Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5977 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2022, (ud. 28/01/2022, dep. 23/02/2022), n.5977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9590/2012 R.G. proposto da:

INITALY S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa per procura speciale dall’Avv. Cataldo

D’Andria, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, Viale Regina Margherita, nn. 262/264;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Umbria n. 36/04/11, depositata il 21 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 gennaio

2022 dal Consigliere Michele Cataldi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifica fiscale e relativo processo verbale di constatazione, emise avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2005, nei confronti della Initaly s.r.l., società operante nel mercato della produzione di capi di abbigliamento.

In particolare, dal controllo del conto “provvigioni passive” l’Ufficio rilevò l’indebita deduzione di costi relativi a fatture emesse dalla società inglese Wishingform Limited – che riportavano la seguente descrizione delle prestazioni: “commissions for agency services” (provvigioni per prestazioni di agenzia) – a supporto delle quali la società contribuente aveva esibito un contratto, denominato “contratto d’opera”, redatto in lingua italiana e stipulato in data (OMISSIS).

Assumendo che le operazioni previste in contratto non fossero mai state eseguite dalla società inglese, l’Ufficio procedette al recupero a tassazione di maggiore imponibile ai fini Irpeg, Irap ed Iva, recuperando a tassazione l’Iva sulle operazioni inesistenti, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, vigente ratione temporis.

Inoltre l’Ufficio ritenne che la contribuente avesse indebitamente dedotto ammortamenti relativi ad un fabbricato, costituito da un locale catastalmente censito nella classe A/3 (immobile economico destinato ad uso abitativo), di proprietà della stessa società, utilizzato ad uso abitativo dal legale rappresentante della Golden s.r.l., società che si occupava del deposito dei materiali dell’Initaly s.r.l. ed alla quale era stato locato l’adiacente capannone industriale.

La contribuente propose ricorso avverso l’atto impositivo deducendo, come emerge dalla sentenza impugnata, che la società inglese aveva effettivamente eseguito le prestazioni cui si riferivano le fatture oggetto di contestazione e che il rapporto di intermediazione con essa era stato “ereditato” da quello già in corso tra la medesima società inglese e la C. & S. s.r.l., giacché i soci di quest’ultima avevano costituito Initaly s.r.l. al fine di acquisire una commessa con la terza Dresmann s.r.l., ed in tale contesto la contribuente aveva proseguito il rapporto di intermediazione con la Martex s.r.l. e poi con la Wishingform Limited. La ricorrente contestava inoltre il recupero dell’Iva di cui alle fatture per operazioni inesistenti, per difetto del requisito della territorialità, nonché il rilievo dell’indebita deduzione di quote di ammortamento del fabbricato.

La Commissione tributaria provinciale di Perugia respinse il ricorso.

In esito all’appello proposto dalla Initaly s.r.l., la Commissione tributaria regionale dell’Umbria ha confermato la sentenza impugnata, osservando che gli elementi presuntivi offerti dall’Agenzia delle Entrate inducevano a dubitare dell’effettività delle prestazioni e che la contribuente non aveva fornito la prova dell’effettività di queste ultime.

Quanto al recupero dell’Iva versata per le prestazioni ritenute inesistenti, la CTR ha motivato di condividere la tesi dell’Amministrazione finanziaria secondo cui l’imposta era comunque dovuta ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, a fronte delle fatture emesse. Ha inoltre disatteso l’eccezione dell’appellante secondo cui, indipendentemente da ogni altra considerazione, l’Iva non sarebbe stata dovuta per mancanza del requisito della territorialità, essendo l’emittente un soggetto estero. Infatti, secondo la CTR, le prestazioni di cui alle fatture contestate si riferivano ad operazioni di consulenza, da ritenersi effettuate nel territorio dello Stato quando siano rese a soggetti passivi stabiliti all’interno di quest’ultimo, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7-ter. Infine, la CTR ha ritenuto di confermare l’indeducibilità dell’ammortamento dell’immobile de quo, che non costituiva bene strumentale della contribuente, essendo estraneo all’attività produttiva, come confermato dalla sua utilizzazione ad abitazione del legale rappresentante della società che conduceva in locazione il capannone industriale.

Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione Initaly s.r.l. con cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.

La ricorrente ha prodotto memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’asserita omessa pronuncia, da parte della CTR, “sulle verifiche effettuate, successivamente al primo grado di giudizio, dall’Amministrazione finanziaria nei confronti della C.& S. e della Martex s.r.l.”, in quanto da tali verifiche, effettuate nel 2009, emergerebbe che le prestazioni rese dalla Wishingform Limited alla C. & S. sarebbero “oggettivamente esistenti, ma soggettivamente inesistenti” e che la stessa Wishingform Limited sarebbe stata esistente ed avrebbe annoverato la Martex s.r.l. tra i suoi clienti, da ciò derivando in maniera inequivocabile l’infondatezza dei rilievi mossi dall’Agenzia delle Entrate alla Initaly s.r.l..

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., lamentando che la sentenza impugnata sarebbe stata emessa in violazione dei principi dettati in materia di onere della prova, atteso che le circostanze di fatto poste dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della pretesa impositiva non costituirebbero indizi gravi, precisi e concordanti e non sarebbero, pertanto, idonei a spostare l’onere probatorio a carico del contribuente. La ricorrente evidenzia che nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria poggia le proprie contestazioni sui seguenti elementi di fatto:

a) le anomalie riscontrate con riferimento al contratto esibito dalla contribuente nel corso della verifica;

b) la discrepanza tra l’indicazione in contabilità di costi sostenuti per prestazioni di agenzia e la denominazione del contratto quale contratto d’opera;

c) l’inesistenza di ragioni economiche sottostanti;

d) la redazione del contratto in lingua italiana e la mancanza di indicazione delle generalità del sottoscrittore del contratto;

e) il corrispettivo pattuito nel contratto, pari al 5% del prezzo di ogni capo venduto, e la variabilità della percentuale di fatto corrisposta alla società inglese;

f) la richiesta di informazioni all’autorità inglese, dalla quale risultava il volume di affari dichiarato dalla società inglese nell’anno 2004, e non nell’anno 2005, oggetto dell’accertamento;

g) le dichiarazioni rilasciate dal legale rappresentante della società contribuente, il quale aveva riferito di non avere avuto contatti con la Wishingform Ltd. e di avere conosciuto, circa dieci anni prima, soggetti alla stessa riferibili e che una persona della società Martex si occupava di controllare che i capi realizzati dalla Initaly s.r.l. fossero conformi al campionario.

Al fine di dimostrare la inidoneità dei suddetti elementi di fatto a provare la inesistenza delle prestazioni oggetto di contestazioni, la contribuente ha precisato che:

a) il contratto esaminato dai verbalizzanti è stato sottoscritto dalle parti nel 2004, ma il rapporto tra essa e la Wishingform Limited è preesistente ad esso e l’atto a cui dover fare riferimento è il primo contratto, denominato “contratto di agenzia”, concluso nel 1995, a cui hanno fatto seguito i successivi contratti tra le stesse parti;

b) l’attività ad essa fornita dalla Wishingform Limited e dalla Martex s.r.l. non era finalizzata a procacciare il cliente, ma era volta a mantenere il rapporto con il cliente ed a proteggerlo dalle “aggressioni” della concorrenza, sicché il rapporto intercorso con la società inglese doveva essere qualificato come rapporto di agenzia;

c) la scelta della lingua italiana per la redazione del contratto trovava giustificazione nel fatto che il contratto era regolato dalla legge italiana e che, in caso di controversie, la competenza era stata individuata nel foro italiano; in sede di verifica aveva consegnato un fax datato 25/1/2007 che indicava le generalità del sottoscrittore dell’ultimo contratto intercorso tra la Wishingform e la Initaly s.r.l. e confermava il potere di rappresentanza dello stesso;

d) il compenso pattuito per la attività di intermediazione era del tutto in linea con i prezzi generalmente praticati nel settore commerciale in cui operavano le stesse società e, in ogni caso, il valore indicato in contratto poteva subire variazioni in presenza di specifiche esigenze del cliente.

Con riguardo allo scambio di informazioni con l’Amministrazione finanziaria del Regno Unito, la ricorrente rileva che le risultanze della richiesta avevano consentito di accertare soltanto l’esistenza della società inglese ed il volume d’affari da questa dichiarato nel 2004, con la conseguenza che le indicazioni contenute nel documento non risultavano complete, avendo l’Agenzia delle Entrate omesso di richiedere all’autorità britannica il regime fiscale a cui soggiaceva la Wishingform Ltd. e se la stessa avesse emesso le fatture nei confronti della società italiana verificata.

Ha, inoltre, evidenziato che dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società emergeva soltanto che circa dieci anni prima soggetti rappresentanti la Wishingform Limited si erano recati presso la società Initaly s.r.l. e che il controllo della merce prodotta era stato effettuato dalla Martex s.r.l. tramite un dipendente, tale M., circostanze di per sé non determinanti per comprendere se le prestazioni oggetto di contestazione fossero state effettivamente eseguite.

3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nella sostanza, ribadendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la contribuente deduce che, ove pure si volesse considerare giustificata l’inversione dell’onere della prova, risulterebbe dimostrato che le fatture contestate dall’Amministrazione finanziaria, delle quali non è stata posta in discussione la correttezza formale, si riferiscono a prestazioni rese dalla società inglese e svolte sulla base di un rapporto di agenzia.

Inoltre, la sentenza sarebbe corredata di un’insufficiente motivazione, in quanto i giudici di appello si sarebbero limitati a riportare parzialmente le deduzioni difensive da essa proposte nell’atto di appello ed ad esprimere un giudizio generico che non terrebbe conto della complessità della fattispecie.

4. Con il quarto motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura attinge il profilo relativo al recupero dell’Iva – fondato sul D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, vigente ratione temporis, il quale prevede che “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

Lamenta la ricorrente che la Commissione regionale, aderendo alle argomentazioni poste a sostegno della pretesa impositiva, al fine di rendere imponibile l’operazione, benché fornita da soggetto estero, avrebbe compiuto una riqualificazione delle prestazioni fatturate, ritenendo che quelle rese dalla Wishingform Limited non consistessero in prestazioni di consulenza, bensì di agenzia, e rientrassero pertanto nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4.

4.1. I primi quattro motivi, per ragioni di connessione, vanno trattati congiuntamente, in quanto tutti attengono alla ricostruzione dei rapporti contrattuali tra la contribuente, la Wishingform Limited e la Martex s.r.l., quale presupposto oggettivo di ogni ulteriore aspetto controverso.

A prescindere dalle rubriche formali dei relativi motivi, dal corpo dei mezzi si ricava comunque che la ricorrente lamenta, al riguardo, un deficit della motivazione della sentenza impugnata, con particolare riferimento alla rilevanza potenziale di elementi istruttori costituiti, tra gli altri, prevalentemente dagli esiti delle verifiche effettuate nel 2009 dalla stessa Amministrazione nei confronti della Martex s.r.l. e della C. & S. s.r.l.. Al fine di evidenziare la rilevanza che potrebbero avere gli esiti della verifica nei confronti di quest’ultima, rispetto alla posizione della ricorrente, l’Initaly s.r.l. sottolinea di essere stata costituita proprio dai soci della C. & S. s.r.l., al fine di acquisire una commessa con la terza Dresmann s.r.l., e di avere pertanto proseguito il rapporto di intermediazione che la predetta C. & S. s.r.l. già intratteneva con la Martex s.r.l. e con la Wishingform Limited.

In adempimento degli oneri di autosufficienza e di forma-contenuto del mezzo, la ricorrente ha indicato di aver prodotto in appello la documentazione relativa alle predette verifiche, deducendo pure che si trattava di atti sopravvenuti rispetto alla sentenza di primo grado e, comunque, conosciuti dalla contribuente solo dopo la conclusione di quest’ultimo. Peraltro, fermo restando che, nel giudizio tributario, il D.P.R. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, consente la produzione di nuovi documenti in appello, deve altresì rilevarsi che le circostanze che essi sarebbero finalizzati a dimostrare, nella tesi della ricorrente, fanno parte sin dal ricorso introduttivo del medesimo thema decidendum iniziale di contestazione della pretesa.

Si tratta, infine, di circostanze potenzialmente decisive, quanto meno sotto il profilo indiziario, con riferimento alla prospettazione, offerta dalla contribuente, dell’origine e della prosecuzione dei rapporti contrattuali controversi, già facenti capo alla C. & S. s.r.l.. Esse, infatti, attengono all’esistenza delle richiamate società non residenti ed all’effettiva natura del rapporto proseguito dalla ricorrente con queste ultime.

Ricordato che, ratione temporis, si applica a questo giudizio l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione ” per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, deve darsi atto che la sentenza impugnata non ha preso in alcuna considerazione le risultanze della documentazione relativa alle verifiche del 2009 nei confronti delle predette società, limitandosi a dare atto, nella parte espositiva delle difese, che la contribuente aveva dedotto la loro rilevanza anche al fine di evidenziare la contraddittorietà della ricostruzione erariale dei rapporti contrattuali effettuata nell’accertamento qui controverso. Ne’ potrebbe ritenersi che sia sufficiente ad escludere il vizio denunciato il generico riferimento, nella motivazione della sentenza impugnata, alla pretesa irrilevanza dell’inesistenza oggettiva o soggettiva delle operazioni in questione, anche perché le due specie di inesistenza non sono totalmente indifferenti (in termini di contenuto dell’onere della prova e di conseguenze ai fini fiscali) e pienamente alternative.

Vanno quindi accolti i primi quattro motivi di ricorso e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto.

Resta assorbita, essendo rimessa eventualmente all’accertamento del giudice del merito in sede di rinvio, la questione del regime delle sanzioni di cui alla lex mitior ex D.Lgs. n. 158 del 2015, invocata dalla ricorrente nella memoria.

5. Con il quinto motivo (erroneamente numerato nel ricorso anch’esso come 4) si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 43,65,90 e 102, con riferimento all’indeducibilità delle quote di ammortamento relative al locale catastalmente censito nella classe A/3 (immobile economico destinato ad uso abitativo), di proprietà della stessa contribuente, utilizzato ad uso abitativo dal legale rappresentante della Golden s.r.l., società che si occupava del deposito dei materiali dell’Initaly s.r.l. ed alla quale era stato locato l’adiacente capannone industriale.

Assume la ricorrente che si tratterebbe infatti di un “bene strumentale”, caratterizzato da una destinazione permanente e funzionale all’esercizio dell’impresa, come sarebbe dimostrato dalla circostanza che esso è utilizzato dal legale rappresentante (non della contribuente, ma) della società che conduce in locazione il capannone industriale, che farebbe parte del medesimo ed unico complesso.

Il motivo è inammissibile.

Infatti la ricorrente deduce che la strumentalità dell’immobile sarebbe comprovata e verificabile “dall’unicità del contratto di affitto e del prezzo pattuito tra le parti”, che ne dimostrerebbero l’appartenenza ad un unico complesso immobiliare.

Tuttavia nel ricorso non viene indicato se, ed in che fase e grado del giudizio di merito, siano stati prodotti il contratto in questione o altri documenti relativi allo status giuridico e fattuale dell’immobile.

Tanto meno, nel corpo del ricorso, sono riprodotti i predetti documenti. Ne’, in calce allo stesso atto, viene data puntuale menzione della loro allegazione specifica. Non risulta quindi adempiuto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726), al fine di porre la Corte di cassazione in condizione di individuare ciascun atto o documento, senza effettuare soverchie ricerche (Cass. n. 1235/2019).

Il motivo, ferma la sua inammissibilità, non sarebbe comunque fondato, non potendo considerarsi, come pretenderebbe la contribuente, “strumentale” un bene che non è tale né per natura (trattandosi pacificamente di immobile di categoria A/3 con destinazione abitativa), né per destinazione (essendo pacificamente locato a terzi da una società commerciale che neppure ha dedotto di svolgere la locazione immobiliare come attività di impresa: cfr. Cass. 20/02/2020, n. 4417; Cass. 29/10/2020, n. 23987; Cass. 25/01/2019, n. 2153; Cass. 12/12/2013, n. 27820), e non ha quindi come unica destinazione, quella di essere direttamente impiegato nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali dalla contribuente, così da non essere idoneo alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sia eventualmente inserito.

Irrilevante appare la menzione, nel motivo, di precedenti pronunce di merito sulla natura del bene – senza peraltro allegarne l’eventuale irrevocabilità e giudicato- relative ad anni d’imposta diversi e concernenti la qualificazione giuridica dell’immobile in relazione al suo uso pro tempore.

PQM

Accoglie i primi quattro motivi di ricorso e dichiara inammissibile il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

 

 

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