Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6006 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/03/2010, (ud. 18/01/2010, dep. 11/03/2010), n.6006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – rel. Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5290/2009 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUTEZIA 5,

presso lo studio dell’avvocato ROMEO RODOLFO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SANTOSTEFANO Nicola, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA SPA (Divisione passeggeri Personale e gi Organizzazione

Tirrenica Sua) – Società con socio unico, soggetta all’attività di

direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato SpA in persona

dell’institore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FASAVELLI, 22,

presso lo studio dell’avvocato FONTANA Giorgio, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 204/2008 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 7.3.08, depositata il 03/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/01/2010 dal Presidente Relatore Dott. BRUNO BATTIMIELLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Nicola Santostefano che si riporta

agli scritti.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che

aderisce alla relazione scritta.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.R. ricorre per cassazione con cinque motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 204/2008 depositata il 3.4.2008 che, rigettando l’appello, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione da lui proposta contro il licenziamento intimatogli il 7 maggio 2004 da Trenitalia, di cui era dipendente con la qualifica di ausiliario di stazione, a seguito della condanna, passata in giudicato, riportata dal predetto dipendente per i reati di ricettazione e di truffa aggravati.

Trenitalia s.p.a. resiste con controricorso.

A seguito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte per la decisione del ricorso in Camera di consiglio.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, nella specie, punto 2 dell’art. 61 del CCNL, ed della L. n. 300 del 1970, art. 7”.

Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, nella specie punto 4 dell’art. 61 del CCNL, oltre che all’art. 2119 c.c. e alla L. n. 300 del 1970, art. 7”.

Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, nella specie dell’art. 2106 c.c.”.

Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c, “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nella specie violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., comma 2”.

Il ricorso, quanto ai motivi primo, secondo e terzo, è improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, non essendo stati prodotti il contratto collettivo e gli accordi collettivi nazionali sui quali i detti motivi si fondano. Infatti, il contratto e gli accordi in questione non sono menzionati, nell’elenco in calce al ricorso, tra gli atti e i documenti depositati. Nè vale obiettare che i documenti in parola si trovassero “allegati al fascicolo per la Cassazione, come da indice ivi riportato, ed il contratto è materialmente inserito nel fascicolo di parte del primo grado del giudizio, così come espressamente indicato.”. Infatti, l’osservanza del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, esige innanzitutto che sia specificato nel ricorso in quale sede processuale il documento, pur individuato dal ricorso, risulti prodotto, e poi che vi sia un atto specifico di deposito, non essendo sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte che quei documenti contenga. Neppure l’esistenza di un indice è idonea a supplire alla mancanza, nel ricorso, di una indicazione specifica e nominativa dei documenti prodotti (Cass. n. 28547/2008, n. 21747/2009, 15628/2009).

Quanto al quarto motivo, la denuncia di contraddizione è manifestamente infondata. Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata, mentre nella prima parte, per convalidare la tempestività della contestazione, afferma che l’oggetto della stessa non è rappresentato dalla commissione del reato, nell’ultima parte, valorizza contraddittoriamente proprio il reato per giustificare l’adeguatezza della sanzione.

In realtà, la Corte d’appello ha affermato tutt’altra cosa. Quanto alla contestazione, ha spiegato che la società si è trovata nella necessità di attendere la conclusione della vicenda penale perchè “si è trattato di fatti che mai avrebbero potuto formare oggetto di autonomo accertamento nell’ambito di un procedimento disciplinare”, perchè appartenenti alla sfera privata del lavoratore e sottratti del tutto alla sfera di conoscibilità del datore di lavoro e alla possibilità di una loro valutazione. Detto ciò, la Corte, operando in un diverso ambito di giudizio, ha ritenuto l’adeguatezza della sanzione in considerazione della gravità dei fatti commessi e delle modalità della loro esecuzione (ricettazione di assegni circolari rubati e loro spendita all’estero per l’acquisto di un carico di bovini per l’ammontare di L. novecento milioni).

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta “la mancata assunzione dei mezzi istruttori chiesti per provare il pregresso diligente svolgimento del servizio da parte del dipendente”.

Il motivo è manifestamente infondato. La Corte d’appello, dopo avere descritto i comportamenti del dipendente, ha ritenuto non sussistere “alcun dubbio … sulla proporzione tra la sanzione irrogata e l’evidenziata gravità dei fatti.”. Ha quindi concluso che del tutto irrilevante si presentava l’accertamento della condotta dello stesso lavoratore fino a quel momento. Si tratta di un ragionamento non illogico, posto che la legittimità della sanzione espulsiva deve essere valutata, ai fini della configurabilità della giusta causa, tenendo conto dell’idoneità del comportamento del lavoratore ad infrangere il rapporto di fiducia. Tale compromissione può sussistere anche in presenza di un fatto isolato, secondo un apprezzamento che resta sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato, come è avvenuto nella specie (Cass. n. 6814/1991, n. 5843/1994, n. 13536/2002).

Il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenze di legge in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 2000,00 (duemila) per onorario, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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