Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5971 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. III, 03/03/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

ha pronunciato la seguente:

MEDIAFIN IMMOBILIARE DI T. DOTT. D. SAS, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato EMANUELE QUACQUARO;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. CARO 62,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE CICCOTTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMILIANO SCIULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 819/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.S. ha concesso in locazione alla Media Fin Immobiliare di D.T. un immobile sito in (OMISSIS), con atto del 30.4.2010.

Successivamente, con atto del 1.8.2016 ha intimato alla conduttrice lo sfratto per morosità dell’immobile, e quest’ultima, dopo circa un mese, ha sanato la morosità contestata, opponendosi alla convalida.

Il giudice di primo grado, sul presupposto che la locazione avesse finalità abitativa, ha rigettato la domanda nel merito, ritenendo valida la sanatoria della morosità.

Su appello del C. la corte di secondo grado ha invece interpretato il contratto come avente finalità non abitativa, e di conseguenza, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto non sanata la morosità e comunque di gravità rilevante ai fini della risoluzione l’inadempimento contestato al conduttore.

Avverso tale decisione propone ricorso la Media Fin di D.T., con due motivi.

Si è costituito il C., che, con controricorso, chiede il rigetto del ricorso avversario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata.

La corte di appello ha interpretato il contratto prevalentemente dando rilievo al comportamento delle parti successivo alla stipula, ed ha ritenuto che la finalità della locazione fosse quella di adibire il bene ad un uso non abitativo.

Ne ha quindi tratto la conseguenza della inefficacia della sanatoria, e della gravità dell’inadempimento.

2.- Il ricorrente propone due motivi, l’uno subordinato all’altro.

Con il primo dei due ritiene violazione degli artt. 113,116,214 c.p.c., nonchè artt. 1362 e 1367 c.c.. Indica in realtà una serie di norme violate, in aggiunta a queste ultime, ma il senso del motivo sta nella denuncia di errori nell’interpretazione del contratto, o meglio, della volontà delle parti. Il ricorrente ritiene che la corte ha errato nell’intendere la volontà dei contraenti e che ha dato un rilievo ermeneutico ad una serie di fatti, documenti ed altre circostanze, dai quali ha dedotto la finalità non abitativa della locazione, e che invece indicavano il contrario.

In particolare, ritiene la ricorrente che la corte di merito ha frainteso la comune intenzione, dando rilievo ad elementi (la natura di società commerciale del conduttore, la durata del contratto) che invece non erano niente affatto significativi di quella volontà, mentre ha trascurato altri elementi più conferenti.

Il motivo è infondato.

Va intanto ricordato che l’interpretazione del contratto è attività riservata al giudice di merito, e che può essere censurata in Cassazione o per difetto di motivazione (nei termini risultanti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c.), oppure per violazione dei canoni ermeneutici; nel senso che il giudice di merito attinge a criteri non previsti dalla legge, o nel senso che attribuisce ai criteri previsti dalla legge un significato diverso da quello proprio (da ultimo sulla sindacabilità Cass. 16181/2017; Cass. 20294/2019).

Nell’accertamento della comune volontà delle parti, il giudice deve dare rilievo all’elemento letterale, ma non solo a quello, e quando la comune intenzione delle parti non sia ricostruibile in tal modo (ossia dal testo, dal tenore letterale del testo) il giudice può di certo ricorrere a qualcun altro dei criteri ermeneutici disponibili.

La corte di merito ha correttamente seguito questo procedimento interpretativo. Ed infatti ha indagato il tenore letterale del contratto, ritenendo, con motivazione adeguata, di non potere ricavarvi alcuna significativa conclusione circa la finalità della locazione.

Ha conseguentemente proceduto a ricostruire la comune volontà attraverso i comportamenti successivi, e da questi, sempre con motivazione sufficiente, ha tratto la conclusione della finalità del contratto.

In sostanza, la corte non solo non ha fatto ricorso a criteri ermeneutici non indicati dalla legge, ma neanche ha dato a quelli di cui ha fatto uso un significato errato o censurabile.

Resta il fatto che, quanto ai fatti da valorizzare ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, nonchè quanto al significato che quei fatti assumono a tal fine, si tratta di valutazioni rimesse alla discrezionale valutazione del giudice di merito, che non può essere messa qui in discussione.

Ed invero, la ricorrente finisce con il censurare non tanto il corretto uso dei canoni ermeneutici da parte della corte di merito, quanto piuttosto l’apprezzamento che la corte fa di alcuni fatti, ritenendoli significativi della volontà delle parti, escludendone altri, e del significato che attribuisce a quelli ai fini della interpretazione del contratto. E dunque cosi facendo la ricorrente censura non già l’erronea interpretazione della legge, bensì l’accertamento in fatto che è presupposto della interpretazione medesima.

3.- In subordine, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 1455 c.c..

Ritiene che la corte erroneamente ha inteso come grave l’inadempimento del conduttore, consistente nel mancato pagamento di un solo canone, fatto peraltro per eccepire un credito che il conduttore vantava verso il locatore.

Anche in tal caso va ricordato che la valutazione circa la gravità dell’inadempimento è rimessa al giudice di merito anche essa, ed è stata valutata dalla corte tenuto conto del fatto che il canone andava pagato annualmente entro il primo maggio di ogni anno ed è stato corrisposto con un ritardo sette volte superiore al termine di 20 giorni di cui alla L. n. 392 del 1978.

Non v’è invero, anche qui, una violazione di legge, ossia una erronea interpretazione o applicazione della norma (l’art. 1455 c.c.), quanto piuttosto un diverso apprezzamento del fatto, vale a dire l’importanza del ritardo ai fini della risoluzione, che qui non può essere rivalutato nel senso preteso dalla ricorrente.

Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 3000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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