Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5966 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.08/03/2017),  n. 5966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 18336/12 proposto da:

Agenzia delle Entrate, elett.te domic. In Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

P.G., elett.te domic. in Roma, alla Via delle Quattro

Fontane n. 15, presso gli avv.ti Giuseppe Tinelli e Maurizio De

Lorenzi, dai quali è rappres. e difeso con procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 102/01/12 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 22/2/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/1/2017 dal Consigliere Dott. Rosario Caiazzo;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Caselli;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. De Lorenzi;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.G. impugnò, con due distinti ricorsi, innanzi alla CTP di Rieti, un avviso d’accertamento, per l’anno d’imposta 1998, fondato su un p.v.a. redatto dalla g.d.f., con recupero a tassazione di maggiori imposte a titolo Irpef, Irap e Iva, oltre sanzioni ed interessi; tale accertamento afferiva alla movimentazione di somme superiori al volume d’affari riscontrato ed attribuibile al contribuente. Con il ricorso introduttivo della lite in questione, riguardante l’impugnazione dell’accertamento in tema d’iva, il P. eccepì: l’illegittimità dell’accesso effettuato presso la sua abitazione e non anche presso i locali dell’impresa; l’omessa motivazione dell’avviso in quanto aveva recepito le conclusioni della g.d.f., modificandole nel solo punto relativo all’abbattimento dei costi e alla determinazione della percentuale di ricarico presuntivo sul prezzo d’acquisto dei beni venduti.

La CTP accolse il ricorso, ritenendo violato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, non sussistendo gravi indizi dell’illecito fiscale giustificanti l’accesso presso l’abitazione del contribuente.

Avverso tale sentenza l’agenzia delle entrate propose appello, rigettato dalla CTR che rigettò anche l’altro appello in ordine alle imposte dirette.

L’agenzia delle entrate propose ricorso per cassazione avverso entrambe le citate sentenze; la Corte rigettò il motivo fondato sull’eccezione di giudicato, accogliendo gli altri motivi.

Al riguardo, la motivazione della sentenza evidenziò che la decisione della CTR era da considerare erronea nella valutazione degli elementi di fatto del giudizio, in quanto: il giudice d’appello non aveva considerato che la Procura della Repubblica procedente aveva autorizzato, con congrua motivazione, il suddetto accesso; la CTR aveva erroneamente valutato quanto emerso dagli accertamenti bancari da cui era dato desumere versamenti di alcuni miliardi di Lire sul conto del contribuente, somme eccedenti di gran lunga l’importo dei ricavi registrati e fatturati dall’impresa nello stesso anno d’imposta; era stato omesso altresì ogni esame della documentazione extracontabile rinvenuta. Pertanto, la Corte cassò la sentenza della CTR, per vizio della motivazione, in quanto il giudice d’appello: non aveva incentrato la motivazione sul reale contenuto dell’accertamento contestato dal contribuente; aveva ritenuto che la contabilità del P. fosse esaustiva e trasparente, senza considerare la contabilità extracontabile riscontrata e le operazioni commerciali non fatturate; aveva immotivatamente escluso che le operazioni non contabilizzate dall’impresa del contribuente fossero inerenti all’attività commerciale; aveva attribuito un valore probatorio pieno alla contabilità del contribuente, senza tener conto della documentazione extracontabile; aveva fornito una motivazione oscura e contraddittoria in ordine ai criteri di determinazione delle percentuali di ricarico.

Inoltre, la Corte rilevò l’erroneità della motivazione della sentenza d’appello circa l’illegittimità della sommatoria di versamenti e prelievi dal conto corrente, ai fini della ricostruzione del reddito d’impresa, non essendo stata fatta una corretta applicazione dei principi costantemente affermati dalla stessa Corte in ordine all’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

Pertanto, la Corte, cassando la sentenza, dispose il rinvio ad altra CTR; l’agenzia riassunse il giudizio e l’adita CTR rigettò di nuovo l’appello, ritenendo l’avviso d’accertamento illegittimo, in quanto non era dato comprendere i criteri attraverso cui fu effettuata la rettifica del reddito d’impresa.

Avverso tale ultima sentenza, l’agenzia ha proposto nuovo ricorso per cassazione, formulando un unico motivo, attraverso cui ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 52, 54, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 1 e 6, nonchè degli artt. 2697, 2727 e 2728 c.c. e art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In particolare, l’agenzia ha dedotto cha la sentenza impugnata era erronea in quanto: incentrata su una questione diversa da quella oggetto dell’esame della prima sentenza della Corte; aveva disatteso il principio di diritto affermato dalla stessa Corte.

Resiste il P., con deposito del controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del motivo di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, il collegio Delib. di redigere la sentenza in forma semplificata.

Il ricorso è fondato.

La CTR, nel respingere l’appello dell’agenzia delle entrate, non ha applicato correttamente le norme richiamate dalla parte ricorrente, nell’unico motivo formulato, riguardanti i criteri che informano gli accertamenti tributari analitico-induttivi.

In particolare, il giudice d’appello non ha conformato la decisione alla sentenza di annullamento dell’avviso d’accertamento con rinvio, pronunciata dalla Corte di Cassazione, che aveva evidenziato il vizio di motivazione della precedente sentenza d’appello nel punto concernente il reale contenuto dell’accertamento, consistente nell’attribuzione di ingenti versamenti riscontrati sul conto del contribuente-imprenditore.

Occorre richiamare il consolidato orientamento secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 1 e 6, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 29.7.2016, n. 15857).

Inoltre, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass., 30.12.2015, n. 26111).

La sentenza impugnata ha erroneamente applicato le norme richiamate dall’agenzia ricorrente, nella parte in cui pur richiamando il suddetto orientamento, ha ritenuto che, qualora la rettifica concerna attività di rivendita di merci o prestazione di servizi ulteriori rispetto a quelle contabilizzate, la stessa rettifica non potrebbe andare oltre la differenza i corrispettivi ricavati e i costi necessari alla loro produzione.

Inoltre, la sentenza della CTR ha erroneamente applicato le norme in questione, laddove, pur limitando l’accertamento del maggior reddito d’impresa alla differenza tra corrispettivi e costi, ha omesso del tutto di determinare la parte del reddito che era stata sottratta alla tassazione, come desumibile dai dati bancari esaminati.

Infine, la CTR ha motivato il rigetto dell’appello argomentando altresì su una questione distinta da quella afferente alla corretta ricostruzione del reddito d’impresa, attraverso gli accertamenti bancari, con riferimento alle percentuali di ricarico sulla merce venduta.

Pertanto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR.

PQM

accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia ad altra sezione della CTR del Lazio, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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