Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5974 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 17/01/2017, dep.08/03/2017),  n. 5974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24777/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore Generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

CONTINENTAL Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 305/31/11, depositata il 3 ottobre 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 gennaio 2017

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Gianna Galluzzo che si riporta al ricorso e alla

richiesta di concessione termine per la rinnovazione della notifica;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale SORRENTINO Federico, che ha concluso per la concessione di

termine per la rinnovazione della notifica e, in subordine, per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. In esito a controllo dell’Agenzia delle dogane di Catania nei confronti della Continental Srl, emergeva, per il periodo dal 1998 al 2001, il ritardato pagamento dell’accisa dovuta, sicchè nei confronti della società veniva elevato, con atto del 6 luglio 2001, avviso di pagamento a titolo di interessi ed indennità di mora per un importo di Euro 69.207,55, nonchè, in data 19 febbraio 2002, atto di contestazione D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13 con irrogazione di una sanzione di Euro 287.632,81.

La CTP di Catania accoglieva il ricorso del contribuente limitatamente all’atto di contestazione, ritenendo la definitività dell’avviso di pagamento dell’indennità di mora e degli interessi.

2. La Continental Srl, con separate istanze, chiedeva la definizione della lite pendente L. n. 289 del 2002, ex art. 13 assumendo l’azzeramento ex lege degli interessi e dell’indennità di mora.

L’Agenzia delle dogane rigettava la richiesta. Sull’impugnazione del contribuente, la CTR di Palermo, in riforma della decisione della CTP di Catania, annullava il provvedimento di diniego, dovendosi considerare unitariamente le domande strettamente connesse.

3. Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane con due motivi. La contribuente è rimasta intimata. L’Agenzia delle dogane ha, inoltre, chiesto la concessione di termine per la rinnovazione della notifica, non andata a buon fine per irreperibilità del destinatario nel domicilio eletto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo l’Agenzia delle dogane denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 13 e del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 3 e del loro combinato disposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver la sentenza impugnata considerato unitariamente l’avviso di pagamento di interessi e indennità e l’atto di contestazione della sanzione e non come atti diversi ed autonomi, il primo di natura risarcitoria ed il secondo sanzionatoria, dei quali soltanto quest’ultimo incluso nell’area di operatività dell’art. 16 cit.

5. Con il secondo motivo l’Agenzia ricorrente censura la sentenza per omessa motivazione su un fatto giuridico controverso e decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e, specificamente, sulla distinzione tra lite sull’atto impositivo e lite sulle sanzioni e sulla connessa funzione risarcitoria degli interessi e dell’indennità di mora per omesso o ritardato versamento dell’accisa alla scadenza prevista.

6. Il ricorso è inammissibile per omessa notifica, dovendo essere disattesa la richiesta di concessione di termine per la rinnovazione. E’ preliminare, sul punto, delineare l’evoluzione dell’orientamento della Suprema Corte nelle ipotesi in cui la notificazione di atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non sia andata a buon fine per causa non imputabile al notificante.

6.1. Le Sezioni Unite con la sentenza n. 17352 del 2009, Rv. 609264-01, ripercorrendo le posizioni emerse progressivamente nella giurisprudenza negli anni precedenti, ha affermato esplicitamente il principio secondo il quale “In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie.”.

Le Sezioni Unite, quindi, da un lato hanno riconosciuto al richiedente la possibilità di procedere autonomamente alla riattivazione della procedura notificatoria, inopinatamente interrotta per una causa ad esso non imputabile, senza necessità di ricorrere al giudice (che avrebbe comportato un rilevante allungamento delle procedure), ma, dall’altro, hanno ricondotto l’attività del richiedente alla categoria dell’onere poichè “l’iniziativa per la ripresa del procedimento notificatorio deve intervenire entro un tempo ragionevole, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie”, sicchè “non potrà ritenersi dipendente da causa non imputabile una decadenza che avrebbe potuto essere ovviata mediante il completamento della procedura di notificazione ad iniziativa della parte”, restando confinata la possibilità di richiedere l’intervento del giudice “nei casi in cui non sia possibile una semplice (e ragionevolmente tempestiva) ripresa del medesimo procedimento notificatorio ad iniziativa della parte”, quale, ad esempio, ove sia necessario ottenere una nuova fissazione dell’udienza per il rispetto dei termini di comparizione (v. in motivazione Sez. U, n. 17352 cit.).

L’apparente dicotomia tra “facoltà” e “onere” è, peraltro, di agevole spiegazione atteso il presupposto del ragionamento della Corte.

Infatti, alla stregua del consolidato principio della scissione degli effetti della notifica, affermatosi in dipendenza degli interventi della Corte costituzionale (e segnatamente Corte cost. n. 477 del 2002), si giustificava una interpretazione costituzionalmente orientata anche nell’ipotesi di incolpevole mancato esito della procedura notificatoria, che, in quanto tale, non poteva andare a detrimento della parte (per una prima applicazione v. Sez. U, n. 10216 del 2006, in riferimento ad un’opposizione a decreto ingiuntivo).

Il termine “facoltà”, dunque, ha valore di liceità o ammissibilità del meccanismo della rinnovazione della notifica ad opera dell’intervento diretto del richiedente, in sè non positivamente previsto in termini generali dall’ordinamento. Tale strumento, tuttavia, ha rilievo, e produce il risultato di conservare ab origine gli effetti della notificazione, solo se prontamente utilizzato dal richiedente che così dimostra diligentemente il suo interesse al consolidamento degli effetti, restando altrimenti frustata l’esigenza, altrettanto rilevante, di evitare un ingiustificato allungamento del processo in lesione del principio della ragionevole durata.

6.2. Il principio, testualmente ribadito dalla giurisprudenza successiva (v. tra le tante Cass. n. 586, n. 6846, n. 9046 del 2010; Cass. n. 26518 del 2011), registra, infatti, una parziale ridefinizione con Cass. n. 18074 del 2012, Rv. 623907-01, secondo la quale “Qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio…”.

Sparisce l’uso del termine “facoltà” e residua solo “l’onere”, ma tale prospettiva, per quanto sopra rilevato, apparteneva già alle citate Sezioni Unite, che valutavano come residuale – in relazione alle specificità della concreta vicenda – la possibilità di richiedere l’intervento del giudice.

La diversa enunciazione, tuttavia, rende più chiara e univoca la portata del principio di diritto.

6.3. Restava comunque non definito un profilo.

La ripresa della procedura notificatoria aveva rilevanza purchè fosse “intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto”, senza ulteriori connotazioni: al giudice, dunque, valutare se il richiedente, tenuto conto delle ragioni della mancata notifica, delle modalità della sua attivazione e degli eventuali elementi in concreto rilevanti, avesse proceduto con la dovuta diligenza.

Su tale aspetto, sono nuovamente intervenute, con un recente arresto, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 14594 del 2016, Rv. 64044101), secondo le quali “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”.

L’attività del richiedente, quindi, da “onere” passa a “dovere”, così chiarendo definitivamente il contenuto dei compiti del notificante; inoltre viene quantificato il termine “ragionevolmente contenuto”, che viene determinato – in una prospettiva ordinaria (tenuto conto che, in fondo, si tratta di rinnovare una sola delle attività per le quali il termine complessivo è riconosciuto) – nella metà dei termini ex art. 325 c.p.c., ossia, per quanto concerne il ricorso per cassazione, in trenta giorni.

E’ conservata invero, nè poteva essere diversamente, la facoltà per l’interessato di dimostrare che tale dilazione è insufficiente in ragione di circostanze eccezionali, della cui prova resta onerato.

6.4. Nella concreta vicenda, il ricorso fu avviato tempestivamente (in data 26 ottobre 2012) alla destinataria presso il domicilio eletto nel giudizio di merito a mezzo del servizio postale, ma non risulta notificato in quanto il difensore domiciliatario non fu reperito dall’ufficiale postale all’indirizzo indicato (v. la certificazione sull’avviso di ricevimento che reca la dichiarazione “mancata consegna del plico per irreperibilità del destinatario”).

Il mancato esito, dunque, non è dipeso da una causa imputabile alla parte richiedente, la quale, tuttavia, non ha proceduto alla riattivazione della procedura notificatoria limitandosi, con istanza del 19 dicembre 2016 (e, dunque, a distanza di oltre quattro anni), a chiedere la concessione di termine per la rinnovazione della notifica, senza neppure allegare le eccezionali ragioni del ritardo. L’istanza, in conformità ai principi sopra esposti, non può pertanto essere accolta e, attesa la mancata consegna di copia conforme all’originale dell’atto da notificare, la notifica deve ritenersi inesistente in quanto solo tentata (v. Sez. U, n. 14916 del 2016, Rv. 640603). Conseguentemente la parte ricorrente va dichiarata decaduta dall’impugnazione in relazione al lasso di tempo intercorso dalla pubblicazione della sentenza di merito.

7. Il ricorso, pertanto, è inammissibile.

PQM

Nulla per le spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva. P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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