Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5973 del 04/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 04/03/2020), n.5973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8362-2018 proposto da:

B.G., B.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORIO COSTANTINI;

– ricorrenti –

contro

D.G.A.M., D.G.R., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA, 24, presso lo studio del Dott. MARCO

GARDIN, rappresentate e difese dall’avvocato RAFFAELE FATANO;

– controricorrenti –

e contro

D.G.E., D.G.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA AMERIGO CAPPONI, 16, presso lo studio dell’avvocato

ARMANDO GIORGINI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

D.G.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 984/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 28/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I sig.ri, B.G. ed B.A. hanno proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Lecce, confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha rigettato la loro domanda di usucapione di un appartamento sito in (OMISSIS), contestualmente accogliendo la domanda riconvenzionale di rilascio dell’appartamento, proposta dai relativi proprietari.

La corte territoriale ha escluso che B.G. ed B.A. avessero avuto il possesso dell’immobile de quo, assumendo che essi ne erano stati meri detentori, in forza di un contratto di locazione “comprovato dei vaglia ed alle ricevute di vaglia di versamento dei canoni” in alcuni casi sottoscritte dalla dante causa degli attori, signora B.R. (pag. 3 della sentenza).

Gli intimati D.G.F. e D.G.E. hanno resistito con contro ricorso, gli intimati D.G.A.M. e D.G.R. hanno resistito con altro controricorso e l’intimata D.G.G. non ha spiegato attività difensiva in questa sede.

La causa è stata discussa nell’adunanza di camera di consiglio del 11.7.19, per la quale i ricorrenti hanno depositato una memoria.

Con il primo motivo di ricorso, rubricato “omessa, insufficiente, incongrua ed erronea motivazione”, senza riferimento ad alcuno dei numeri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, i ricorrenti attingono l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui gli attori non avrebbero soddisfatto l’onere di provare il loro animus possidendi.

Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “sul disconoscimento della firma di B.R. sul contratto di locazione sulla non ammissione della querela di falso”, anch’esso privo di qualunque riferimento ad alcuno dei numeri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, i ricorrenti si dolgono della mancata ammissione della querela di falso su un documento apparentemente sottoscritto da B.R..

Entrambi tali motivi vanno dichiarati inammissibili, perchè essi si risolvono nell’affastellamento di una serie di considerazioni di merito non riconducibili ad alcuno dei vizi specificamente censurabili in cassazione secondo il disposto dell’art. 360 c.p.c..

I ricorrenti, in sostanza, si dolgono dell’accertamento di fatto operato dalla corte territoriale sulla sussistenza di un rapporto locatizio avente ad oggetto l’immobile de quo, ma non veicolano le loro doglianze in una censura corrispondente ai canoni fissati nel numero 5 dell’art. 360 c.p.c., giacchè non deducono l’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

Devono quindi, in definitiva, trovare qui applicazione:

– per un verso, il principio che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; con la conseguenza che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti. (cfr., da ultimo, Cass. 6519/19);

per altro verso, il principio che il vizio di omessa e insufficiente motivazione (al quale fa riferimento la rubrica del motivo in esame e che, in effetti, rispecchia il tenore della censura ivi prospettata) non è più contemplato come motivo di ricorso per cassazione, all’esito della riformulazione recata dal D.L. n. 83 del 2012, n. 5 (cfr. Cass. 23940/17: “. In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.”).

Per quanto poi specificamente concerne il secondo motivo di ricorso, un ulteriore profilo di inammissibilità è ravvisabile nel rilievo che la censura ivi proposta risulta carente di specificità anche perchè non si confronta in alcun modo con l’argomento dell’impugnata sentenza secondo cui “la scrittura investita di querela di falso è stata dal Tribunale ritenuta ininfluente ai fini della decisione ed è rimasta del tutto estranea all’iter logico a fondamento della pronunzia di primo grado, solidamente basata su diversi elementi di prova acquisiti in primo grado del tutto ininfluente ai fini della decisione il documento” (pag. 4).

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi e altri accessori di legge, tanto per i contro ricorrenti D.G.F. ed D.G.E. quanto, distintamente, per i contro ricorrenti D.G.A. e D.G.R..

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2020

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