Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5967 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 23/02/2022), n.5967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5659/2016 proposto da:

Regione Campania, Campania, nella persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in

calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. Modesto Letizia,

dell’Avvocatura regionale, entrambi elettivamente domiciliati in

Roma, presso l’Ufficio di Rappresentanza Regione Campania, in via

Poli, n. 19.

– ricorrente –

contro

F.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine del controricorso, dal Prof. Avv. Antonio Palma, e dall’Avv.

Francesco Rinaldi, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma,

via E. Q. Visconti, n. 103.

– controricorrente –

e

I.L.P..

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di NAPOLI, n. 3384/2015,

pubblicata il 24 luglio 2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2022 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 11772/2010 del 23 novembre 2010, aveva condannato la Regione Campania e F.G., quest’ultimo in proprio e nella qualità di difensore civico, in solido fra loro, al pagamento della somma di Euro 11.360,00, in favore di I.L.P., per la redazione di sei numeri del Giornale “(OMISSIS)” e per la stesura di un’apposita pubblicazione esplicativa dell’attività del Difensore civico regionale.

2. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello proposto da F.G., ha rigettato le domande proposte da I.L.P. nei suoi confronti e, in accoglimento parziale dell’appello proposto dalla Regione Campania, ha condannato quest’ultima, al pagamento, in favore dell’ I., a titolo di arricchimento senza causa, della somma di Euro 9.656,00, oltre accessori.

3. La Corte di appello ha rigettato l’eccezione di incompetenza funzionale del tribunale ordinario, affermando che la competenza non era del giudice del lavoro, perché non si era in presenza di una prestazione coordinata e che l’attività professionale era stata svolta dall’ I. in piena autonomia.

4. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno affermato che era fondata la domanda di arricchimento senza causa proposta nei confronti della Regione Campania, che aveva soltanto contestato il mancato rispetto delle procedure contabili e di bilancio e la mancata approvazione della spesa; che doveva ritenersi esistente l’arricchimento della Regione che aveva beneficiato delle pubblicazioni; la Regione, inoltre, nulla aveva osservato una volta ricevuta la comunicazione dell’iniziativa, il che portava ad escludere che l’arricchimento potesse non essere voluto; quanto al quantum, l’appello della Regione poteva trovare accoglimento, con conseguente detrazione del 15% dai compensi posti a fondamento dell’ipotizzato incarico di natura contrattuale, pari alla quota di utile netto generalmente ritraibile da qualsiasi attività professionale e/o imprenditoriale.

5. La Regione Campania ha impugnato la sentenza della Corte di appello con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

6. F.G. ha resistito con controricorso.

7. Con ordinanza interlocutoria n. 20891 del 21 luglio 2021, questa Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di I.L.P., parte costituita nel processo di appello e litisconsorte processuale.

8. La Regione Campania ha depositato memoria, con la quale ha dato atto di avere provveduto all’integrazione del contraddittorio nei confronti di I.L.P. in data 8 ottobre 2021, presso il procuratore costituito, avv. Maurizio Parlato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 409 c.p.c., n. 3 e art. 413 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, avendo la Corte di appello erroneamente rigettato l’eccezione di incompetenza funzionale per materia del Tribunale ordinario per essere competente il Giudice del lavoro, in quanto l’oggetto sostanziale dell’atto di citazione era diretto all’accertamento di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

1.1 Il motivo è infondato, avendo la Corte affermato, con un accertamento peraltro riservato al giudice di merito, che non si trattava di una prestazione coordinata, ovvero funzionalmente connessa con l’organizzazione del destinatario della prestazione e ciò conformemente al principio statuito da questa Corte secondo cui affinché sia configurabile un rapporto di cosiddetta parasubordinazione ai sensi dell’art. 409 c.p.c., n. 3, prima della modifica introdotta con la novella del 2017, con conseguente devoluzione della controversia alla competenza per materia del tribunale quale giudice del lavoro, devono sussistere la continuità e la personalità della prestazione, nonché la coordinazione, che deve essere intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore (Cass., 19 aprile 2002, n. 5698; Cass., 1 ottobre 2008, n. 24361).

1.2 Del resto è di intuitiva evidenza, così come affermato dai giudici di secondo grado, che la realizzazione di un periodico costituiva una prestazione professionale che, seppure riconducibile alle modalità di attuazione dei fini istituzionali del difensore civico, risultava sganciata da quelle funzioni ed eseguita in piena autonomia da parte dell’ I. e degli altri soggetti con lui incaricati dalla redazione della rivista.

In ultimo, deve evidenziarsi che non risulta che la Corte abbia svolto delle indagini per arrivare alla conclusione dell’insussistenza del requisito del coordinamento, che, di contro, viene affermata nel ricorso, con riferimento, peraltro, ad elementi del tutto estranei alla decisione impugnata e, quindi, nuovi ed inammissibili (cfr. pagine 5 e 6 del ricorso per cassazione).

2. Con il secondo motivo si lamenta l’omessa, contraddittoria ed inidonea motivazione sull’eccepita carenza di legittimazione passiva della Regione Campania, che comporta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non essendosi la Corte pronunciata sull’eccezione di carenza di legittimazione passiva della Regione Campania, dato che la natura del difensore civico e le funzioni dallo stesso esercitate impedivano la sua configurazione alla stregua di un organo di governo regionale (come riconosciuto dalla sentenza della Corte Costituzionale 15 giugno 2004, n. 173, richiamata dal giudice di secondo grado), che solo consentiva di esercitare nei confronti degli enti locali interventi di tipo sostitutivo.

2.1 Il motivo è infondato.

2.2 Ed invero, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass., 20 novembre 2015, n. 23828).

2.3 Nel caso di specie, l’argomentazione della Corte territoriale, come evidenziato anche dalla stessa Regione ricorrente (che parla, a pag. 6 del ricorso per cassazione, di rigetto implicito dell’eccezione sollevata) è del tutto coerente, completa ed adeguata e consente di apprezzare l’iter logico posto a fondamento della decisione, avendo il giudice di appello ritenuto infondata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva della Regione Campania, evidenziando che, seppure vi era una situazione di alterità tra la figura del difensore civico e la Regione, derivante dalla natura delle funzioni attribuite al difensore civico (richiamando sul punto anche la sentenza della Corte Costituzionale 15 giugno 2004, n. 173), ciò non valeva ad escludere un inserimento del difensore nella cornice amministrativa della Regione, tanto è vero che le determinazioni di spesa assunte dal difensore civico, al pari di quelle relative al funzionamento degli organismi, i cui stanziamenti facevano capo al bilancio del Consiglio regionale, ove eccedenti la misura di Euro 2.000,00, dovevano essere trasmesse all’Ufficio di Presidenza per l’approvazione, ciò stando a significare la mancanza di autonomia contabile e patrimoniale in capo al difensore civico.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Regione riconosciuto, né espressamente, né implicitamente, l’utilità della prestazione, non essendone stata approvata la relativa spesa dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale.

4. Con il quarto motivo si lamenta la contraddittorietà ed incoerenza della motivazione per erronea valutazione del quadro probatorio emergente dagli atti di causa, che comporta nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la Corte di appello dapprima affermato che il privato attore ex art. 2041 c.c., doveva dare la prova del fatto oggettivo dell’arricchimento e poi evidenziato che doveva senz’altro ritenersi sussistente l’arricchimento della Regione che aveva beneficiato delle pubblicazioni, emergendo in modo non equivoco che la Regione e il difensore civico presso il Consiglio regionale non erano la stessa cosa.

4.1 I motivi che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.

4.2 I giudici di secondo grado hanno evidenziato che la Regione aveva beneficiato delle pubblicazioni, dove era tra l’altro ben visibile il simbolo della Regione Campania, e che l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, ricevuta la comunicazione dell’iniziativa, non aveva sollevato alcuna obiezione, circostanza quest’ultima che escludeva che quell’arricchimento potesse essere stato non voluto o, addirittura, imposto.

4.3 E ciò in conformità alle Sezioni Unite di questa Corte che hanno statuito il seguente principio di diritto: “il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”” (Cass., Sez. U., 26 maggio 2015, n. 10798 e successivamente Cass., 27 giugno 2017, n. 15937; Cass., 5 novembre 2020, n. 24642).

4.4 Non sussiste, quindi, il vizio di nullità della sentenza, sotto lo specifico profilo della contraddittorietà ed incoerenza della motivazione, che si configura, per quanto già detto, soltanto nel caso in cui non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione (cfr. Cass., 15 novembre 2019, n. 29721).

5. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la Regione ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Regione ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Regione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

 

 

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