Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 601 del 12/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 12/01/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 12/01/2011), n.601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

NUTRICIA ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Castro Pretorio,

122 presso lo studio dell’avv. Russo Andrea, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che le rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sez. 5^, n. 19, depositata il 17.4.2 008;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott.

Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3;

udito, per la ricorrente, l’avv. Andrea Russo;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso, in adesione alla relazione, per il

rigetto del ricorso.

Fatto

PREMESSO IN FATTO E DIRITTO

che la società contribuente propose ricorso avverso avviso di accertamento irpeg ed irap, per Zanne 7000, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione, reputandoli non deducibili, versamenti eseguiti a titolo di sanzioni irrogate dall”Autorità garante della concorrenza;

– che l’adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello cella società contribuente, dalla commissione regionale, che, riscontrata la natura punitiva della sanzione inflitta dal garante della concorrenza, rilevò l’indeducibilità dei costi connessi ad attività dell’impresa esplicatasi in violazione di precetti normativi;

rilevato:

– che, avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, in due motivi, illustrati anche con memoria;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

osservato:

– che, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172 (già art. 123) e art. 2504 bis c.c. e formula il seguente quesito di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte se l’avviso di accertamento, emesso e notificato a società ormai fusa per incorporazione in altra società, sia afflitto, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172 (già art. 123), e art. 2504 bis cod. civ., da nullità-inesistenza, come tale rilevabile d’ufficio e non sanabile. E pertanto dica l’Ecc.ma Corte se incorre in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172 (già art. 123), e art. 2504 bis cod. civ., la sentenza (impugnata) che manchi di rilevare d’ufficio la nullità inesistenza di avviso di accertamento emesso e notificato a società ormai fusa per incorporazione in altra società”;

considerato:

– che il mezzo è inammissibile;

– che deve, invero, rilevarsi che, in base a quanto risulta dalla stessa narrativa del ricorso per cassazione, la doglianza in rassegna non è stata prospettata nel ricorso introduttivo della società contribuente;

– che, tanto premesso, deve, peraltro, considerarsi che, secondo il consolidato orientamento di questa corte, il giudizio tributario – in quanto caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio (circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati) – ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, con la conseguenza che l’atto diviene definitivo in relazione a tutti i profili non rilevati in quella sede, sicchè la successiva deduzione di un vizio originariamente non dedotto, comportando l’esame di una nuova causa petendi, si rivela, prima di ogni altra considerazione, inammissibile (v. Cass. 28.680/05, 12147/04, 9754/03);

– che il mezzo è, peraltro, infondato, posto che il denunciato vizio di notificazione dell’atto impositivo integrando ipotesi di nullità e non di inesistenza della stessa – è suscettibile di sanatoria (v.

Cass. 20650/09, 14066/08) ed è stato di fatto sanato dalla tempestiva impugnazione dell’atto stesso;

osservato:

– che, con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109) e formula il seguente quesito di diritto:

“dica l’Ecc.ma Corte se le sanzioni emanate dall’Autorità garante della concorrenza e dei mercato siano riferibili e, come tali correlate all’attività di impresa e, pertanto, se le stesse siano deducibili nella determinazione del reddito di impresa. E, dunque, dica l’Ecc.ma Corte se incorre in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109) la sentenza (impugnata) che manchi di rilevare la riferibilità e correlazione all’attività di impresa delle sanzioni, emanate dall’Autorità garante del mercato e della concorrenza e, pertanto, la loro deducibilità nella determinazione del reddito di impresa”;

considerato:

– che il motivo di ricorso è manifestamente infondato;

– che questa Corte ha, infatti, già puntualizzato, con affermazione da cui non vi è motivo di discostarsi, che, in considerazione della loro finalità punitiva e della loro complessiva disciplina, le sanzioni pecuniarie in materia di tutela della concorrenza e del mercato di cui alla L. n. 287 del 1990 (cosiddetta disciplina antitrust), irrogabili dalla Commissione UE o dall’Autorità Garante della concorrenza, non configurano “costi” deducibili dal reddito d’impresa cfr. Cass. 5050/10);

ritenuto:

che, pertanto, il ricorso va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza, la società contribuente la condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; condanna la società contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessive Euro 5.100,00 (di cui Euro 5.000,00 per onorari oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011

Sommario

IntestazioneFattoP.Q.M.

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