Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5991 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 04/03/2020), n.5991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28812-2017 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LEONE IV,

38, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA CAU, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO SALUTINI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA LA ROCCA

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 632/2017 del GIUDICE DI PACE di LIVORNO;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto dinanzi al Giudice di Pace di Livorno, F.F. opponeva il decreto ingiuntivo con cui P.S. gli aveva intimato di pagare la somma di Euro 365,60, per l’attività professionale svolta a suo favore.

L’opponente deduceva di aver già provveduto a corrispondere quanto dovuto, dal momento che in data 8 settembre 2016 aveva effettuato un bonifico a favore dell’opposta pari a Euro 1.613,60 (IVA inclusa), preceduto da un acconto di Euro 1.000,00 (IVA inclusa) versato nel 2013, risultante dalla nota spese a firma dell’Avv. P. del 7 marzo 2016, nonchè dal verbale della riunione del 17 maggio 2016 dinanzi all’Ordine degli Avvocati di Livorno. La somma di Euro 2613,60 complessivamente versata coincideva con l’importo liquidato dall’Ordine, e pertanto nulla era ancora dovuto alla P..

P.S. si costituiva in giudizio chiedendo in via preliminare l’inammissibilità dell’opposizione, in quanto la competenza della causa spettava al Tribunale di Livorno, essendo il credito professionale maturato dinanzi a tale Ufficio; inoltre riteneva che, avendo l’opponente contestato l’an, e non il quantum, la controversia non presentasse i caratteri di semplificazione della trattazione o istruzione che giustificavano l’introduzione di un rito sommario di cognizione.

Nel merito affermava che non era intercorso alcun accordo tra le parti in ordine alla fissazione del compenso, ragion per cui, dopo aver ridotto la sua pretesa a Euro 1.500,00 oltre imposte di legge, con notula 5/2016 trasmessa all’opponente, aveva già detratto l’acconto di Euro 1.000,00 versato dall’ex cliente, come confermato dal parere di congruità del Consiglio dell’Ordine; chiedeva dunque il rigetto dell’opposizione perchè infondata in fatto e in diritto.

Il Giudice di Pace di Livorno con sentenza n. 632/2017, dichiarata la propria competenza, decideva nel merito la controversia e dichiarava l’opposizione infondata. Dal momento che mancava la prova dell’esistenza di un accordo tra il cliente e l’avvocato in ordine a un compenso complessivo di soli Euro 2.000,00, la lamentata infondatezza del decreto ingiuntivo si poggiava unicamente sull’affermazione attorea secondo cui, in base alla tassazione dell’Ordine, il compenso complessivo spettante alla P. sarebbe stato di Euro 2.000,00 oltre accessori (in totale, Euro 2,613,60), importo già pagato ante causam dall’opponente.

Il Giudice di Pace non riteneva tale assunto dirimente ai fini della decisione, dal momento che non vi era alcuna certezza sul fatto che la tassazione dell’ordine avesse riguardato l’intero giudizio e non il restante dovuto, atteso anche che in sede di conciliazione era stata chiesta la tassazione del solo importo di Euro 1.500,00 al netto dell’acconto ricevuto.

Infine riteneva la somma chiesta dalla P., complessivamente pari Euro 2.903,20 (e dalla quale andavano detratti gli acconti versati), del tutto congrua rispetto all’attività professionale svolta dalla stessa.

Rigettata l’opposizione, il giudice condannava F.F. al pagamento delle spese, liquidate in complessivi Euro 400,00 per competenze, oltre al 15% per rimborso spese generali e oneri di legge.

Avverso la pronuncia del Giudice di Pace propone ricorso F.F. sulla base di tre motivi di ricorso, ai quali resiste con controricorso P.S..

Con il primo motivo di ricorso si contesta la “violazione della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 9, – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”

Il Giudice di Pace, rigettando l’opposizione sulla base del fatto che non vi sarebbe alcuna certezza che la tassazione dell’Ordine degli Avvocati abbia riguardato l’intero giudizio, ha omesso di applicare la norma di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 9, secondo cui il parere di congruità rilasciato dall’ordine riguardi il compenso per l’opera prestata, da intendersi sempre al lordo di eventuali acconti già corrisposti. D’altra parte sarebbe la stessa disposizione normativa in base alla quale l’odierno ricorrente promosse il tentativo di conciliazione innanzi al Consiglio dell’Ordine a prevedere che la tassazione abbia riguardo al compenso per l’intera attività svolta dal professionista.

L’incertezza richiamata dal giudice di prime cure dimostra come egli non abbia applicato la norma in questione, che avrebbe dimostrato come tale certezza fosse pienamente sussistente, e che la richiesta di tassazione al netto dell’acconto ricevuto formulata da controparte era frutto di un errore. Ne deriva quindi che il ricorrente aveva saldato integralmente il suo debito prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.

Col secondo motivo di ricorso lamenta un omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il Giudice di Pace avrebbe rigettato l’opposizione in quanto mancherebbero elementi certi volti a stabilire che la tassazione dell’Ordine degli Avvocati di Livorno abbia riguardato l’intero giudizio. La decisione gravata, oltre a violare la disposizione censurata col primo motivo, avrebbe omesso di esaminare una circostanza decisiva ai fini del giudizio, rappresentata dal fatto che l’Ordine professionale non avrebbe liquidato la somma richiesta dalla P., pari a Euro 1.500,00 già al netto dell’acconto di Euro 1.000,00, bensì quella maggiore di Euro 2.000 da intendersi però al lordo di eventuali acconti versati. Tenendo conto di tale circostanza, il giudice di prime cure avrebbe dovuto ritenere certo l’ammontare del credito oggetto di causa. In realtà la liquidazione da parte del Consiglio dell’Ordine di una somma maggiore di quella richiesta, avrebbe dovuto suggerire al giudice che ciò era stato fatto perchè la tassazione era stata effettuata avuto riguardo all’ammontare complessivo delle spettanze professionali, e non anche a quanto residuato per effetto degli acconti versati.

Col terzo motivo di ricorso si censura la “violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 4, e art. 82 c.p.c., comma 1, – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il Giudice di Pace, quantificando le spese in complessivi Euro 400,00 per competenze, oltre al 1 5 % per rimborso spese generali e oneri di legge, e considerando che il valore del decreto ingiuntivo opposto era pari a Euro 365,60, avrebbe violato apertamente il combinato disposto dell’art. 91 c.p.c., comma 4 e art. 82 c.p.c., comma 1.

I motivi di ricorso sono inammissibili.

Rileva il Collegio che la sentenza del giudice di pace oggetto di gravame è stata pronunciata a fronte di una domanda di pagamento per l’importo di Euro 365,60, rientrante quindi nella previsione di cui all’art. 113 c.p.c., che impone la decisione secondo equità.

Rileva altresì che correttamente la parte ha inteso proporre ricorso per cassazione, anzichè appello, alla luce della disposizione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 che prevede la non appellabilità del provvedimento che, ancorchè nella specie adottato nella forma di sentenza, abbia deciso sulla domanda di pagamento di prestazioni professionali dell’avvocato in sede giudiziale civile.

Tuttavia, sebbene a seguito della riforma di cui alla L. n. 40 del 2006 sia stata prevista per l’appello avverso le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità (e quindi non più ricorribili, come invece in epoca anteriore alla novella) la proposizione di un gravame a motivi limitati secondo il tenore letterale dell’art. 339 c.p.c., u.c., laddove eccezionalmente sia prevista la sola ricorribilità ex art. 111 Cost. della decisione pronunciata secondo equità da parte del giudice di pace, deve ritenersi che torni in vigore la regola reiteratamente affermata da questa Corte che imponeva anche per il ricorso in cassazione una limitazione nella formulazione dei relativi motivi.

Infatti, va ricordato che contro le sentenze del giudice di pace in cause di valore non superiore ad Euro 1.100,00, e perciò da decidere secondo equità, il ricorso per cassazione è stato ammesso (fino alla novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006) solo per il mancato rispetto delle regole processuali, per violazione di norme costituzionali e comunitarie (in quanto di rango superiore alla legge ordinaria), ovvero per violazione dei principi informatori della materia, e per carenza assoluta o mera apparenza della motivazione o di radicale ed insanabile contraddittorietà, non essendo invece ammissibile il ricorso per violazione o falsa applicazione di legge, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (Cass. sez. un. 15 ottobre 1999, n. 716, coordinata con la sentenza additiva della Corte Cost. 14 luglio 2004, n. 206, nonchè ex multis Cass. S.U. n. 10624/2003).

Ne discende che ai fini dell’ammissibilità del ricorso laddove si deducano errores in iudicando, come avvenuto nella fattispecie, ai fini dell’ammissibilità del ricorso i motivi stessi debbano appunto denunciare il mancato rispetto delle regole processuali, per violazione di norme costituzionali e comunitarie (in quanto di rango superiore alla legge ordinaria), ovvero per violazione dei principi informatori della materia, e per carenza assoluta o mera apparenza della motivazione o di radicale ed insanabile contraddittorietà, non essendo invece ammissibile il ricorso per violazione o falsa applicazione di legge.

Ne scaturisce l’inammissibilità di tutti i motivi qui proposti che non rispondono ai requisiti imposti dalla specificità dell’impugnazione di una pronuncia di equità del giudice di pace, non potendosi nemmeno reputare che il vizio di omessa disamina di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia in grado di attingere la motivazione della decisione, alla luce proprio di quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, nei precedenti sopra richiamati (cfr. Cass. n. 17437/2011, quanto alla censura che investa la valutazione delle prove da parte del giudice di pace).

Nè del pari può ritenersi che la dedotta violazione dell’art. 91 c.p.c., u.c., quanto al contenimento della condanna alle spese nei limiti del valore della causa sia idonea a veicolare la violazione di norma processuale, essendosi invece affermato che (Cass. n. 5065/2009; Cass. n. 16749/2005), quando il giudice di pace abbia pronunciato la propria sentenza secondo equità, nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, avverso tale decisione è inammissibile il ricorso per cassazione col quale si denunci l’erronea quantificazione delle spese di lite, in violazione delle tariffe fissate dal Consiglio Nazionale Forense ovvero dei massimi tariffari (ancorchè nel caso di specie derivanti dalla stessa legge), in quanto tale censura si fonda sulla violazione non di una norma processuale, ma di una norma sostanziale e priva di rilievo costituzionale o comunitario, come tale derogabile nei giudizi secondo equità.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 255,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 marzo 2020

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