Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6001 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 23/02/2022), n.6001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22269-2020 proposto da:

TD SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché

D.T., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

COSIMO BUONFRATE;

– ricorrenti –

contro

CREDITO EMILIANO SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO,

108, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MALIZIA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 117/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’01/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

TD SRL, nonché D.T. propongono ricorso per cassazione con otto mezzi nei confronti di Credito Emiliano SPA, avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, in epigrafe indicata. Credito Emiliano replica con controricorso.

Il giudizio, originariamente incardinato a Taranto dagli odierni ricorrenti, venne riassunto dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia a seguito di declinatoria di competenza.

La Corte di appello di Bologna, con la sentenza impugnata, ha respinto l’appello proposto dagli odierni ricorrenti avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che, accogliendo l’eccezione di parte convenuta, dichiarò improcedibile la domanda attorea per non avere esperito gli attori – che non si erano presentati dinanzi all’Organismo di Mediazione presso l’Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia designato – il procedimento di mediazione obbligatoria disposto dal giudice, e che ritenne procedibile e fondata la domanda riconvenzionale avanzata da Credito Emiliano.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso, articolato in otto motivi, è complessivamente inammissibile sotto molteplici aspetti.

2. Innanzi tutto, ricorre la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che prescrive a pena di inammissibilità che il ricorso per cassazione contenga l’esposizione sommaria dei fatti della causa perché, nel caso in esame, tale esposizione è del tutto assente.

Detta previsione ha lo scopo di consentire a questa Corte la comprensione della vicenda processuale e delle richieste e delle posizioni assunte dalle parti e di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da un’opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla Cassazione un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente (Cass. Sez. U. n. 11308 del 2014; Cass. n. 21750 del 2016; Cass. n. 10072 del 2018; Cass. n. 13312 del 2018; Cass. n. 10588 del 2020), senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. n. 30754 del 2018; Cass. Sez. U. n. 22575 del 2019) ed essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi, nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte.

Nel caso in esame, tale carenza risulta vieppiù grave, considerata la complessa vicenda processuale, connotata da domande principali e domande riconvenzionali, che ha visto il giudizio trasferito per competenza e investiti più organismi di mediazione, oltre che la prospettazione di molteplici doglianze centrate proprio su presunte violazioni di norme processuali, senza alcuna chiara e puntuale esposizione del fatto processuale.

3. E’, altresì, violato l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il quale richiede la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti, indicazione che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, va assolta mediante la localizzazione degli atti e dei documenti, nel caso di specie carente, oltre che l’individuazione del contenuto di essi, mediante trascrizione dei passi significativi.

4. Si ravvisa, quindi, la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, perché il motivo di ricorso per cassazione deve essere costituito dall’enunciazione specifica delle ragioni per le quali la decisione è reputata erronea e deve tradursi in una critica puntuale della decisione impugnata, non potendo la parte ricorrente, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo (Cass. n. 17330 del 2015); né la parte può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile (Cass. n. 22478 del 2018); né, infine, la censura si può risolvere in un richiamo e riproduzione di massime giurisprudenziali, senza però, centrare e confutare adeguatamente la ragione giustificatrice della decisione (Cass. n. 27483 del 2019, in motivazione).

5. Anche l’esame dei singoli motivi conduce alla medesima conclusione.

Si deve rilevare, infatti, che:

– il primo motivo – con il quale si denuncia la violazione dell’art. 50 c.p.c. in tema di competenza e del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, perché, a parere dei ricorrenti, la Corte di appello, come già il Tribunale di Reggio Emilia, ha erroneamente ritenuto che il procedimento di mediazione, già avviato per ordine del giudice territorialmente incompetente, avrebbe dovuto essere rinnovato nel circondario di Reggio Emilia – è inammissibile perché si sostanzia nella mera riproduzione del relativo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, nonché del motivo di appello e delle conclusioni ivi rassegnate concernenti detta questione, che vengono riproposti in violazione dei principi ricordati sub 4.;

– il secondo motivo – con il quale si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, perché, a parere dei ricorrenti, la domanda riconvenzionale della banca non era mai stata oggetto di mediazione ed erroneamente la Corte distrettuale la ha ritenuta procedibile – è inammissibile perché si sostanzia nella mera riproduzione del relativo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, nonché del motivo di appello, dei propri atti e delle conclusioni ivi rassegnate concernenti detta questione, in violazione dei principi ricordati sub 4. Presenta un ulteriore profilo di inammissibilità perché la contestazione non coglie e non censura la ratio decidendi espressa, in base all’accertamento di fatto compiuto, dalla Corte felsinea in ordine all’integrale sottoposizione della materia del contendere (comprensiva della domanda proposta dagli attori e della domanda riconvenzionale) all’organismo di mediazione, accertamento fondato sul rilievo- non contestato – che, nel caso di specie, la mediazione era stata disposta dal giudice, quando il thema decidendum si era già formato;

– il terzo motivo – con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., e dell’art. 183 c.p.c., comma 6, lamentando che sia stato respinto il motivo di appello con cui i ricorrenti avevano criticato la mancata concessione dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, in primo grado e sostenuto che tale concessione di termini era dovuta e che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, il motivo di appello non era affatto generico laddove prospettava la possibilità, in tale sede, di difendersi dalla domanda riconvenzionale – è inammissibile perché si sostanzia nella mera riproduzione del relativo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, nonché del motivo di appello e delle conclusioni ivi rassegnate concernenti detta questione, che vengono riproposti in violazione dei principi ricordati sub 4. E’, altresì, inammissibile perché non coglie la condivisibile ratio decidendi concernente la mancata specificazione, non solo del thema decidendum – genericamente indicato dai ricorrenti come attività difensiva rispetto alla domanda riconvenzionale – ma, soprattutto – del thema probandum, stante la completa assenza dell’indicazione delle prove che sarebbero state dedotte, con l’evidenziazione del concreto pregiudizio derivato dalla loro mancata ammissione (Cass. n. 21953/2019), circostanza non smentita nel motivo di ricorso;

– il quarto motivo – con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 50 c.p.c., in tema di conservazione degli effetti processuali e sostanziali già prodotti perché, a parere dei ricorrenti, erroneamente la Corte distrettuale ha ritenuto che la circostanza della mancanza di riferimento al disconoscimento degli atti in sede di riassunzione dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, fosse “sintomatica del riconoscimento dell’autenticità delle sottoscrizioni alla luce delle scritture di comparazione” nonostante, dinanzi al Tribunale di Taranto, essi ricorrenti avessero disconosciuto le sottoscrizioni apposte sui contratti bancari e sul contratto di fideiussione prodotti dalla banca che, a seguito di ciò, aveva prodotto gli originali e l’istanza di verificazione – è inammissibile perché si sostanzia nella mera riproduzione del relativo passaggio motivazionale della sentenza impugnata e, quindi, di una massima giurisprudenziale in violazione dei principi ricordati sub 4, senza centrare e confutare adeguatamente la ragione giustificatrice della decisione di appello. Va rimarcato, infatti, che i ricorrenti hanno dedotto unicamente “e’ errata la decisione della Corte di appello, senza tralasciare di evidenziare che il Tribunale di Reggio Emilia aveva totalmente omesso di pronunciarsi sul punto ed aveva utilizzato i documenti prodotti dalla banca come se gli stessi non fossero mai stati contestati” (v. pag. 15 del ricorso), ma non hanno precisato lo specifico contenuto dell’atto di riassunzione e se, quando ed in che termini la questione del disconoscimento fosse stata sottoposta al Tribunale adito dopo la riassunzione e se e come, poi, fosse stata sottoposta alla Corte di appello, la doglianza per omessa pronuncia.

– il quinto motivo – con il quale si denuncia la nullità della sentenza o del procedimento ex art. 112 c.p.c., lamentando che la Corte di appello, per rimediare all’omessa pronuncia del Tribunale in relazione all’avvenuto disconoscimento delle sottoscrizioni, ha proceduto ad accertare l’autenticità delle stesse mediante il confronto con le sottoscrizioni apposte sulle scritture di comparazione – è inammissibile perché si fonda sull’assunto rimasto indimostrato che vi sarebbe stata un omessa pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia e che ciò sia stato oggetto di gravame, come già evidenziato in relazione al quarto motivo;

– il sesto motivo – con il quale si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto non meglio precisate, per avere la Corte di appello erroneamente respinto le doglianze relative ad interessi usurai ed anatocistici, alle commissioni di massimo scoperto ed alle spese perché generiche e prive di prova, in quanto, a loro dire, non avrebbe considerato che gli attori avevano lamentato di avere ricevuto solo parte degli estratti conto e che solo l’espletamento della CTU avrebbe potuto consentire l’esatta ricostruzione dei rapporti di dare ed avere – è inammissibile perché privo di specifica confutazione in merito alla statuizione di genericità delle doglianze proposte in appello e di mancata richiesta di espletamento di CTU (fol. 7 della sent. imp.);

– il settimo motivo – con il quale si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto non meglio precisate e concerne la declaratoria di inammissibilità del motivo di impugnazione relativo alla domanda volta ad ottenere l’accertamento e la dichiarazione di nullità del contratto di fideiussione – è inammissibile perché si sostanzia nella mera riproduzione del relativo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, nonché dell’atto di citazione e del motivo di appello

concernenti detta questione, che vengono riproposti in violazione dei principi ricordati sub 4;

– l’ottavo motivo – con il quale si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto non meglio specificate perché, a parere dei ricorrenti, la Corte di appello, una volta respinta la eccezione di inammissibilità dell’atto di appello proposta dalla banca, avrebbe dovuto compensare le spese di lite e non porle interamente a loro carico – è inammissibile perché non coglie e non censura la ratio decidendi, fondata sul principio della soccombenza nel merito di essi ricorrenti, sia in primo che in secondo grado.

6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00, oltre Euro 100,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

 

 

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