Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5974 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 23/02/2022), n.5974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26346/2016 proposto da:

Fochi Sud s.r.l., in Amministrazione straordinaria, nella persona dei

Commissari Liquidatori pro tempore, rappresentata e difesa, anche

disgiuntamente, dagli Avv.ti Concetta M. Rita Trovato, e Andrea

Carroli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima

in Roma, via della Balduina, n. 7, per procura speciale in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

I.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Italo Basso, e

dall’Avv. Angela Maieli, sia unitamente che separatamente, per

procura speciale all’atto di costituzione in giudizio;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BOLOGNA n. 1633/2016,

pubblicata il 21 settembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2022 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. I.G., dipendente della Fochi Sud s.r.l. (in Amministrazione straordinaria), sostituto d’imposta per le quote IRPEF relative al periodo (OMISSIS), trattenute e non versate in forza della sospensione temporanea disposta in seguito al sisma di Siracusa del 1990 e successivamente versate, in adesione al condono fiscale previsto dalla L. n. 289 del 2002, nella misura del 10%, aveva chiesto il rimborso della quota residua a suo tempo trattenuta e non versata.

2. Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 2409/2013 del 6 agosto 2013, aveva ritenuto che il sostituto d’imposta, una volta adempiuto il condono ed estinta l’obbligazione nei confronti dell’Erario, anche nei confronti del sostituto condebitore solidale e quindi anche ex art. 1301 c.c., non poteva trattenere le somme non versate ed era obbligato a restituire l’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c., pari al 90% dell’importo delle ritenute non versate ed aveva ammesso al passivo della procedura l’importo di Euro 5.455,43, in sede privilegiata ex art. 2751 bis c.c., n. 1, oltre accessori.

3. La Corte di appello di Bologna, su appello proposto dalla società Fochi Sud s.r.l., con la sentenza in questa sede impugnata, ha riformato parzialmente la sentenza impugnata in relazione al termine finale degli interessi legali, riconosciuti fino alla liquidazione delle attività mobiliari (e non fino al saldo) e ha rigettato i motivi di gravame sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario e sull’insussistenza del diretto del lavoratore alla ripetizione del 90% dell’ammontare delle ritenute non versate in ragione dell’adesione al condono, affermando che il rapporto fra sostituto, sostituito ed il fisco si configurava come una obbligazione solidale passiva nei confronti del fisco, all’interno del quale il sostituito, quale percettore di reddito, doveva considerarsi direttamente obbligato nei confronti dell’amministrazione finanziaria, con conseguente applicazione dei principi sulle obbligazioni solidali e che l’estinzione dell’obbligazione tributaria per l’adesione al condono derivava da una remissione parziale del debito tributario, ai sensi dell’art. 1301 c.c., che, per la natura solidale delle obbligazioni, aveva effetti non solo a favore del sostituto, ma anche a favore del sostituito.

4. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno affermato che la rivalutazione monetaria decorreva dal momento in cui erano state effettuate le trattenute indebite, a nulla rilevando l’adesione al condono, considerata la natura del credito da lavoro a cui si applicava l’art. 429 c.p.c. e che, quindi, il termine che rilevava era quello del giorno di maturazione del diritto; mentre ha ritenuto il motivo di gravame sulle spese legali inammissibile per la sua genericità.

5. La Fochi Sud s.r.l., in Amministrazione Straordinaria, avverso la superiore sentenza, ricorre in Cassazione con atto affidato a due motivi.

6. I.G. ha depositato, in data 10 ottobre 2021, atto di costituzione in giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità dell’atto di costituzione in giudizio dell’intimato, depositato ampiamente oltre i termini di cui all’art. 370 c.p.c., discendendone anche la inidoneità a costituire controricorso seppure tardivamente depositato e, dunque, a legittimare la partecipazione all’udienza pubblica della parte medesima.

1.2 Ed invero, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di cassazione, è inammissibile una “memoria di costituzione” depositata dalla parte intimata dopo la scadenza del termine di cui all’art. 370 c.p.c. e non notificata al ricorrente (così da non potersi qualificare come controricorso), atteso che non è sufficiente il mero deposito perché l’atto possa svolgere la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio rispetto alla parte ricorrente, la quale, solo avendone acquisito legale conoscenza, è in condizioni di presentare le sue osservazioni nelle forme previste dall’art. 378 c.p.c. (Cass., 3 dicembre 2020, n. 27705; Cass., 26 luglio 2019, n. 20322; Cass., Sez. U., 10 aprile 2019, n. 10019; Cass., 9 settembre 2008, n. 22928; Cass., 28 luglio 2010, n. 17688; Cass., 5 dicembre 2014 n. 25735).

2. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e degli artt. 1294,1301,2033 c.c. e del principio lex posterior derogat priori in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiché la Corte d’appello, ritenendo che la remissione del debito tributario conseguente all’adesione al condono aveva spiegato effetto anche nei confronti del lavoratore sostituito, con conseguente diritto alla restituzione della somma non versata, aveva omesso di considerare che la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, aveva previsto il beneficio della definizione agevolata a esclusivo favore del sostituto d’imposta e non anche del sostituito.

2.1 Il motivo è infondato.

2.2 Questa Corte, già con l’ordinanza del 28 maggio 2019, n. 14502, vertente su identica fattispecie, aveva osservato quanto segue: “2.1. la sentenza impugnata si basa su una condivisa interpretazione della normativa speciale di riferimento e dei principi generali in materia di retribuzioni, in base alla quale il lavoratore ha diritto a ricevere l’intero importo retributivo che va decurtato delle trattenute fiscali e previdenziali dovute per legge, il cui versamento sia stato effettivamente adempiuto dal datore di lavoro, in qualità di sostituto di imposta; 2.2. l’eventuale accertamento di insussistenza del debito fiscale comporta, dunque, l’obbligo del datore di lavoro alla restituzione della quota di retribuzione trattenuta e non versata al Fisco, come già affermato da questa Corte in relazione alle somme trattenute sulla retribuzione, a titolo di contribuzione previdenziale, per le quali sia successivamente accertata l’inesistenza del debito contributivo (Cass. n. 8026 del 2003); 2.3. a tale riguardo, è solo il caso di evidenziare che il datore di lavoro, in qualità di sostituto di imposta, svolge sostanzialmente funzioni di esattore dell’amministrazione finanziaria versando direttamente a questa ultima gli acconti d’imposta per conto del contribuente sostituito, nel caso di specie del lavoratore subordinato; provvede, cioè – sia pure in adempimento di un preciso obbligo di legge (e non in esecuzione di un mandato negoziale o come gestione di affari altrui) – ad adempiere ad un’obbligazione altrui, quella appunto del sostituito nei confronti dell’amministrazione finanziaria; infatti, alla fine dell’esercizio fiscale, in occasione della compilazione della dichiarazione dei redditi, è il sostituito a dover conteggiare quanto ancora dovuto, scalando dall’importo dell’imposta lorda, oltre alle detrazioni di imposta, gli acconti già versati o da lui direttamente oppure per suo conto dal sostituto d’imposta (oppure anche, eventualmente, da una pluralità di sostituti d’imposta); 2.4. l’obbligato principale nei confronti del Fisco resta, dunque, sempre il percettore del reddito, indipendentemente dal fatto che l’esazione del tributo avvenga (in tutto o in parte) mediante il sistema della ritenuta alla fonte; 2.5. coerentemente, ove intervengano meccanismi di definizione agevolata della posizione fiscale, da un lato, è il sostituito (id est: il lavoratore) il principale beneficiario della stessa, come peraltro espressamente riconosciuto da questa Corte proprio in relazione alla specifica normativa qui in discussione (ex plurimis, Cass. 17472 e 17473 del 2017; Cass. n. 7509 del 2018; Cass. n. 3641 del 2019), dall’altro, il sostituto (id est: il datore di lavoro), non più tenuto a versare al Fisco, in ragione del medesimo meccanismo di definizione agevolata, le somme trattenute, deve restituirle al lavoratore, non avendo più idoneo e valido titolo giuridico per trattenere il residuo”.

2.3 Successivamente questa Corte, con le ordinanze del 19 aprile 2021, nn. 10258 e 10259 ha precisato che: “Varrà rammentare che gli elementi identificativi della figura del sostituto d’imposta sono contenuti nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 1, secondo cui è sostituto: “Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto”; ciò con l’ulteriore previsione secondo cui il sostituto “deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso”. Il tratto caratterizzante del meccanismo di sostituzione di imposta sta dunque in ciò, che l’obbligazione di pagamento del tributo incombe sul sostituto “in luogo di altri”, “per fatti o situazioni” a questi riferibili, e cioè, detto in altri termini, in relazione ad un obbligo contributivo sostanzialmente riferibile a tali altri. La figura del sostituto è stata nel tempo ricostruita, sul plano teorico, secondo una pluralità di schemi: in termini di pignoramento presso terzi, di sostituto quale intermediario nella riscossione, o di organo di riscossione, ovvero di successore nel debito d’imposta, o di rappresentante ex lege; si sono ritenuti, inoltre, applicabili gli schemi della surrogazione o della cessione legale del credito o della delegazione passiva di pagamento. Al riguardo, non occorre certo approfondire qui, essendo sufficiente, per i fini di questa decisione, richiamare il recente responso delle Sezioni Unite di questa Corte le quali, nell’escludere la solidarietà tra sostituto e sostituito qualora il sostituto abbia operato le ritenute, hanno osservato che: “L’art. 64, comma 2, D.P.R. n. 600… dimostra… che il soggetto passivo della stessa rimane il sostituito, atteso che al sostituto è soltanto riconosciuta una eccezionale facoltà di intervenire nel processo; di qui la fondamentale illazione per cui il dovere di versamento della ritenuta d’acconto costituisce un’obbligazione autonoma, rispetto all’imposta; un’obbligazione che la legge ha posto solamente a carico del sostituto, a mezzo degli artt. 23 ss. D.P.R. n. 600 cit.; e che trova la sua causa nel corrispondente obbligo di rivalsa stabilito dall’art. 64” (Cass., Sez. Un., 12 aprile 2019, n. 10378). Insomma, non è revocabile in dubbio che l’obbligazione tributaria grava sul sostituto, perché così stabilisce l’art. 64, ma “il soggetto passivo della stessa rimane il sostituito”, con il cui denaro il tributo è soddisfatto dal sostituto: nel qual senso può del resto richiamarsi la giurisprudenza della sezione tributaria secondo cui: “In tema di condono fiscale, la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, che consente al contribuente delle province siciliane coinvolte nel sisma del 1990 di recuperare il 90 per cento di quanto dovuto e versato a titolo d’imposte, in deroga al principio per cui la sanatoria non consente di ottenere rimborsi dallo Stato, risponde ad una logica particolare e diversa dagli altri provvedimenti di sanatoria, in quanto tesa ad indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi, sicché la legittimazione spetta al solo soggetto passivo d’imposta in senso sostanziale e non anche al sostituto d’imposta” (Cass. 26 settembre 2016, n. 18905)”.

2.4 Ciò posto ritiene il Collegio che ai principi suesposti, richiamati anche dalla Corte d’appello, va data continuità e che non possa trovare accoglimento la tesi che il legislatore, in ipotesi di sostituzione di imposta, abbia previsto il beneficio della definizione agevolata a esclusivo favore del sostituto d’imposta e non invece del sostituito.

Ed invero, come già affermato nell’ordinanza teste’ richiamata, il sostituto, di regola, trattiene il denaro del contribuente direttamente dalle sue fonti di reddito e poi le versa al creditore e i fondi con cui il sostituto soddisfa l’obbligazione tributaria sono di regola prelevati alla fonte dalla retribuzione del sostituito, con la conseguenza che, ritenendo diversamente l’invocato L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, prevederebbe “un eccentrico spostamento patrimoniale, per di più coatto – spostamento invero non facile a qualificarsi in termini di consueti istituti civilistici -, dal sostituito al sostituto: giacché il sostituto avrebbe in buona sostanza trattenuto, ossia non versato, il tributo dovuto dal sostituito, coi suoi denari, in relazione all’arco temporale previsto dalla norma, e, grazie, alla norma medesima, potrebbe poi trattenere il 90% di quanto non versato, ossia della relativa quota-parte di retribuzione del lavoratore” (cfr. Cass., 19 aprile 2021, nn. 10258 e 10259, in motivazione).

2.5 Non può, quindi, che ribadirsi che l’interpretazione letterale della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, è nel senso che il legislatore non ha voluto operare alcun spostamento patrimoniale dall’uno all’altro soggetto del rapporto di sostituzione di imposta e che la norma in esame non impedisce al lavoratore sostituito di ottenere il pagamento della somma ammessa al passivo all’esito del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 3, dell’art. 2033 c.c. e della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, perché la Corte d’appello aveva erroneamente riconosciuto la rivalutazione monetaria a far tempo dell’effettuazione delle ritenute, laddove il credito restitutorio ex art. 2033 c.c. era sorto per effetto della definizione agevolata e, quindi, a far tempo dal perfezionamento della medesima, collocato dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, al momento del versamento della prima rata.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 La Corte d’appello ha, infatti, correttamente affermato che le somme da restituire al lavoratore per l’accertata inesistenza del debito fiscale hanno mera natura retributiva e la natura retributiva del credito al rimborso comporta che ad esso non può che essere applicata l’intera disciplina afferente al rapporto di lavoro e, quindi anche le disposizioni di cui all’art. 429 c.p.c. in tema di interessi e rivalutazione, costituendo dette voci una componente essenziale del credito medesimo (cfr. Cass., 12 luglio 2001, n. 9470; Cass., 16 giugno 2001, n. 8175; del 2001; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12758, in motivazione). 3.3 Con gli ulteriori due corollari:

– l’obbligo di corrispondere gli interessi e la rivalutazione su quote di retribuzione corrisposte in ritardo al lavoratore (quali sono quelle derivanti dalla sopravvenuta insussistenza del debito fiscale, per effetto del meccanismo di agevolazione previsto dalla L. n. 289 del 2002) prescinde dall’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, poiché i suddetti accessori consistono in una qualità del credito ad esso automaticamente ed inscindibilmente connessa;

– nel sistema configurato dall’art. 429 c.p.c. il credito lavorativo, maggiorato di rivalutazione ed interessi legali rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato, sicché, ai fini della determinazione del rimborso ai lavoratori, nessuna rilevanza può avere la circostanza che la società, al momento della trattenuta, sia obbligata a tanto per legge e che il versamento sia stato sospeso prima della normativa di definizione agevolata.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, in assenza di una valida attività difensiva.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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