Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5994 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 04/03/2020), n.5994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29911-2017 proposto da:

G.S., G.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN

CANDIDO DI GIOIA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato SANDRO BONELLI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.L., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

ALIBRANDI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1799/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dai ricorrenti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

M.L., nella qualità di titolare della ditta individuale Ellemme, premettendo di essere creditrice della somma di Euro 26.926,75, giusta sentenze passate in cosa giudicata, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Pistoia i fratelli G.S. e G.L. al fine di essere autorizzata ad accettare ex art. 524 c.c. l’eredità dei genitori dei convenuti, G.G. e A.I., alla quale avevano rinunciato.

Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale con la sentenza n. 781/2010 accoglieva la domanda, autorizzando l’attrice ad accettare le dette eredità sino alla concorrenza della indicata somma.

Rilevava il giudice di prime cure che era pacifica la qualità di creditrice dell’attrice, sicchè non poteva dubitarsi della natura pregiudizievole della rinuncia posta in essere dai germani G., la quale aveva reso più incerto o difficile il soddisfacimento del credito dell’istante.

La Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 1799 del 7 novembre 2016 ha rigettato l’appello dei G..

Dopo avere disatteso il motivo di gravame con il quale si deduceva la necessità di evocare in giudizio anche l’ulteriore chiamato che aveva poi accettato l’eredità, trattandosi di affermazione smentita dalla giurisprudenza di legittimità, quanto al secondo motivo, che invece lamentava la violazione del principio dell’onere della prova, i giudici di appello osservavano che il Tribunale aveva correttamente valutato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda poichè aveva ritenuto che “a) l’autorizzazione alla accettazione dell’eredità deve essere concessa qualora la rinuncia renda semplicemente più incerto o difficile il soddisfacimento del credito; b) spetta al convenuto che eccepisca la mancanza dell’eventus damni provare l’insussistenza del predetto rischio in ragione di ampie residualità patrimoniali”.

Gli appellanti non avevano offerto alcuna prova circa l’esistenza di altre componenti mobiliari o immobiliari suscettibili di essere aggredite da parte della creditrice, essendo loro onere dimostrare che il loro patrimonio, nonostante l’atto di rinuncia, aveva conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni della creditrice.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso G.L. e G.S. sulla base di un motivo, cui resiste l’intimata con controricorso.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 524 c.c. in relazione all’art. 2697 c.c..

Si sostiene che ai fini della prova dell’eventus damni era la creditrice a dover dimostrare anche la consistenza del patrimonio dei debitori, il che non era stato fatto, non avendo l’attrice allegato una relazione tecnica attestante tale circostanza nè potendosi a tal fine trarre argomenti dal solo fatto che alcuni pignoramenti non avevano avuto esito positivo, in quanto la causa di ciò era individuabile nella circostanza che i domicili dei debitori erano sempre stati rinvenuti chiusi.

L’affermazione della Corte d’Appello ha quindi indebitamente invertito l’onere della prova avendo richiesto erroneamente che fossero gli stessi debitori a dover dimostrare la capienza dei propri beni rispetto alle ragioni dell’attrice, anche a seguito dell’intervenuta rinuncia all’eredità.

Il motivo è infondato.

Ritiene il Collegio che i giudici di merito abbiano correttamente applicato il principio dell’onere della prova, onerando per l’appunto i debitori di dimostrare, nonostante la rinuncia all’eredità, la capienza del loro patrimonio al fine di fare fronte alla pretesa creditoria dell’attrice.

Al riguardo deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, e con specifico riguardo all’azione di cui all’art. 524 c.c. (cfr. Cass. n. 8519/2016), per l’impugnazione della rinunzia ereditaria ai sensi dell’art. 524 c.c., è richiesto il solo presupposto oggettivo del prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell’esercizio dell’azione, fondate ragioni facciano apparire i beni personali del rinunziante insufficienti a soddisfare del tutto i suoi creditori. Nel passato si è poi precisato che (Cass. n. 2394/1974) la norma richiede un unico presupposto di carattere oggettivo, ossia che la rinunzia all’eredità da parte del debitore importi un danno per i suoi creditori, in quanto il suo patrimonio personale non basti a soddisfarli e l’eredità dimostri un attivo, aggiungendosi che basta che al momento della proposizione dell’azione di cui all’art. 524 c.c. il danno sia sicuramente prevedibile, nel senso che ricorrano fondate ragioni per ritenere che i beni personali del debitore possano non risultare sufficienti per soddisfare del tutto i suoi creditori.

Tornando al caso in esame, per stessa ammissione dei ricorrenti, l’eredità alle quali hanno rinunciato presentavano un attivo (cfr. pag. 6 del ricorso, ove si riconosce l’esistenza di immobili caduti in successione, contestandosi però che il loro valore fosse in grado di tacitare appieno il credito della controricorrente), sicchè deve reputarsi alla luce di quanto sopra esposto che risulti riscontrato il presupposto oggettivo al quale la norma subordina l’azione di cui all’art. 524 c.c..

Quanto poi in merito alla concreta operatività del riparto dell’onere della prova, reputa il Collegio che possa farsi richiamo ai principi espressi da questa stessa Corte in ordine all’azione revocatoria (con la quale quella in esame, pur distinguendosi sotto il profilo operativo e strutturale, mantiene evidenti affinità, trattandosi sempre di strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, volto a reagire contro atti del debitore pregiudizievoli delle ragioni creditorie) secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 19207/2018), una volta dimostrato il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. “eventus damni”), che ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (onere probatorio che incombe sul creditore) è invece onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (conf. Cass. n. 1902/2015; Cass. n. 11471/2003).

Tornando al caso in esame, ne discende dall’applicazione di detti principi, che una volta dimostrata l’idoneità della rinuncia a pregiudicare le ragioni dei creditori, i quali non possono fare affidamento anche sulle componenti patrimoniali che sarebbero pervenute ai debitori ove avessero accettato l’eredità, correttamente è stato richiesto a questi ultimi di dimostrare che in realtà il loro patrimonio, nonostante la rinuncia, fosse in grado di soddisfare il diritto di credito vantato dall’attrice.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 marzo 2020

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