Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5968 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. III, 03/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8117-2018 proposto da:

FATTORIE G. SOC. COOP. AGRICOLA, in persona del legale

rappresentante pro tempore G.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 120/5, presso lo studio

dell’avvocato FERRUCCIO AULETTA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIO QUARTO;

– ricorrente –

contro

COMPAGNIA MARITTIMA MERIDIONALE SRL in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante p.t.

I.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE, 3 C/O

STUDIO ASSOCIATO SANDULLI, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO

D’ATTORRE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

CARMINE RUOTOLO, EMILIO RUOTOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5032/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che, con sentenza resa in data 22/12/2017, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello proposto dalla Compagnia Marittima Meridionale s.r.l. (CMM), e in riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta dalla Fattorie G. soc. coop. agricola per la pronuncia della risoluzione del contratto di subconcessione concluso tra le parti per inadempimento della CMM (quale subconcedente), contestualmente condannando la Fattorie G. al pagamento, in favore della CMM, dei canoni scaduti e non corrisposti;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, discostandosi da quanto sostenuto dal primo giudice e dalla cooperativa subconcessionaria, ha evidenziato come, rispetto alla questione relativa all’eventuale ricorso, a carico dell’immobile locato, di vizi rilevanti ai sensi dell’art. 1578 c.c., assumesse carattere assorbente la circostanza consistita nell’avvenuta espressa assunzione, da parte della società conduttrice, di ogni responsabilità, onere o rischio, in relazione al mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell’attività cui l’immobile locato sarebbe stato destinato, da tanto sollevando la posizione contrattuale della CMM;

che, conseguentemente, nessuna responsabilità poteva essere ascritta alla CMM, secondo quanto preteso dalla conduttrice, alla quale, sotto altro profilo, neppure avrebbe potuto riconoscersi alcuna indennità per i lavori eseguiti all’interno dell’immobile locato, avendo la stessa conduttrice espressamente e formalmente rinunziato ad ogni rimborso o indennità con riferimento a detti lavori;

che, infine, avendo la Fattorie G. conservato la detenzione dell’immobile fino alla scadenza del rapporto contrattuale, la stessa doveva essere condannata al pagamento, in favore di controparte, di tutti canoni alla stessa non corrisposti;

che, avverso la sentenza d’appello, la Fattorie G. soc. coop. agricola propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;

che la Compagnia Marittima Meridionale s.r.l. resiste con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memoria;

considerato che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1578 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso che l’inidoneità dell’immobile locato al conseguimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento delle attività convenute nel contratto di locazione non integrasse la fattispecie del vizio della cosa locata rilevante ai sensi dell’art. 1578 c.c., tale da legittimare la conduttrice alla richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

che, sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

che, nel caso di specie, varrà rilevare come la corte territoriale abbia deciso la controversia in esame (cfr. pp. 8-9 della sentenza impugnata) richiamandosi espressamente all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di rapporto locatizio, quando il conduttore, essendo a conoscenza della destinazione d’uso dell’immobile locato nel momento in cui al contratto venne data attuazione e, quindi, anche dell’inidoneità dello stesso a realizzare il proprio interesse, abbia accettato il rischio economico dell’impossibilità di utilizzazione dell’immobile stesso come rientrante nella normalità dell’esecuzione della prestazione, non sussistono i requisiti per la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1578 c.c., poichè, in tal caso, il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dell’immobile locato non è di ostacolo alla valida costituzione del rapporto di locazione, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d’uso convenuta (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1398 del 21/01/2011, Rv. 616382 – 01; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 14659 del 15/10/2002 Rv. 557918 – 01);

che, ciò posto, la corte territoriale ha avuto cura di evidenziare, tanto l’avvenuta dimostrazione della consapevolezza, da parte della Fattorie G., della concreta destinazione dell’immobile locato a un settore merceologico diverso da quello (alimentare) cui lo stesso avrebbe dovuto essere destinato a seguito della conclusione del contratto oggetto dell’odierno esame, quanto l’avvenuta espressa assunzione, da parte della società conduttrice, del rischio economico legato all’eventuale impossibilità di utilizzazione dell’immobile in ragione della mancata acquisizione, o del mancato rilascio, dei titoli amministrativi a tal fine necessari (cfr. pp. 8-9 della sentenza impugnata);

che, conseguentemente, l’odierno motivo di ricorso, nella misura in cui torna a dolersi della sentenza impugnata per avere la corte d’appello escluso la riconducibilità della circostanza consistita nel mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento delle attività convenute nel contratto di locazione alla fattispecie del vizio della cosa locata (rilevante ai sensi dell’art. 1578 c.c.), dimostra di non essersi punto confrontata con la decisione impugnata, con la conseguente inammissibilità della censura per le specifiche ragioni in precedenza indicate;

che, peraltro, varrà ulteriormente rilevare l’avvenuta espressa considerazione, da parte della corte d’appello, delle circostanze secondo cui: 1) la società locatrice non avesse assunto contrattualmente alcuno specifico obbligo in ordine all’eventuale rilascio dei titoli amministrativi indispensabili all’uso dell’immobile locato (così come convenuto dalle parti); 2) la mancanza di detti titoli non fosse dipesa da caratteristiche proprie del bene locato (tali da impedirne in radice il rilascio) (v. p. 9 della sentenza impugnata); 3) la società conduttrice era rimasta nella disponibilità dell’immobile locato sino alla scadenza del contratto (cfr., ivi, pag. 12);

che, sulla base di tali considerazioni, del tutto correttamente il giudice a quo ha escluso alcuna responsabilità contrattuale della società subconcedente, trovando applicazione al caso di specie l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in caso di mancato conseguimento dei titoli amministrativi necessari per lo svolgimento delle attività convenute nel contratto di locazione, l’inadempimento del locatore può configurarsi nei soli casi in cui lo stesso abbia espressamente assunto l’obbligo specifico di ottenere detti titoli, ovvero quando il relativo mancato conseguimento sia dipeso da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato (sì da impedirne in radice il rilascio), restando invece escluso allorchè il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l’assoluta impossibilità di ottenerli (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 20848 del 21/8/2018, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016, Rv. 641148 – 01);

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto di imporre, all’ambito degli oneri probatori della società conduttrice, la dimostrazione del carattere definitivo del diniego delle autorizzazioni amministrative necessarie allo svolgimento delle attività programmate nell’immobile locato, avendo, peraltro, detta società, comunque pienamente comprovato detto carattere definitivo in forza del complesso degli elementi di prova offerti alla valutazione dei giudici del merito;

che il motivo è inammissibile per carenza di interesse;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, pur quando la corte d’appello avesse errato nel ritenere non definitivo il diniego delle autorizzazioni amministrative per lo svolgimento delle attività previste nel contratto di locazione, comunque permarrebbe la decisiva incidenza della circostanza – già in precedenza illustrata – riferita all’avvenuta assunzione unilaterale, da parte della società conduttrice, del rischio economico del mancato rilascio di dette autorizzazioni, così come in precedenza rilevato;

che, pertanto, nessun concreto rilievo è destinata a rivestire, ai fini della decisione dell’odierna controversia, la circostanza che il rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle attività previste nel contratto di locazione in esame avesse o meno carattere definitivo, attesa l’avvenuta assunzione unilaterale, da parte della società conduttrice, del rischio economico conseguente al relativo mancato rilascio (anche definitivo);

che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c., ovvero, in subordine, per violazione dell’art. 1579 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato gli accordi conclusi tra le parti in relazione all’assunzione, da parte della società conduttrice, di ogni responsabilità o rischio in relazione al mancato rilascio delle autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività convenuta in contratto, in contrasto con la reale intenzione delle parti e l’oggettivo significato dei termini utilizzati, anche ai sensi del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., dovendo in ogni caso ritenersi esclusa, quantomeno ai sensi dell’art. 1579 c.c., l’efficacia di tale patto di esclusiva assunzione del rischio da parte della conduttrice, siccome diretto escludere o a limitare la responsabilità del locatore per i vizi della cosa, in presenza di malafede del locatore, ovvero di impossibile godimento del bene locato;

che il motivo è infondato;

che preliminarmente, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);

che, nel caso di specie, l’odierna società ricorrente si è limitata ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della comune intenzione delle parti (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), nonchè la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale (ex artt. 1363 e 1367 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;

che, sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione del contratto in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, nè spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimità;

che, sotto altro profilo, varrà considerare la radicale infondatezza della prospettazione concernente l’accertamento dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1579 c.c. (di là dall’assorbente e decisiva considerazione dell’inammissibile novità della relativa deduzione per la prima volta in questa sede di legittimità), non essendo in alcun modo emerso il ricorso della malafede del locatore, o la circostanza dell’impossibilità di godimento del bene locato, essendo rimasto piuttosto confermato il rilievo della conservata detenzione del bene locato, da parte della società conduttrice, fino al termine del rapporto;

che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1229 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda della conduttrice diretta al conseguimento delle indennità per i lavori di adeguamento dell’immobile locato senza avvedersi della contrarietà, del patto con il quale la conduttrice aveva rinunziato a ogni rimborso al riguardo, al disposto dell’art. 1229 c.c. nella parte in cui sancisce la nullità della clausola che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave;

che il motivo è infondato;

che, sul punto, osserva il Collegio come al negozio in esame (riferito alla preventiva rinuncia, da parte della società subconcessionaria, di alcuna indennità per i lavori di adeguamento dell’immobile locato) non risulti in alcun modo applicabile la fattispecie di cui all’art. 1229 c.c., non emergendo il ricorso di alcuna preventiva limitazione di responsabilità della società concedente per dolo o colpa grave in relazione all’impegno in esame;

che, al riguardo, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione di un’indennità per i miglioramenti in favore del conduttore non è da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilità della controparte che l’abbia predisposta, non incidendo sulle conseguenze della colpa o dell’eventuale inadempimento di quest’ultimo, agendo bensì sul diritto sostanziale, escludendo l’indennità per i miglioramenti previsti, dall’art. 1592 c.c. con norma derogabile (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 10425 del 18/07/2002, Rv. 555891 – 01);

che, sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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