSIS)), non invece ai presupposti di persecuzioni o gravi timori per il rientro, in particolare apparendo, per non superate contraddizioni e solo progressive focalizzazioni di quanto esposto, non credibile il vissuto rappresentato quale vittima di abusi sessuali ad opera di uno zio, secondo episodi accaduti nel corso della permanenza in altra città, con denuncia solo interna alla famiglia, forma riparatoria parapecuniaria da questa accettata e ciononostante ripresa delle minacce, perpetrate anche a telefono, raggiunta la ricorrente in Italia, dopo che con la sorella si sarebbe risolta, all’insaputa della propria famiglia, ad allontanarsi dal Paese; b) insussistenti i rischi di atti persecutori (anche per mancata documentazione della qualità di agente pubblico dello zio), nè provati comportamenti in tal senso compressivi dei diritti umani fondamentali; c) insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria, per difetto di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nonchè il conflitto armato ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c), non risultando segnalazioni di tal fatta per la Nigeria, stante la diversità di localizzazione; d) infondata la richiesta di protezione umanitaria, mancando altre situazioni di vulnerabilità o radicamenti apprezzabili in Italia (insufficiente in sè e nel caso non adeguata), nè potendo costituire – stante anche la non credibilità condizione di comparazione il richiamo alle pur non credute conseguenze delle minacce dello zio;

3. il ricorrente propone tre motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, oltre che per assenza di motivazione, la pronuncia resa sul punto del giudizio di non credibilità, contestandosi il giudizio di contraddittorietà del narrato e la mancata considerazione del contesto sociale e culturale del Paese, oltre che del rapporto con la sorella e il tipo di confitto imperversante in Nigeria, così violando le norme procedimentali in materia;

2. con il secondo mezzo si deduce l’erroneità del decreto per violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria, dei parametri di giudizio sulla credibilità, della valutazione del danno grave, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

3. con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, oltre che per assenza di motivazione, la violazione dei parametri normativi inerenti alla richiesta protezione umanitaria, non avendo il decreto considerato la vulnerabilità effettiva del richiedente al rientro e l’occupazione acquisita;

4. i primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, sono inammissibili, pur nella eterogenea deduzione di vizi tra loro incompatibili, imponendo essi di isolare – quale nucleo fondamentale – la sostanziale critica alla motivazione in cui si risolve la censura;

5. quanto alla credibilità, il motivo è inammissibile anche per tale profilo,

alla luce del principio, pienamente osservato nella motivazione, per cui “del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (Cass. 20580/2019); va invero ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/20149);

6. nella specie, l’intera doppia censura, appare enunciata in via del

tutto generica ove indica un decreto privo di motivazione, mentre la doglianza si atteggia, nella sostanza, in una lunga e reiterata non condivisione dell’apprezzamento di fatto cui è giunto il tribunale, laddove, scindendo il narrato della richiedente, le attribuisce credibilità per la sola provenienza ma non per il vissuto pretesamente originante l’allontanamento dalla Nigeria; per esso, il tribunale ha negato, in virtù delle contraddizioni dei riferimenti progressivamente enunciati, l’attendibilità delle vicenda di abusi attribuiti allo zio, per come narrata e collocata all’origine della partenza; invero, il nucleo essenziale della motivazione resa dai giudici milanesi, in punto di ravvisata non credibilità del racconto, è oggetto di critica che s’infrange nei limiti cui è sottoposto il giudizio di legittimità sulla motivazione (Cass. s.u. 8083/2014);

7. quanto alla situazione della Nigeria, il decreto vi ha correttamente attribuito irrilevanza, stante il pronunciato giudizio sulla credibilità (negata dal giudice di merito), orientando negativamente la valutazione sulla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); parimenti, non appare censurata in modo puntuale l’altra ratio decidendi su cui s’impernia il rigetto, e cioè l’assenza in Nigeria, nell’area di Benin City e per quanto rilevante, secondo le fonti indicate, di un conflitto armato ai sensi e per gli effetti di protezione invocati D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c);

8. il terzo motivo è inammissibile, poichè le ragioni non credute dell’allontanamento mostrano di reagire negativamente anche sul giudizio proprio della protezione umanitaria, non permettendo di attuare una comparazione effettiva sulla situazione di vulnerabilità che graverebbe sulla richiedente al rientro; nè basta la segnalazione della condizione occupazionale, della quale non c’è traccia in decreto nè si segnala in ricorso come la circostanza sia stata dibattuta avanti al tribunale, avendo fatto difetto – secondo la pronuncia – un qualsivoglia altro elemento connotativo proprio della richiedente; anche in questa sede la ricorrente non ha indicato altro fattore e il timore assolutamente generico di danni gravi o persecuzioni al rientro, ma per ragioni non credute, così rispettando il principio per cui già Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), ha statuito che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (indirizzo ribadito da Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

 

 

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