Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6000 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. un., 04/03/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 04/03/2021), n.6000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22333/2019 proposto da:

LAZIO INNOVA S.P.A., (già Sviluppo Lazio s.p.a.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato

GIANCARLO PAGLIETTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

LA.MA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA 57, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO DE PERSIS, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4460/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/06/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/01/2021 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, il quale conclude per il rigetto dei primi due

motivi del ricorso proposto da Lazio Innova s.p.a., assorbito il

quarto e dichiarato inammissibile il terzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – LA.MA. S.r.l. ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Latina, nei confronti dell’allora Sviluppo Lazio S.p.A., oggi Lazio Innova S.p.A., decreto ingiuntivo di pagamento dell’importo di Euro 70.000,00, oltre accessori, quale saldo di un contributo regionale per investimenti di imprese artigiane e piccole imprese, Delib. Presidente Giunta Regionale 16 dicembre 2003.

2. – Sviluppo Lazio S.p.A. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo ed ha chiesto in riconvenzionale la restituzione dell’anticipo sul finanziamento, già corrisposto nella misura di Euro 30.000,00, formulando, per quanto rileva, eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore del giudice amministrativo, ed adducendo l’insussistenza, in capo a LA.MA. S.r.l., dei requisiti per la partecipazione al bando all’esito del quale il contributo era stato riconosciuto.

3. – Nel contraddittorio con LA.MA. S.r.l. il giudice adito ha respinto l’opposizione e la riconvenzionale ed accolto la domanda della società opposta di condanna di Sviluppo Lazio S.p.A. al risarcimento del maggior danno di cui dell’art. 1224 c.c., comma 3, oltre spese.

4. – Contro la sentenza Lazio Innova S.p.A. ha proposto appello, cui LA.MA. S.r.l. ha resistito e che la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 27 giugno 2018, ha respinto, regolando conseguentemente le spese di lite.

Ha osservato la Corte d’appello:

-) che, in materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo riflette la distinzione tra la fase procedimentale di valutazione della domanda di concessione del contributo, nella quale la posizione del richiedente è di interesse legittimo, e quella successiva di erogazione del contributo riconosciuto, nella quale la posizione del richiedente è invece di diritto soggettivo, concernendo l’esecuzione del rapporto di sovvenzione la verifica dell’adempimento degli obblighi gravanti sul beneficiario;

-) che, pertanto, nel caso di specie, sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario, vertendo la controversia sulla concreta erogazione della somma come già deliberata;

-) che LA.MA. S.r.l., contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, aveva la disponibilità, a titolo di locazione, di un immobile da destinare all’attività in vista della quale il contributo era stato riconosciuto, nulla rilevando che detto immobile fosse stato oggetto di pignoramento e che la locazione, stipulata in veste di locatore dal proprietario esecutato, non risultasse autorizzata dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 560 c.p.c., dal momento che la locazione stipulata in difetto di detta autorizzazione è valida e soltanto inefficace nei confronti del creditore procedente.

5. – Per la cassazione della sentenza Lazio Innova S.p.A. ha proposto ricorso per quattro mezzi illustrati da memoria.

LA.MA. S.r.l. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene quattro motivi.

1.1. – Il primo motivo è svolto sotto la rubrica: “Difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 1 c.p.c., art. 103 Cost. e art. 7 codice del processo amministrativo”.

Secondo la società ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare la sussistenza della giurisprudenza del giudice ordinario, sul rilievo che, in materia di sovvenzioni pubbliche, occorre distinguere tra una prima fase procedimentale volta alla deliberazione in ordine al riconoscimento del contributo ed una seconda fase, avente ad oggetto la sua concreta erogazione, entro la quale la posizione del privato è di diritto soggettivo, con conseguente radicamento della giurisdizione ordinaria. Si sostiene, cioè, che, pur “dopo l’esaurimento della fase di ammissione al contributo pubblico, con conseguente nascita di un diritto soggettivo in capo al beneficiario, la pubblica amministrazione conserva un potere di autotutela, in molti casi doverosa, espressione del principio di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa”, autotutela a fronte della quale il privato ricoprirebbe una posizione di interesse legittimo, con quanto ne consegue in termini di riparto della giurisdizione.

E, in particolare, nel caso in esame, Sviluppo Lazio S.p.A., dopo la concessione del contributo, avrebbe rilevato:

a) la mancanza della disponibilità di un immobile destinato allo svolgimento dell’attività ammessa al contributo medesimo;

b) il “difetto del requisito della non inclusione, tra le spese previste dal programma, di quelle per l’acquisizione di beni di proprietà, nei 12 mesi antecedenti alla presentazione della domanda, di uno o più soci Titolari o amministratori dell’impresa stessa o dei relativi coniugi, parenti e affini entro il terzo grado, contrariamente a quanto dichiarato dal suo legale rappresentante, sanzionato con la revoca del contributo”;

c) il “difetto del requisito della veridicità delle informazioni e dichiarazioni rese in autocertificazione, sanzionato con la revoca del contributo”.

1.2. – Il secondo motivo è articolato in due parti, precedute dalla rubrica: “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in spregio agli artt. 1362,1363 c.c., art. 97 Cost. e D.P.R. n. 487 del 1994 e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento al diritto di LA.MA S.r.l. ad ottenere l’erogazione del contributo regionale di cui al Decreto Ingiuntivo n. 547 del 2006”.

La successiva articolazione delle censure è preceduta da due ulteriori rubriche.

La prima è la seguente: “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in spregio agli artt. 1362,1363 c.c. e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento al contenuto del requisito della disponibilità dell’immobile”.

Si sostiene, qui, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che la validità del contratto in forza del quale LA.MA. S.r.l. aveva la disponibilità dell’immobile da destinare all’attività ammessa al finanziamento, in base all’assunto secondo cui la locazione dell’immobile pignorato, stipulata in mancanza dell’autorizzazione di cui all’art. 560 c.p.c., sarebbe valida e soltanto inopponibile al creditore procedente, giacchè il bando di gara in forza del quale l’istante aveva ottenuto il contributo affermava che “la disponibilità deve essere intesa nel senso della piena è legittima disponibilità erga omnes, perchè altrimenti vi sarebbe la possibilità di concedere il beneficio a soggetto che non utilizzerà il programma per il quale ha conseguito il beneficio stesso”. La censura si specifica in ciò, che: “Il difetto di autorizzazione, condizionando il potere di disposizione del debitore pignorato, provoca l’invalidità del contratto, stipulato contro il divieto espresso dell’art. 560 c.p.c. e, di conseguenza, la sua inopponibilità al terzo acquirente dell’immobile, al creditore pignorante e ai creditori intervenuti nell’esecuzione”.

La seconda è la seguente: “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in spregio agli artt. 1362,1363 c.c., art. 97 Cost. e D.P.R. n. 487 del 1994 e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla necessità della sussistenza al momento della domanda di contributo del requisito della disponibilità dell’immobile”.

Si sostiene qui che la motivazione della Corte d’appello sarebbe “censurabile anche perchè ha omesso di considerare alcune disposizioni del bando pubblico e dell’atto di impegno invocate da Lazio Innova S.p.A.”, disposizioni dalle quali si desume “che la disponibilità deve sussistere al momento della domanda del contributo”, sicchè sarebbe “irrilevante il successivo acquisto all’asta, come si è verificato nella fattispecie de qua”.

1.3. – Il terzo motivo è svolto in via consequenziale ai due precedenti e denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva accolto la domanda spiegata da LA.MA. S.r.l. di risarcimento del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c..

1.4. – Il quarto motivo è anch’esso svolto in via consequenziale ai primi due, ed è riferito al rigetto della domanda di Lazio Innova S.p.A. di restituzione della somma di Euro 30.000,00 erogata a titolo di acconto.

2. – Il ricorso va respinto.

2.1. – Il primo motivo è infondato.

2.1.1. – La situazione giuridica soggettiva di chi ambisce ad ottenere finanziamenti o sovvenzioni pubbliche, nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, si presenta nei termini che seguono (v. Cass., Sez. Un., 3 aprile 2003, n. 5170; Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2003, n. 14623; Cass., Sez. Un., 1 dicembre 2009, n. 25261; Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2010, n. 25398; Cass., Sez. Un., 17 febbraio 2016, n. 3057; Cass., Sez. Un., 18 settembre 2017, n. 21549; Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2018, n. 4359; Cass., Sez. Un., 27 giugno 2018, n. 16960; Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18241; Cass., Sez. Un., 23 novembre 2018, n. 30418; Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2019, n. 3166):

a) ogni qual volta la norma che prevede finanziamenti o sovvenzioni affida all’amministrazione un apprezzamento discrezionale in ordine all’erogazione del contributo, l’aspirante è titolare di una posizione di interesse legittimo, che tale rimane lungo tutta la fase del procedimento culminante con l’attribuzione del beneficio, sicchè le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo;

b) una volta che il procedimento si sia concluso con il provvedimento di attribuzione del contributo, il destinatario di esso è titolare, a seconda dei casi, di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo;

b1) la posizione è di diritto soggettivo, tutelabile davanti al giudice ordinario, ove si controverta della concreta erogazione del contributo ormai deliberato, ma non corrisposto, sia che l’amministrazione ometta di corrisponderlo per mera inerzia, sia che l’amministrazione intenda far valere la perdita del contributo a cagione dell’inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi cui la legge o il provvedimento subordinano l’elargizione;

b2) la posizione è di interesse legittimo, tutelabile davanti al giudice amministrativo, ove si controverta ancora della erogazione del contributo, quantunque ormai deliberato, se la mancata erogazione sia il frutto dell’esercizio di poteri di autotutela dell’amministrazione, la quale intenda annullare il provvedimento stesso per vizi di legittimità da cui sia affetto o revocarlo per contrasto originario con l’interesse pubblico.

In breve:

i) è attribuita alla cognizione del giudice ordinario ogni fattispecie che attenga alla revoca della già concessa agevolazione per ragioni non attinenti a vizi dell’atto amministrativo, alla sua forma, alla sua motivazione, bensì a comportamenti posti in essere dallo stesso beneficiario nella fase attuativa dell’intervento agevolato;

ii) sono attribuite alla cognizione del giudice amministrativo, pur nella fase esecutiva del rapporto di concessione del contributo già deliberato, le controversie, vertenti come tali su interessi legittimi, che abbiano ad oggetto il diniego di erogazione promanante dall’esercizio di poteri di carattere autoritativo (anche se detto esercizio non si sia già tradotto in un provvedimento formale di annullamento o revoca), espressione di autotutela della pubblica amministrazione, sia per vizi di legittimità, sia per contrasto originario con l’interesse pubblico, nel quadro di un congegno che queste Sezioni Unite hanno qualificato in termini di “regressione”, tale da condurre alla riproposizione di un aspetto di ponderazione degli interessi pubblici sottesi.

2.1.2. – Nel caso di specie è pacifica l’esistenza del provvedimento di concessione del contributo con provvedimento del Presidente della Giunta Regionale del 16 dicembre 2003.

In tale frangente, in cui manca, per quanto consta, un provvedimento di annullamento o revoca, il diniego di erogazione del contributo già deliberato, fatto valere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, è motivato dall’indisponibilità, o meglio da una non piena disponibilità, in capo alla beneficiaria, dell’immobile da destinare allo svolgimento dell’attività in funzione della quale il contributo era stato riconosciuto, secondo quanto previsto dal bando, il tutto in collegamento col conseguente difetto del requisito della veridicità delle informazioni e dichiarazioni rese in sede di autocertificazione.

Viceversa, non è comprensibile a cosa, in concreto, la società ricorrente abbia inteso riferirsi nel lamentare il “difetto del requisito della non inclusione, tra le spese previste dal programma, di quelle per l’acquisizione di beni di proprietà, nei 12 mesi antecedenti alla presentazione della domanda, di uno o più soci Titolari o amministratori dell’impresa stessa o dei relativi coniugi, parenti e affini entro il terzo grado, contrariamente a quanto dichiarato dal suo legale rappresentante, sanzionato con la revoca del contributo”: e cioè, non è in alcun modo dato intendere, alla lettura non soltanto del ricorso, ma anche della sentenza impugnata, ove è per di più trascritto il fatto di quella di primo grado, di quali spese la ricorrente vada discorrendo, chi le avrebbe sostenute e quando.

In sostanza, per quanto riesce a comprendersi, la società ricorrente ha addebitato alla beneficiaria del contributo, per un verso, di non avere la piena disponibilità di un immobile, richiesta invece dal bando, e, per l’altro verso, di non avere disvelato tale circostanza ostativa, avendo anzi dichiarato di avere la disponibilità piena dell’immobile.

Si tratta dunque di inosservanze che attengono alla fase esecutiva del rapporto tra finanziatore e finanziato, senza che il diniego di erogazione del contributo si collochi in alcun modo a valle di una nuova discrezionale valutazione comparativa degli interessi pubblici

implicati nel rapporto di finanziamento, nè discenda dall’individuazione di un sopravvenuto interesse pubblico al diniego.

La situazione soggettiva fatta valere dalla società originaria attrice in monitorio è di diritto soggettivo, mentre la convenuta, odierna ricorrente, non possiede alcun margine di discrezionalità nell’apprezzamento dei rilevati inadempimenti.

Tale essendo l’oggetto della controversia, la relativa cognizione spetta al giudice ordinario.

2.2. – Il secondo motivo è inammissibile in entrambi i suoi due profili.

2.2.1. – Quanto al primo profilo, e per quanto attiene al denunciato vizio di violazione di legge, l’inammissibilità discende da una duplice considerazione:

-) dal difetto di autosufficienza del ricorso, e cioè dall’inosservanza del precetto dettato dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che la ricorrente, nel sostenere che LA.MA. S.r.l. avrebbe violato la previsione dell’art. 7 dell’avviso pubblico e degli artt. 4 e 5, dell’atto di impegno, non ne trascrive, nè ne riassume il contenuto, sicchè non riesce ad intendersi quali fossero gli esatti confini degli obblighi gravanti sulla beneficiaria del contributo, con riguardo alla disponibilità dell’immobile di cui si discute;

-) dalla circostanza che la ricorrente pone a fondamento del ricorso la violazione dei criteri di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e il 1363 c.c., con riguardo ai documenti poc’anzi indicati, ma non indica, in concreto, quali, tra i parametri normativamente previsti, sarebbero stati violati da parte della Corte d’appello e come detta violazione avrebbe avuto luogo (tra le tante Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355).

Per quanto invece attiene al motivo spiegato ai sensi del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., è sufficiente osservare che la censura non indica alcun fatto storico, decisivo e controverso, che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare, il che esime dall’osservare che, se una denuncia di tal fatta fosse stata effettuata, essa sarebbe incorsa nella previsione di inammissibilità dettata dall’art. 348 ter c.p.c., u.c., versandosi in ipotesi di “doppia conforme”.

2.2.2. – Quanto al secondo profilo, il motivo è inammissibile per la sua novità.

Nella sentenza impugnata, difatti, non vi accenno alcuno all’assunto secondo cui la disponibilità dell’immobile da destinare all’attività avrebbe dovuto sussistere – secondo quanto sembra comprendersi dalla lettura del ricorso – già al momento della presentazione della domanda volta ad ottenere il contributo: e, per la verità, a detta questione non si accenna affatto neppure nella sentenza di primo grado.

Nè il ricorso spiega dove e come esattamente la questione sarebbe stata sollevata e, non essendo stata esaminata dal giudice di primo grado, fatta valere in appello.

Sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

Inoltre, anche questa parte del motivo è inammissibile, come la parte precedente, sia perchè non autosufficiente, sia perchè non indica uno specifico fatto storico decisivo e controverso, sia per “doppia conforme”.

2.3. – Il terzo e quarto motivo non sono in effetti tali, ma sono “non motivi” con i quali la ricorrente ha semplicemente riproposto argomenti di merito volti a sostenere che il giudice di merito avrebbe in definitiva errato nell’accogliere la domanda di LA.MA. S.r.l. e respingere quella di Lazio Innova S.p.A..

3. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

 

 

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