Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5980 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 23/02/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 23/02/2022), n.5980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12314-2016 proposto da:

C.F.A., domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 32,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARNUCCIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1013/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 16/11/2015 R.G.N. 1202/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 1013/2015, pubblicata il 16 novembre 2015, confermava la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da C.F.A., dipendente del Ministero del Lavoro, volta ad ottenere il pagamento della complessiva somma di Euro 200.658,95, richiesta a titolo di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente per difendersi nel processo penale per i reati di abuso d’ufficio e falso, per aver avviato al lavoro braccianti agricoli non aventi diritto al fine di ottenere in cambio il voto alle elezioni comunali in cui si era candidato come sindaco, conclusosi con sentenza di non luogo a procedere n. 92/1999 del GUP del Tribunale di Locri del 2/6/1999 e con sentenza di assoluzione n. 153 del Tribunale di Locri del 26/7-23/10/2006;

2. la Corte territoriale riteneva che la lettera della norma fosse chiara e priva di equivoci laddove prevede il ‘rimborsò delle spese legali sostenute dal dipendente relative al procedimento penale subito, salva la facoltà discrezionale della PA di concedere anticipazioni del rimborso, previo parere dell’Avvocatura dello Stato (L. n. 67 del 1997, art. 18);

assumeva che in assenza di fatture o di altre prove sull’effettivo esborso delle somme da parte del dipendente pubblico sottoposto a procedimento penale non potesse essere accolta la proposta domanda di rimborso, spettando allo stesso dipendente la dimostrazione in giudizio dell’avvenuto pagamento delle spese legali sostenute a tale titolo;

3. ricorre per la cassazione della sentenza C.F.A. sulla base di due motivi;

4. il Ministero del Lavoro ha resistito con regolare controricorso;

5. il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 67 del 1997, art. 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

censura la sentenza impugnata per aver offerto un’interpretazione errata della L. n. 67 del 1997, art. 18, in quanto il Giudice territoriale ha considerato necessaria la prova dell’effettivo pagamento delle spese legali ai fini del rimborso delle stesse da parte della PA;

sostiene che, difatti, tale norma non prevede altri elementi costitutivi se non quello dell’esistenza di un procedimento di responsabilità (civile, penale, ammnistrativa) a carico del dipendente per fatti connessi all’espletamento dell’attività di servizio e/o ad obblighi istituzionali e, come secondo elemento, quello dell’esistenza di una sentenza di esenzione da responsabilità del dipendente;

sostiene che la lettura costituzionalmente orientata del citato art. 18, presuppone un accesso alla norma anche presentando soli ‘progetti di parcellà, in conformità al diritto di parità di trattamento tra cittadini più o meno abbienti;

lamenta la mancata pronuncia della Corte territoriale sull’an debeatur del diritto al rimborso, al fine di riconoscere la mancanza di un conflitto di interessi tra il dipendente e l’amministrazione;

sostiene, altresì, che non può ritenersi necessario il preventivo pagamento del difensore ai sensi del citato art. 18, coerentemente alla funzione svolta dalla stessa norma che ha l’obiettivo di tenere economicamente indenne il dipendente che subisce il procedimento;

2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia;

censura la sentenza impugnata per non aver pronunciato sulla domanda di accertamento dell’esistenza del diritto al rimborso, dedotta in via principale, sulla erronea convinzione che la mancata prova dell’effettivo pagamento fosse assorbente alla pronuncia (anche solo dichiarativa) sul punto;

3. il ricorso, in entrambi i motivi in cui è formulato, è infondato;

3.1. l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720 c.c., comma 2, non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio (v. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cass. 27 settembre 2016, n. 18946; Cass. 4 luglio 2017, n. 16396);

infatti, il legislatore e le parti collettive, nel porre a carico dell’erario una spesa aggiuntiva, hanno dovuto contemperare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti, per ragioni di servizio, in un procedimento penale con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell’amministrazione;

la necessità di realizzare un giusto equilibrio fra detti opposti interessi ha ispirato le varie discipline dettate per ciascun tipo di rapporto e di giudizio (D.P.R. n. 268 del 1987, art. 67, per i dipendenti degli enti locali; D.L. n. 67 del 1997, art. 18, applicabile ai dipendenti statali; D.L. n. 543 del 1996, art. 3, in tema di giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti; le previsioni dei contratti collettivi del personale pubblico contrattualizzato dettate per i differenti comparti), sicché è stato affermato, e va qui ribadito, che in ragione della specificità e della diversità delle normative, si deve escludere che nel settore del lavoro pubblico costituisca principio generale il diritto incondizionato ed assoluto al rimborso delle spese legali (Cass. 13 marzo 2009, n. 6227);

3.2. non e’, infatti, sufficiente che il dipendente sia stato sottoposto a procedimento per fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni e sia stata accertata l’assenza di responsabilità, dovendo essere di volta in volta verificata anche la ricorrenza delle ulteriori condizioni alle quali è stato subordinato dal legislatore o dalle parti collettive il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute (per quanto rileva nel presente giudizio il D.L. n. 67 del 1997, art. 18, conv. con modif. nella L. n. 135 del 1997, prevede che: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”);

3.3. come da questa Corte già più volte affermato l’obbligo legale di cui al citato art. 18, è certamente subordinato alla condizione dell’essere i fatti oggetto dell’imputazione connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali, mentre lo stesso non sussiste quando il rapporto di lavoro abbia costituito una mera occasione per la commissione dei fatti imputati al dipendente (Cass. 8 novembre 2018, n. 28597);

e’ stato, altresì, precisato che, in materia di pubblico impiego, il contributo da parte della P.A. alle spese per la difesa del proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, presuppone l’esistenza di uno specifico interesse, ravvisabile ove l’attività sia imputabile alla P.A. – e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico e sussista un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto, atteso che il diritto al rimborso costituisce manifestazione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a tutelare l’interesse personale del dipendente coinvolto nel giudizio nonché l’immagine della P.A. per cui lo stesso abbia agito, e, dall’altro, a riferire al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi agisce per suo conto (Cass. 6 agosto 2018, n. 20561; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2366);

la connessione dei fatti con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti siano riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che necessariamente si ricollegano all’esercizio diligente della pubblica funzione, nonché occorre che vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto;

3.4. del resto, la natura del diritto al rimborso è stata individuata quale espressione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a proteggere l’interesse personale del soggetto coinvolto nel giudizio in uno all’immagine della p.a. per la quale quel soggetto agisce e dall’altro a confermare il principio cardine dell’ordinamento che vuole riferire alla sfera giuridica del titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze derivanti dall’operato di chi agisce per suo conto; non a caso la legittimazione dogmatica del principio attinge alla teoria del mandato (cui commoda et eius incommoda) e trova ancoraggio positivo nella norma dell’art. 1720 c.c., comma 2, secondo cui “il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta. Il mandante deve, inoltre, risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico” che ha portato ad affermare l’esistenza di un principio generale, immanente nel sistema, e di un limite, non meno generale, dato dal fatto che il mandatario abbia pur sempre agito in vantaggio e non in danno del mandante (cfr. Consiglio di Stato 10 dicembre 2013, n. 5919; Consiglio di Stato 7 ottobre 2009, n. 6113);

3.5. i suddetti elementi della imputabilità dell’attività all’Amministrazione e della diretta connessione dell’attività stessa con il fine pubblico erano già palesemente mancanti nella fattispecie in esame in cui – come si evince dalla pag. 2 della sentenza impugnata – veniva contestata al C. (addetto all’Ufficio di collocamento di (OMISSIS)) di avere avviato al lavoro braccianti non aventi diritto al fine di ottenere, in cambio, il volo alle successive elezioni comunali in cui il predetto si era vittoriosamente candidato a Sindaco (infatti era ipotizzato anche il vito di scambio);

si rileva, anzi, dal parere dell’Avvocatura dello Stato di cui alla nota n. 25059 del 29/6/2009, ritualmente trascritto nel contenuto tanto dal ricorrente quanto dal controricorrente e posto a base del diniego di rimborso, che non sussisteva, nello specifico quella ‘

“intraneità” della condotta contestata all’attività istituzionale finalizzata al buon andamento e all’imparzialità della gestione delle funzioni pubblicistiche integrante la condizione legale per accedere al rimborso;

3.6. in tale contesto, l’intervenuta assoluzione in sede penale, ancorché con la formula ‘pienà, non legittima il richiesto rimborso non risolvendo ex post la evidenziata estraneità all’attività istituzionale (se non addirittura un conflitto di interessi), in quanto l’indicata formula non consente di ricondurre alla pubblica Amministrazione e ai suoi fini istituzionali l’attività penalmente rilevante che è stata contestata;

3.7. già questo escludeva, in radice, la possibilità per il C. di accedere al rimborso;

3.8. peraltro, l’inequivoco dato letterale dell’art. 18, e l’utilizzo del termine rimborso non può che presupporre logicamente che vi sia stato l’effettivo esborso delle somme corrisposte per la difesa nel procedimento penale;

e’ necessario, dunque, che le spese di cui si chiede il rimborso siano state effettivamente sopportate;

sul punto, questa Corte (Cass. 30 ottobre 2013, n. 2448) ha chiaramente affermato che il D.L. n. 67 del 1997, art. 18, “richiede la prova del pagamento delle somme di cui si chiede il rimborso” e che “non può dedursi da una possibilità di anticipazione riservata alla valutazione discrezionale della amministrazione la deroga generale al regime probatorio delle spese per le quali si agisce al fine di ottenerne il rimborso che è insito nella natura stessa di rimborso della previsione normativa”;

nella specie, come accertato dalla Corte territoriale, nessuna prova dell’avvenuto pagamento era stata fornita dall’appellante;

4. segue coerente il rigetto del ricorso;

5. la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza;

6. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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