Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6001 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 04/03/2020), n.6001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 83/2019 R.G. proposto da:

B.A., rappresentata e difesa dall’avv. Fulvio Ferlito, con

domicilio eletto in Roma, alla Via Duilio n. 13, presso l’avv.

Massimo Boggia.

– ricorrente –

contro

BA.MI., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Baccetti, con

domicilio in Firenze, via della Cernaia n. 102.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1186/2018,

depositata in data 28.5.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

4.12.2019 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata in data 10.2.2000, Ba.Mi. ha dedotto di aver svolto lavori di manutenzione su incarico del B. e che, insorte contestazioni tra le parti, era stato svolto un accertamento tecnico preventivo, da cui era emerso un suo credito insoluto. Ha chiesto di condannare il convenuto al pagamento del compenso, oltre al risarcimento del danno, pari all’interesse passivo annuo del 13%. Il convenuto ha contestato la domanda, assumendo che il proprio consulente aveva quantificato in Lire 29.462.617 i costi di eliminazione dei difetti delle opere, eccependo che non erano dovuti gli interessi sul debito. Ha proposto riconvenzionale per il pagamento di Lire 21.195.456, pari alla differenza tra l’importo dei lavori quantificati in sede di accertamento tecnico preventivo e gli anticipi versati, le somme sostenute per l’eliminazione dei vizi, l’importo di Lire 20.490.746 dovuto a titolo di penale per il ritardo per l’ultimazione delle opere e Lire 3.974.164 quali spese di c.t.u., oltre al danno provocato dal fatto di non aver potuto beneficiare della detrazione fiscale.

Il tribunale ha accolto la domanda principale, con esclusione del risarcimento del danno ex art. 1224 c.c., respingendo la riconvenzionale.

La pronuncia è stata parzialmente riformata in appello, riguardo alla mancata detrazione degli acconti, confermando, nel resto la condanna.

La sentenza di appello è stata cassata per vizio di motivazione con sentenza n. 26259/2013, poichè “il giudice non aveva spiegato perchè si fosse distaccato dalle conclusioni della c.t.u. svolta in appello, che aveva determinato un corrispettivo inferiore a quello quantificato dal consulente di primo grado”.

All’esito il giudice del rinvio ha condannato il B. al pagamento di Euro 29.556,18 oltre accessori, ha respinto la riconvenzionale e ha regolato le spese.

In particolare, la Corte distrettuale ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., il giudice deve pronunciare nei limiti della domanda e che, nello specifico, doveva aversi riguardo ai soli motivi di appello che, però, non riguardavano “la richiesta dell’appellante di determinare il corrispettivo dell’appalto in misura inferiore a quello determinato dal tribunale, avendo questi chiesto solo che le domande fossero respinte e di dichiarare che nulla era dovuto all’appaltatore, essendo il corrispettivo fissato a corpo e non a misura, affermandosi creditore di Euro 10.946,53”.

Ha inoltre osservato che “nessuna domanda di accertamento e di condanna aveva svolto il B. con riguardo alle somme accertate dalla consulenza di secondo grado, ma si era limitato a contestare, con i propri scritti difensivi, le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. con riguardo all’ammontare della spesa necessaria per l’eliminazione dei vizi dell’opera e alla penale da conteggiare per il ritardo nell’esecuzione dei lavori appaltati”, ritenendo che della consulenza svolta in appello non potesse tenersi conto.

Per la cassazione di questa sentenza B.A. ha proposto ricorso in quattro motivi.

Ba.Mi. ha proposto controricorso ed ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 384c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che la pronuncia di legittimità aveva cassato quella di appello, censurando, sul piano della motivazione, la “mancata considerazione della minor quantificazione dei lavori al quale era pervenuto il c. t. u. designato in appello, che, se utilizzata come dato di partenza, avrebbe condotto alla determinazione di un residuo debito certamente inferiore”.

Di conseguenza, la questione era stata sollevata in appello e il giudice del rinvio era tenuto a valutarla, non potendo ritenere che il ricorrente non avesse chiesto di ridurre il corrispettivo dell’appalto. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la pronuncia di legittimità aveva implicitamente ritenuto che la questione concernente la quantificazione di un minor compenso dell’appaltatore fosse stata ritualmente proposta, essendosi formato sul punto il giudicato interno.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il giudice, con motivazione del tutto apparente, ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale di pagamento della differenze pretese dal committente, trascurando che la pronuncia di cassazione non aveva rilevato il difetto di motivazione solo con riferimento alla quantificazione del corrispettivo, ma – più genericamente – con riguardo all’omessa valutazione dei risultati della seconda consulenza, che aveva quantificato le somme necessarie per eliminare i difetti delle opere, dovendosi altresì considerare che la Corte d’appello non aveva dichiarato inammissibile la riconvenzionale ma l’aveva ritenuta assorbita sulla base del conteggio effettuato dal primo consulente.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., i ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza omesso di pronunciare sulla domanda di restituzione, non considerando che il ricorrente aveva già versato Euro 29.566,18, somma di cui non poteva esser disposta nuovamente la condanna.

2. I primi due motivi, che, per la loro stretta connessione, esaminati congiuntamente, sono fondati.

La sentenza impugnata ha, come si è detto, ritenuto che il B. non avesse inteso ottenere la riduzione del corrispettivo richiesto dall’appaltatore, sostenendo che la pronuncia di legittimità si era limitata a censurare la sentenza di appello solo in ordine alla mancata considerazione della seconda consulenza svolta in appello. Deve in contrario osservarsi che il primo ricorso in cassazione aveva censurato, con un’unica doglianza, il vizio di carenza di motivazione della sentenza impugnata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – in relazione alla quantificazione del corrispettivo dell’appalto ed all’errata determinazione dell’importo dovuto da esso B. (cfr. sentenza n. 26259/2013, pag. 3).

Ha osservato questa Corte che “con tale censura, il ricorrente aveva inteso evidenziare che la Corte di appello toscana, omettendo di motivare in ordine alla scelta di considerare il corrispettivo dell’appalto sulla base della relazione tecnica depositata dal c.t.u. in primo grado, anzichè sulla scorta della relazione depositata dal c.t.u. in secondo grado, aveva tralasciato di esaminare il secondo ed il terzo motivo di appello, con la conseguenza che esso ricorrente si era ritrovato ad essere condannato, ingiustificatamente, al pagamento della maggior somma di Euro 29.566,18, oltre iva ed interessi legali, dalla data di costituzione in mora, in luogo della somma di Euro 8.736,46, che sarebbe stata dovuta sulla base della ricostruzione operata dal c.t.u. nominato in grado di appello (cfr. sentenza n. 26259/2013, pag. 4).

La pronuncia di legittimità, accogliendo il ricorso, ha osservato che la scelta di valorizzare la prima c.t.u. integrava il dedotto vizio di motivazione, poichè “a fronte di inequivoche contestazioni emergenti dall’atto di appello e delle diverse conclusioni alle quali era pervenuto il c.t.u. designato in appello dalla stessa Corte territoriale (proprio al fine di rivisitare il complessivo rapporto contrattuale intercorso tra le parti, con particolare riferimento all’individuazione delle opere effettivamente eseguite dall’appaltatore e, quindi, alla determinazione del relativo corrispettivo dovuto dal committente), il medesimo giudice di secondo grado non aveva idoneamente giustificato il “decisum” adottato con la sentenza di appello, omettendo di spiegare le ragioni per le quali si è discostato dalle conclusioni raggiunte dall’ausiliario nominato in sede di gravame, della cui attività aveva, invece, tenuto conto nel ripercorrere la vicenda processuale”.

E’ quindi evidente che l’appello, respinto dalla Corte distrettuale, verteva proprio sull’errata quantificazione del corrispettivo, in un importo pari ad Euro 29.566,18, in luogo di Euro 8.736,46, determinato dal c.t.u. nominato in grado di appello.

Una tale pronuncia implicava l’avvenuta proposizione e la ammissibilità della richiesta di riduzione del prezzo dell’appalto, per cui il giudice del rinvio, opinando diversamente, ha erroneamente disatteso il dictum di legittimità, incorrendo nella violazione denunciata.

3. Il terzo motivo è infondato, poichè la sentenza di legittimità ha evidenziato che il ricorrente aveva sostenuto – in sede di legittimità – di esser tenuto al pagamento della minor somma di Euro 8736,46 (cfr. sentenza, pag. 4, par. I), senza dunque riproporre la riconvenzionale di condanna dell’appaltatore al pagamento del controcredito eventualmente risultante dalla regolazione dei reciproci rapporti di dare ed avere, il che impediva di riesaminare detta riconvenzionale per intervenuto giudicato interno, dovendo tuttavia osservarsi che detta statuizione non esonerava il giudice dall’obbligo di tener conto delle spese di eliminazione dei difetti – pari ad Euro 3098,74 – eventualmente scomputandole dal maggior credito vantato dall’appaltatore, trattandosi di regolare i reciproci rapporti di dare ed avere e di stabilire se effettivamente residuasse – all’esito – un credito a vantaggio dell’appaltatore, la cui quantificazione doveva operarsi anche d’ufficio, senza che fosse necessaria l’eccezione di parte o la proposizione di una domanda riconvenzionale (Cass. 23539/2011; Cass. 17390/2007).

4. Il quarto motivo è assorbito, dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova quantificazione del dovuto ed esaminare anche la domanda di restituzione.

Sono quindi accolti il primo e secondo motivo di ricorso, è respinto il terzo ed è assorbito il quarto.

La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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